ISOLE DI MARE, DI TERRA E DI GENTI: VIAGGIO IN SARDEGNA ORGANIZZATO DAL GREMIO DEI SARDI DI ROMA

Ebbene sì, lo ammettiamo: abbiamo contratto il “Mal di Sardegna”! Per alcuni è la quarta esperienza, – sapientemente architettata dall’ineguagliabile Ivan col fondamentale supporto dell’amico Marco Sulis della Galusè srl.- e non sembra di averne ancora abbastanza di questa isola che anche per noi si conferma essere “quasi un continente” (M. Serra 1960), un’isola dove si sceglie di andare e non dove ci si capita per caso.

Grande il piacere di riunirci e iniziare questo viaggio in 42 e per il caloroso incontro ad Olbia col nostro storico autista super-Mario; pronti per il trasferimento al Golfo degli Aranci (i Ranci, i granchi!) per ‘sgranchirci’ tra le case dei pescatori, decorate con storiche foto in b/n, nel diffuso profumo del mirto in fiore e del gelsomino indiano. Il bel lungomare è adorno di sculture moderne: quelle ‘sonore’ di Pinuccio Sciola e le grandi vele bianche dove scattiamo la nostra prima foto di gruppo.     Proseguendo intravediamo Tavolara, regno tuttora reclamato dai Berteleoni, sospesa in un colore come di nessun altro mare. Raggiungiamo quindi la fascinosa Porto Rotondo, realizzata a partire dagli anni 60 e meta di vip: dalla famosa Ira Von Fustemberg, nipote di Gianni Agnelli, al “Cavaliere” con la sua Villa Certosa delle “cene eleganti”. Superato, il rito della nuova foto di gruppo sul caratteristico ponticello, lo stesso Mario ci guida per la via del Molo con la caratteristica pavimentazione musiva a pesci, e in cima ad una scalinata ecco la chiesa di San Lorenzo, ‘plasmata’ nel granito da Andrea Cascella, così come la sferica croce megalitica che in molti spontaneamente si sentono di abbracciare. Sulla facciata spicca il rosone con morbidi raggi in vetri policromi. Peccato non aver potuto visitare gli interni, concepiti dallo scultore romano Mario Ceroli a carena di nave rovesciata, con tantissimi particolari sagomati nel pino di Russia, e la splendida Deposizione nell’abside resa tridimensionale dalla sovrapposizione di sagome di legno piane. Suo anche il ligneo alto e traforato campanile, con scala a chiocciola centrale senza balaustre.

Raggiungiamo l’albergo Micalòsu a Cannigione, con vista mozzafiato sul golfo e su Caprera. Cinzia ci indirizza in un dedalo di stradine del “borgo”, colorato dalle bouganvillee, dagli oleandri e dai verdissimi corbezzoli. A pranzo apprezziamo i ravioli dal sorprendente gusto leggermente dolce della ricotta, il misto di maialino e agnello e seadas a completare; si festeggia anche il novello nonno Bruno per la nascita della piccola Leda. Nel pomeriggio una passeggiata a Porto Cervo (la baia avrebbe questa sagoma) ci fa apprezzare ancora di più i luoghi: è il 1962, quando il principe Karim Aga Khan IV, soggiogato dalla bellezza di questo tratto di costa, intuisce che la natura sarda vada tutelata e inventa “La Costa Smeralda” con lo scenografo svizzero-francese Jacques Couelle, gli architetti Vietti, Satta, e Busiri Vici. Una edilizia essenziale, discretamente inserita nell’ambiente naturale con uno stile che presto si diffonderà in tutta la costa nord-orientale.
Un ventoso mercoledì è dedicato all’arcipelago della Maddalena: prima sosta all’isola di S.Maria per la passeggiata al vecchio faro o il primo bagno nel mare dai riflessi cobalto, indaco e turchino. Dopo le saporite penne e le squisite “pardulas” divorate con appetito in barca, ci aspetta Spargi e soprattutto l’incontro ravvicinato di Mariella con un dispettoso, ma simpaticissimo cinghiale che le contende lo zainetto e alla fine si accontenta di una t-shirt; la giornata si completa con la passeggiata per acquisti al centro della storica cittadina di La Maddalena dove è irresistibile abbracciare il bronzeo “Peppino” Garibaldi sulla sua panchina sotto un cielo blu.

La cena ci propone gnocchetti alla campidanese e un ottimo spezzatino; col sottofondo di piano bar, inutile dire che partono le sfide al burraco e, nel tavolo a sei, escono vincitrici le signore!

