Riccardo Devoto e Michele Tatti
di LUCIA BECCHERE
Il libro Prigioniero del mio nome (edizioni Il Maestrale), autori Riccardo Devoto e Michele Tatti, è un viaggio attraverso la storia della famiglia Devoto noti imprenditori nuoresi, provata ma non vinta dall’esperienza dei sequestri di Riccardo prima, del tentato sequestro del fratello Francesco e poi dello zio Gigino. Un passato che si fa presente ma anche futuro per una famiglia per bene venuta da lontano e che nonostante tutto non ha mai pensato di lasciare Nuoro.
Protagonista della vicenda Riccardo sequestrato a 15 anni, oggi un affermato imprenditore di 64 anni.
Che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro? “Una sorta di rivalsa da parte mia e di chi mi ha preceduto. Mi aveva ferito sentirmi dire che la prima generazione crea, la seconda costruisce e la terza distrugge come se noi avessimo dilapidato l’intero patrimonio. Sono stato l’unico nuorese nella storia della Confindustria ad essere presidente regionale e finita quella esperienza ho deciso di lavorare in azienda”.
Quale messaggio vuole veicolare? “Vorrei trasmettere tutto il nostro patire nel silenzio per portare avanti l’azienda a fronte di chi pensava che noi avessimo scialacquato tutto. Nonostante navigassimo a fari spenti in noi non è mai venuto meno l’ottimismo. Vorrei che questo messaggio arrivasse ai lettori perché in loro non rimanga una visione distorta della nostra famiglia”.
Perché apostrofa sempre “bastardi” i suoi rapitori? “Perché hanno violato e bruciato la mia giovinezza e nonostante oggi sia imprenditore di un altro settore, hanno infranto il mio sogno di lavorare nell’impresa nel momento in cui con mio padre e i miei fratelli avevamo deciso un bel piano di rilancio dell’azienda.
Ha mai immaginato di dare un volto a quei “bastardi? Per me sono sempre rimasti senza volto, Non riesco a darglielo.
Cosa le fa più male di quella esperienza? “Sento di essere barbaricino al cento per cento e mi dispiace essere stato trattato così da alcuni di loro per quanto sia stata una piccola minoranza. Mio nonno è stato uno grande imprenditore, è venuto da Cagliari da ragazzino a Nuoro centro a vocazione agropastorale e ha fatto di tutto perfino il commercio del carbone. Presumo che i Nuoresi fin da allora ci hanno incollato la nomea di miliardari, tutti pensavano che noi avessimo le piantagioni in Brasile, niente di vero perché noi lo importavamo. Siamo stati solo degli imprenditori che hanno lavorato per realizzarsi”.
E’ credente? “Sono credente. Mia madre, fin da piccolo mi aveva inculcato la certezza che noi tutti abbiamo un Angelo custode. Quell’Angelo non solo mi ha aiutato nell’immediatezza del sequestro ma vigila ancora su di me e su tutti quelli che ci credono”.
Che cos’è la libertà per lei? “Ho provato una sensazione meravigliosa quando mi sono liberato con le mie forze. Ecco questa è la libertà, affrancarmi dalle tenebre gialle del mio cappuccio mi ha consegnato alla vita più forte”.
Oggi cosa direbbe ai “bastardi”? “Nulla. Totale indifferenza nei loro confronti”.
Cosa significa oggi chiamarsi Devoto? “Per me resta sempre un onore per tutto quello che hanno fatto mio padre e mio nonno. Prima è stato molto pesante portarlo, adesso meno”.
Cosa non rifarebbe? “Forse non tornerei a Nuoro come mia madre suggeriva. Sarei rimasto a Firenze dove frequentavo l’Università”.
Come ha vissuto il sequestro di suo zio Gigino? “Ho appreso del sequestro di mio zio con grande rabbia. Facevo il militare e in cuor mio me la sono presa con mio padre che non ha mai voluto lasciare Nuoro. Sapevo che la mia famiglia benché a rischio era protetta da un codice d’onore perché dava lavoro 120 famiglie, poi il codice è stato infranto”.
Una curiosità? “Mi hanno fatto un immenso piacere le parole che mi ha rivolto una persona dopo la presentazione del libro: “Prima mi eri antipatico e adesso non lo sei più”. Chiusa questa parentesi del libro – aggiunge Riccardo -, il mio obiettivo è quello di rimettermi la tuta da Palombaro e continuare a lavorare. Mi imbarazza la notorietà, spero solo che i nuoresi mi vedano in un’ottica diversa”.