Alessandro Mancosu
di LUIGI SORIGA
La vita certe volte fa dei trick inaspettati. Dopo lunghe rincorse è capace di spiccare il volo e ribaltarsi in un repentino 180 gradi. Così tutto ricomincia da capo, e si riparte dal via.
L’esistenza di Alessandro Mancosu, 37 anni, di Guspini, quattro anni fa ha fatto un salto all’indietro, così a ritroso da ritornare alle origini. Era un affermato deejay, confezionava eventi, tra un contratto e l’altro rimbalzava tra Bologna, la città dove viveva, sino a Roma, Milano, Venezia, Firenze, Londra. Era un animale notturno, reclutava artisti famosi, organizzava concerti di musica elettronica in tutta Italia. Le sue giornate erano scandite da un ritmo martellante, un flow ripetitivo come i bassi della sua drum’n’bass. Contattava gli Andy C, i London Elektricity, e poi Pendulum, Noisia, Dillinja, e altri gruppi internazionali, dopodiché si occupava di fissare le date, promuovere gli eventi, allestire i palchi, pensare ai biglietti aerei e al pernottamento, e poi noleggio impianti, Siae, sicurezza, prevendita dei biglietti, e di nuovo mail, contatti con le agenzie, pubblicità, strette di mano, firme, e altre albe percosse dai decibel. «Quel lavoro mi piaceva, mi dava soddisfazione. Poi l’avevo inventato da zero, io e il mio staff ci mettevamo passione, e dopo dieci anni eravamo riusciti a costruire una rete di appassionati che ci seguivano».
Ma dal 2016 il mondo della notte comincia ad appassire, fallisce anche un locale storico come il Cocoricò. E il covid, nel 2019, stacca la spina, spegne musica e luce. «Si ferma tutto, e mi fermo anche io. E mi fermo anche a pensare, guardo davanti a me e non scorgo grandi prospettive. Guardo dentro di me, e rivedo tutto ciò che ho fatto». Così, quando arriva l’occasione giusta, Alessandro decide di saltare giù da quel pianeta tachicardico, per atterrare in un mondo distante anni luce.
«Back To Your Roots. Ritorno alle origini», è il suo nuovo slogan. La vita cambia radicalmente musica, diventa silenzi, e vento che accarezza le spighe del grano. Da deejay, Alessandro, si trasforma in contadino. Torna in Sardegna, per coltivare la sua terra. Quindici ettari a Guspini, che appartenevano al nonno Silvio, ex sindaco del paese e appassionato agricoltore. Quando morì nel 2008, la famiglia decise di affittare quei terreni, brulli. Ci ricavavano due soldi, perché non c’era nemmeno l’acqua. «Avevo dei bei ricordi. La vendemmia con il nonno, la sua dedizione per il vigneto. La vita mi aveva portato lontano, a fare cose del tutto diverse. A vent’anni ero a Bologna, non avevo mai preso una zappa in mano. Ma quelle sensazioni dell’infanzia mi erano rimaste». Alessandro ci pensa, ne parla con i suoi: decide di prendere in affitto lui, quella terra. E anche questa volta, parte completamente da zero. «Non avevo alcuna esperienza. Non avevo più nemmeno soldi da parte: il mio capitale era 1000 euro». Però aveva un bagaglio di competenze che potevano essere riciclate e spese in questa nuova scommessa. E Alessandro in fondo ha fatto la cosa che gli riusciva meglio: andare al mixer e mescolare le sue esistenze diverse, la musica e la terra. «Organizzare eventi mi aveva insegnato le pubbliche relazioni, a rapportarmi con la gente, a promuovere i prodotti». Ma soprattutto gli aveva insegnato a differenziarsi, a lavorare di nicchia. «Ho sputato sangue con la drum’n’bass. È un genere che non tutti conoscono. Ma nella vita le cose non si fanno solo per convenienza. Alla lunga sarebbe frustrante. Si fanno anche per passione. E poi, alla fine, la qualità paga».
La stessa cocciuta convinzione, Alessandro Mancosu, l’ha innestata nella nuova piantagione: «Non vuoi coltivare il grano Capelli? Tu sei pazzo! Questa è la prima cosa che mi sono sentito dire. Ma io sono andato avanti con la mia scelta, e la vecchia azienda del nonno sarebbe rinata grazie alla biodiversità e alle qualità antiche del grano locale». Così le semenze e le spighe sono di grano “Quarantinu”, che macinato con una ruota di pietra, mantiene tutte le proprietà nutrizionali, conserva la crusca ed è ricco di carboidrati, fibre, proteine e sali minerali. È così che nasce Agrobass, un’azienda che propone la vendita di granaglie, farine biologiche a chilometro zero e lavorate con una macina in pietra. «All’inizio è stata dura. Il primo raccolto l’ho spedito a un panificio di Bologna specializzato in grani antichi. Non me l’hanno mai pagato. Così alla fine l’ho recuperato e l’ho fatto macinare io stesso. Se non avessi preso quella fregatura, forse non avrei mai scoperto la qualità di queste farine». In fondo è drum’n’bass, suonata nella natura. E lo stesso accade per il vigneto: «I ceppi hanno 70 anni, chiunque li avrebbe sradicati e ripiantati con un impianto di irrigazione. Invece io li ho solo potati e medicati, e produco 1500 bottiglie di bovale in purezza, di altissima qualità, perché frutto di una vitigno antico e nemmeno irrigato». Agrobass poi coltiva legumi, fiori di canapa, l’oliveto. E diventa anche fattoria didattica e sociale, dove si promuovono prodotti, degustazioni, visite delle scuole, laboratori, mostre, ed eventi. E soprattutto si fa ancora musica: «La mia prima vita ogni tanto ritorna. Mi metto alla consolle, suono musica elettronica, oppure invito artisti, e li faccio esibire nella mia azienda». È l’agricoltura innovativa, quella delle nuove generazioni. È remunerativa? Si guadagna? «Cavallette e siccità permettendo. Quando non ci si mette di mezzo anche la burocrazia. Dalla terra non si diventa ricchi, per ora si sopravvive». Le soddisfazioni sono altre: «Produci qualcosa di tuo, vivi a contatto con la natura, e poi, se lavori bene, se punti alla qualità, prima o poi la musica cambia». Parola di dj.