Ivan ci preannuncia un giovedì “sacro profano” nella regione dell’Anglona. Nel trasferimento, oltre una presentazione da parte di Antonio Lavagno e di Ivan delle finalità e delle attività delle due Associazioni NUOVA MICOLOGIA e IL GREMIO che hanno contribuito alla realizzazione di questo Viaggio, abbiamo l’opportunità di ascoltare le esperienze di volontariato di Costantino con la ‘Protezione Civile’, di Pietro con la onlus ‘Peter Pan’, di Walter con la a.p.s. ’ATDAL over 40’e di Silvia con il FAI. A mezza mattina raggiungiamo Perfugas (fondata probabilmente da profughi di altro paese abbandonato forse per pestilenza) per visitare il MAP -museo archeologico paleobotanico; passeggiamo tra i fossili vegetali di una foresta pietrificata circa 100.000 anni fa per silicizzazione. Accolti dalle competenti ragazze della Coop. “Sa Rundine” che gestisce il Museo e dall’Assessore del Comune Andrea Cossu, una ricca tavola imbandita di ogni prelibatezza cattura subito l’attenzione di tutti: varietà di formaggi, pani e salamini; e poi i tipici dolci sardi con gli amaretti, vini e liquorini. E sono appena le 10.30! Visitiamo quindi le sale del Museo e abbiamo l’emozionante incontro con la Dea Madre, una preziosa statuina (V millennio a.c.) raffigurante una prosperosa madre con neonato, curatissima con le sue treccine e copricapo a turbante. Ci spostiamo nella chiesa di S.Maria degli Angeli e rimaniamo davvero estasiati davanti al grande Retablo di San Giorgio (8,40 metri x 6,60 mt.) di ignoto artista sardo del XVI sec., pala di altare in stile gotico aragonese, in legno e oro dedicata ai misteri del rosario a al cavaliere che libera la donzella dal drago. Visitiamo quindi il misterico e ancora perfetto Pozzo Sacro del Predio (fondo) Canopoli (fine II millennio a.c.) realizzato a secco con massi in calcare perfettamente squadrati e bugne, probabilmente per riti sacrificali connessi con il culto delle acque sotto il sole e la luna degli equinozi. Il pranzo è nella vicina località di Saccargia dove ci attende anche la visita dell’imponente, solitaria e importante Basilica della SS. Trinità (XII sec) dal riconoscibile stile romanico pisano, per l’alternanza di pietre di chiaro calcare e scuro basalto.

Ci spostiamo quindi a Porto Torres e sul lungomare di Balai, tra tamerici dai rigogliosi fiori rosa, assistiamo alla piacevole improvvisazione tra Renato (sola voce) e Luciano (solo flauto)  e ci si prepara per la cena e il pernottamento nel già collaudato e ottimo hotel Libyssonis.

È una esperienza completamente diversa quella che ci attende venerdì sull’isola dell’Asinara, oggi Parco Nazionale, a bordo di fuoristrada 4×4, e che ci riserva una grande biodiversità -oltre 700 specie vegetali alcune rare e minacciate come il fiordaliso spinoso, la buglossa strisciante, l’astragalo e minuscole margherite- si nota invece l’inspiegabile assenza del mirto e del corbezzolo, mentre predominano il lentisco e la rossa, ma spoglia, euforbia dendroide; immersi nel sentore quasi inebriante di elicriso, abbiamo incontri ravvicinati con i famosi asinelli albini dell’isola, apparentemente fragili al riparo dei ginepri, ma che scopriamo belli e agguerriti quando si tratta di combattere per la supremazia nel branco.

Asinara, inavvicinabile sino a non molto tempo fa! È molto coinvolgente il racconto che la nostra guida ci fa dell’allontanamento coatto nel 1855  dei circa 500 pastori e pescatori che ci abitavano per destinare l’isola a stazione sanitaria di quarantena e a colonia penale agricola, per diventare poi prigione di 25.000 soldati austro-ungarici durante la prima guerra mondiale, poi sede di carcere duro, di massima sicurezza per esponenti delle Brigate Rosse, dell’Anonima Sequestri Sarda o di boss di Mafia e Camorra come Riina che fu rinchiuso in una galera illuminata notte e giorno, soprannominata la  ‘discoteca’.

