Mariantonietta Mula
di LUCIA BECCHERE
Orune e solo Orune è il filo conduttore del romanzo “Bachis e Nina” (tipografia La Bittese di Bitti) di Mariantonietta Mula, orunese residente a Nuoro dove, conseguita la maturità classica al liceo Giorgio Asproni e la laurea a Cagliari in ingegneria civile strutturale, ha svolto la libera professione di ingegnera e di insegnante di Matematica nell’Istituto di istruzione secondaria “Alessandro Volta”. Dopo il pensionamento avvenuto qualche anno fa, oggi si dedica interamente alla scrittura, partecipa a concorsi di narrativa e di poesia sia in lingua sarda che italiana, in alcuni dei quali le sono stati conferiti premi e menzioni speciali.
Ha pubblicato una raccolta di poesie nell’opera Zefiro (2017), La silloge “Il crivello (1918) e il romanzo “I ragazzi del nuraghe” (2019).
In Bachis e Nina, recentemente dato alle stampe e impreziosito dalla copertina del pittore nuorese Mario Adolfi, i nomi dei luoghi (Currenpalu, Tres Montes, Ghele ecc.) e dei personaggi (Lillia sa maghiarja, Pascale Porcu, Felicino ecc.) sono immaginari, tuttavia Il testo sottende chiari riferimenti autobiografici per quanto attiene al suo vissuto, così come di facile identificazione è l’ambientazione delle varie storie.
“Nella mia mente – conferma l’autrice -, con fantasia ho rivisitato tutta la mia esperienza orunese, tuttavia si può riconoscere Mutzu ‘e turre, lo stradone e la piazza del mercato, agorà orunese e tanto altro”.
Come è nata l’idea di questo libro?
“Anche per questo romanzo, come per “I ragazzi del nuraghe”, scriverlo è stato un qualcosa di spontaneo, un naturale desiderio di omaggiare Orune e nel ripercorrere quei ricordi ancora oggi mi pervade una forte emozione e questo credo sia molto bello. In quel luogo, dove di recente sono tornata per cortes apertas, ho lasciato il cuore e gli affetti. Questo il motivo per cui ho voluto dedicare l’opera al mio paese che tanto ha dato ai suoi figli e meriterebbe maggiore attenzione”.
Nelle pagine del testo l’autrice dà voce a quello che è il suo pensiero, costruendolo attraverso l’evoluzione e la formazione dei due protagonisti Bachis e Nina, identificandosi ora nell’animo maschile ora nell’animo femminile. A partire dall’infanzia dei due personaggi ripercorre il loro vissuto fino alla maturità quando, presa coscienza ciascuno del proprio compito, entrambi si trovano a riflettere sul futuro di Orune, paese ricco di intelligenze e, indicandolo come portabandiera di una società rinnovata, moderna e fucina del sapere, lo investe di un ruolo guida, forte e sicura del concorso di tutte le persone che lo amano quanto lei e come lei, convinti di un suo ruolo da protagonista. L’autrice conosce l’ambiente agropastorale, la saggezza delle persone che fanno pare di quella comunità, l’esperienza dei padri che hanno custodito e tramandato alle generazioni future secoli di storie, esempi, esperienze e insegnamenti, che con rinunce e sacrifici hanno dato la possibilità ai figli di acculturarsi e di contribuire a rendere il mondo migliore. Niente deve cadere nel vuoto.
Nel testo Mariantonietta elabora un progetto per perseguire questo sogno, ne indica i mezzi, i modi e i tempi di attuazione chiamando a raccolta tutte le energie del paese che sono andate via lasciando che Orune si svuotasse. Il suo è un grido sofferto, quasi avvertisse su di sé un velato rimprovero di chi oggi non c’è più ma vive ancora nel vento, nelle rocce, nelle case abbandonate in attesa che i propri figli ritornino a rifugiarsi nel grembo materno. La sua voce, custodita nel tempo, oggi si leva spontanea, nella speranza che non rimanga inascoltata.
La scrittrice mette a conoscenza del lettore questo suo pensiero che dopo averlo accarezzato con tanto amore, intende condividere con chi come lei è animata dallo stesso desiderio.
“Quello che oggi vi propongo è un progetto, che non è solo un sogno, ma è qualcosa che può essere realizzato e con la sua attuazione molti dei nostri giovani potranno tornare in paese”.
Lo fa rievocando storie e personaggi di un passato che ha vissuto da bambina, memorie custodite in fondo all’anima e riportate nelle pagine del suo libro con la dolce nostalgia di cui si ammantano i ricordi filtrati nel tempo: i giochi che accomunavano tutti i bambini, le storie raccontate le sere d’estate, i banchi di scuola, il liceo, i viaggi quotidiani col postale per raggiungere la scuola a Nuoro.
“Quando ero piccola – racconta ancora – il buro era il tesoro e nel libro io l’ho collegato allo strumento virtuale che avrebbe reso possibile il mio sogno. E’ la scuola che ci può affrancare da tutto e sulla cultura dobbiamo costruire se vogliamo uscirne fuori, non abbiamo altre possibilità. Orune, paese di alta collina, dove i terreni non sono buoni, è un paese povero e gli orunesi sono dovuti andare fuori, ci sono rimasti quelli de su Cumonale, terre non fertili. E poi abbiamo quel vento che avvolge il paese e il territorio che ci circonda, i nostri problemi li abbiamo. Ma ad Orune, come ha detto Grazia Deledda, ci sono donne e uomini intelligenti, e c’è tanta ironia e dove c’è ironia c’è intelligenza e lì sta la nostra forza, quindi occorre sfruttare appieno l’intelligenza”.
A chi è destinato questo libro?
“Dedico il libro al mio paese, al vento e al granito, metafora di colombi e sparvieri, antipodi di una terra forte, di una pietra dura, mentre il vento è dinamico e leggerezza. Noi siamo queste due cose messe insieme, siamo le contraddizioni orunesi. Vorrei fosse gradito agli orunesi e che abbia un più ampio respiro”.
Parafrasando il pensiero di Tolstoi “Descrivi il tuo paese e sarai universale”, Maria Antonietta Mula si augura che la sua opera travalichi i confini di Orune affinché in essa si riconoscano e si possano ritrovare in tanti.
Sono rimasta senza parole, non mi aspettavo una recensione… almeno non ancora, perchè non me ne avevi parlato. Adesso la condivido con orgoglio, e ti ringrazio amica cara!💖🤗😘