Danilo Lampis
di OMAR ONNIS
Danilo Lampis ha reso pubblico in Rete un suo saggio dal titolo La Sardegna nella crisi globale tra rischi e prospettive, precedentemente uscito, in forma parzialmente diversa, in una pubblicazione della Fondazione Sardinia. Si tratta di una disamina molto accurata e documentata sulla condizione della Sardegna attuale dentro le dinamiche internazionali, con uno sguardo prospettico rivolto non solo al passato e al presente, ma anche al futuro.
Il saggio evoca temi e questioni importanti: le crisi globali nei loro risvolti socio-economici e politici, il declino della democrazia liberale europea, l’incrudirsi delle relazioni politiche e il crescente restringimento degli spazi di libertà anche nelle democrazie conclamate, l’incombere della guerra come mezzo ordinario e come scenario permanente. Riguardo la Sardegna c’è il problema della dipendenza e della subalternità, dentro una transizione storica che minaccia di soffocarne pressoché definitivamente ogni aspirazione di progresso autonomo, di benessere e di democrazia. Viene toccato il tema dell’autonomia differenziata, in agenda nel governo di destra oggi al potere a Roma. Viene messa in discussione la portata e la qualità della risposta della classe dirigente sarda alla sfida di questi tempi.
Mi sembra un contributo estremamente importante, sia per la sua qualità analitica, sia per la mole di riferimenti teorici e di concetti chiave, sia per il suo respiro prospettico e strategico. L’asticella della politica sarda è drammaticamente bassa, quella del confronto intellettuale non è messa molto meglio. Il dibattito elettorale di queste settimane lo conferma, anche per responsabilità di un sistema di mass media mediocre e quasi sempre manipolatorio (sintomo di una democrazia tutt’altro che compiuta). Occorre dotarsi di un armamentario di riflessioni di alto livello, onde poter affrontare il presente e l’immediato futuro con qualche speranza di capirci qualcosa e dunque di poter agire con criterio.
Tanto più questo discorso è valido in tempi elettorali. Non tanto per determinare in qualche modo l’esito del voto (sarebbe impossibile), quanto piuttosto per avere un’idea di cosa fare dopo. È il “dopo” che di solito frustra i tentativi di costruire un’alternativa politica seria, in Sardegna. I motivi sono tanti. Uno è che le forze alternative al sistema oligarchico-clientelare-coloniale, che ha dominato la scena negli ultimi trent’anni (con rare e ben contenute eccezioni), non hanno mai maturato una capacità politica spendibile sul terreno della cruda realtà.
Le forze sociali e culturali estranee all’apparato di potere podatario sardo si sono molto concentrate su se stesse, dedicandosi con ostinazione degna di miglior causa a irrobustire il proprio lessico, le proprie posture, i propri tic, in un circolo vizioso autoreferenziale che le ha spinte sempre più ai margini del discorso pubblico, senza impatto sulla vita concreta delle nostre comunità.
È il dramma di ogni metafisica. Scambiare il mondo delle parole per la realtà ha sempre prodotto disastri. Lo svelava Nietzsche, ne faceva un severo ammonimento Gramsci. Invece bisogna starci, dentro la realtà, con tutte le sue imperfezioni, le sue contraddizioni, le sue ibridazioni. Bisogna essere parte consapevole dell’ecosistema sociale, culturale e politico, agire dentro di esso come elemento vivo, connesso con gli altri.
Il che chiama in causa prima di tutto le aspirazioni all’autodeterminazione, l’indipendentismo diffuso e quello organizzato, le istanze di radicale mutamento sociale e valoriale. Vanno ridefiniti i termini del proprio agire politico e anche le basi teoriche su cui esso si fonda. Va tenuta presente la natura transeunte della forma stato-nazione, nelle sue caratteristiche intrinseche e nel suo ruolo dentro le dinamiche contemporanee. Va ridefinita la democrazia stessa.
Il saggio di Danilo Lampis offre una vasta gamma di argomentazioni e di riferimenti storici e teorici, da cui partire per avviare un dibattito produttivo e fecondo, nell’ottica di irrobustire e rendere definitiva la crisi del sistema di potere sardo, chiaramente in atto.
La crisi e la rottura del sistema di potere sardo è una condizione ovviamente necessaria, ma non sufficiente perché sia sostituito con qualcosa di meglio. Servono idee e azioni, azioni collettive, per salvarci dalle derive autoritarie, dalle tentazioni elitarie, dalle nuove forme di dipendenza, povertà e marginalità a cui sembriamo destinati. È un compito nostro, di chi vive adesso, comunque vadano le imminenti elezioni.