A parte gli edifici delle ex carceri sul cui recupero e nuovo utilizzo è vivace il dibattito, è la natura incontaminata e il mare cristallino e ricco di pesci a farla da padrona e a catturarci per cui, dopo aver nuotato tra saraghi, mormore e stelle marine, siamo dispiaciuti di dover abbandonare la spiaggia. Ci consoliamo con un piccolo bottino di prodotti naturali a base di latte d’asina che speriamo facciano magie sulla nostra pelle al pari di una certa Paolina e di una più antica Cleopatra.

Sabato, con un balzo indietro, prima dell’età del rame e dei nuraghi, raggiungiamo l’unica ziqqurat in Europa e nel Mediterraneo ritrovata a Monte d’Accoddi nei possedimenti dei Segni (Antonio, l’ex presidente della Repubblica) sotto un piccolo colle artificiale. Risalente a 5000 anni fa, non ha relazioni dirette con templi coevi; i carotaggi dalla sommità esclusero la funzione funebre e, anche per la presenza del tipico “menhir” granitico, si decise per la natura sacra, destinata al culto della fertilità (la madre terra) e con l’ipotesi di un sacello alla sommità, punto di incontro tra uomo e divinità. Due grandi pietre tonde portate in situ ai piedi del monumento richiamano il sole e la luna, ma suscitano anche ilarità tra i maliziosetti “fomentati” dal solito Edoardo.

E’ una giornata molto calda e la visita del sito preistorico delle Domus de Janas, Case delle Fate, di Anghelu Ruju si presenta impegnativa. Un complesso di grotticelle sepolcrali per i defunti scavate nella roccia arenaria con due tipologie di accesso, angusto a pozzetto o a dromos a cielo aperto.

In serata raggiungiamo Arborea e il familiare hotel Le Torri. L’inconfondibile aroma “agricolo-vaccino” anima il dibattito tra botanici e io cerco di strappare segreti, ma alla fatidica domanda “ma tu, che stallatico usi?” abbandono la conversazione…. comprendo che mi mancano le basi. Passiamo di nuovo davanti alla maestosa Idrovora di Sassu e ci fermiamo per qualche foto. Renato ci ricorda essere l’unico manufatto della cittadina prodotto da un architetto sardo, Flavio Scano, dalle forme moderniste e futuristiche, citatissimo nei manuali di architettura razionalista, e aggiunge: “Se funzionalmente sarebbe stato sufficiente un parallelepipedo di cemento armato, l’invenzione del fantasioso architetto lo trasforma, con torrette, aggetti ed elementi tondeggianti, in un elegante asimmetrico “piroscafo razionalista”; una nave che porta l’acqua dalle paludi alla produzione per il benessere umano. A 6 km a sud di Arborea un suo secondo manufatto, l’Idrovora di Luri, ancora funzionante, è invece una sorta di villino gotico, completamente diverso, omaggio all’opera dell’ingegnere Avanzini che ha concepito l’intera cittadina di Arborea. Insomma Scanu sa declinare modernità e tradizione”.

Una buona cenetta a base di saporita fregula ed eleganti turbanti di spigola completa la serata.
Per l’escursione nella Barbagia del Mandrolisai di domenica, ci attendono un paio di ore di bus, allietate dal grande Edoardo con sonetti e citazioni e suoi versi; lo scenario cambia bruscamente: non si vede più il mare, superiamo i vigneti del Mandrolisai, ci immergiamo nei castagneti e intravediamo le cime che d’inverno arrivano ad imbiancarsi. Raggiungiamo Aritzo, dal nome derivato probabilmente dai ricci, arroccato a 800 mt nelle pendici del Gennargentu e sede dell’industria della neve fino agli inizi del XX sec., con case di montagna a tetti spioventi e dalle caratteristiche balconate in legno. Ci aspetta Checco che lo scorso anno ci fece scoprire Cagliari e ora, nel suo paese natio, presenta il suo collaudato e vincente progetto per un “turismo” segnato dal coinvolgimento del “vicinato” e della “famiglia”, per farci vivere quasi da protagonisti le tradizioni, gli usi e i costumi del luogo. Camminiamo nelle belle stradine e visitiamo le carceri spagnole di “Sa Bovida”. Ci colpiscono le celle destinate alle donne (alle cosiddette Bruxe) per l’accusa prevalente di “stregoneria” in quanto donne che conoscevano l’antica arte di saper curare malattie e ferite con le erbe e “segreti” riti magico-religiosi. Alla bruxa più famosa, Antonia Usay, è dedicato un bel murale. Interessante anche il museo del castagno e dell’intaglio del legno per creare le caratteristiche cassapanche. Ora ci attende mamma Vittoria, peraltro nel giorno del suo compleanno. Siamo messi alla prova per fare il pane e i culurgiones, quei piccoli scrigni di sfoglia sottile a forma di spiga che nascondono una crema di patate e fiscidu, col risultato che non riusciamo a farli e quindi non ne mangeremo! Ma tra ricco antipasto con squisito pecorino alle noci, prosciutto e verdure, ottimi ravioli, cinghiale, torte semifredde sulle quali Vittoria ha spento le candeline, di certo non abbiamo corso rischi di digiuno; il tutto annaffiato generosamente con “Su connottu” (il conosciuto), l’ottimo e generoso vino Mandrolisai.

La sorpresa finale è stata assistere in piazza -dedicata al poeta bandito Bachis Sulis- alla produzione, rigorosamente manuale, di Sa Carapigna, l’ottimo sorbetto di limone allietato da organetto e “ballu tundu” nella tipica tradizionale veste sarda sotto lo sguardo fermo e penetrante della piccola, ma già matura Emma.

A “Casa della Nonna” (Sa Butega de Mamai) siamo stati ospiti, protagonisti e attori in una indimenticabile esperienza che ha coinvolto tutti e cinque sensi, come promesso da Ivan e Checco.

Nel tardo pomeriggio, cibo per la mente ad Atzara: nel centro del paese si trova dal 2000 il museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Antonio Ortiz Echague”, nato da un’idea del noto pittore sardo Antonio Corriga e dall’esigenza di trovare una giusta collocazione alla storia dei pittori, particolarmente spagnoli, che nei primi del ‘900 frequentarono Atzara trasformandolo in vivace punto d’incontro artistico e laboratorio di stili pittorici grazie, soprattutto all’artista spagnolo Antonio Ortiz Echague. Nel museo ci immergiamo nel fermento artistico che si è creato intorno al pittore e che è ben documentato con opere che ci incuriosiscono: affascinati dalla felice potenza cromatica del Corriga (es: Funerali di un socialista o l’Ardia di Sedilo); e poi le opere di Ortiz, Meledina, Sisinnio Usai, Pietro Antonio Manca e Costantino Spada; in molti, poi, ci perdiamo nei lavori onirici, surreali, allegorici, di Giuseppe Bosich.

Lunedì ci dirigiamo un po’ mestamente verso Olbia, sostando ad Abbasanta per visitare l’importantissimo sito (2000-1500 a.c.) del ben conservato Nuraghe Losa (sa losa, lapide) alto circa 20 metri, dalla regolare base triangolare con vertici smussati dalle torri; una rampa a spirale porta dalla sala superiore sul tetto – dove Bruno immortala un bel boccione maggiore – dal quale si osserva la vicina necropoli, punteggiata da asciutte e severe ferule.

Un tripudio di sapori tutti “sardi” ci attende nell’agriturismo Guparza: melanzane, purpedda, trippa, ravioli, maialino e per finire seadas, mirto, fil’e ferru e caffè. L’eccellente spettacolo musicale, ultima sorpresa riservataci da Ivan, del trio “Antigas Serenadas” ci regala il migliore e autentico repertorio della musicalità sarda e ci fa scoprire il dono della bella voce di Antonella (moglie di Mario) impegnata nell’immancabile “No potho reposare”. Fatto il pieno di Casizolu e Pecorino ci si imbarca, sulla Tirrenia che ci riserverà qualche piccolo, ma superabile disagio, giusto per non farci dire che il viaggio è stato iper, super, PERFETTO, per l’ottima squadra intorno ad Ivan.

Anche questa volta le giornate sono state intense per stimoli, emozioni, nuove conoscenze e il ritrovarsi: aspettative storico-artistiche adeguatamente soddisfatte per amici e soci del GREMIO, l’associazione dei Sardi in Roma, così come quelle naturalistiche per i soci di NUOVA MICOLOGIA (Studi Scientifici Micologici, Botanici e Ambientali) e come ben sottolinea Giovanni, non possiamo che ringraziare ancora il generoso amico Ivan che “ci ha portati per mano in una Sardegna, ora, un pochino meno misteriosa” rendendo indelebili memorie, sapori, profumi. Quindi, arrivederci alla quinta edizione.  Capito mi hai? … scherzando non sto!

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3 commenti

  1. Carina Pisanu

    bravi

  2. Pietro Brusco

    Un viaggio indimenticabile

  3. Antonio Maria Masia

    Resoconto bellissimo, completo, interessante: complimenti vivissimi a SILVIA.

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