di TONINO OPPES
Lo scorrere del tempo a Padria è scandito dalle foto di Pietro Monti che si alternano come le stagioni della vita: la primavera (su beranu) mostra i volti sorridenti dei bambini; l’estate (s’istiu) regala i primi piani sognanti dei giovani; l’autunno e poi l’inverno (s’atunzu e s’iljerruè) documentano invece l’età di mezzo e quella dei ricordi.
Tutte le fotografie in bianco e nero (i colori della memoria) custodiscono storie vere e sfogliarle con attenzione, pagina dopo pagina, è come aprire una finestra sul passato. Quasi diventano paristorias di paese narrate attorno al fuoco con la forza delle parole semplici. Ecco i visi sorridenti o imbronciati di bambine e bambini che vogliono crescere, ecco gli sguardi severi e profondi di gente che non c’è più: sembrano in posa per la Storia della comunità davanti alla Canon del fotografo-pastore che, finito il lavoro in campagna, si divertiva a fotografare i protagonisti del suo paese. Molti, a Padria, conservano gli scatti di Pietro Monti che raccontano (dalla metà degli anni ottanta fino al 2013, anno della sua improvvisa scomparsa) trent’anni di vita del centro sorto sulle rovine dell’antica Gurulis Vetus.
“Ha lasciato quattordici mila fotografie, quasi tutti ritratti. Noi abbiamo voluto recuperare una parte di quel patrimonio di immagini per regalarlo alla comunità”, dicono gli autori del volume. Così è nato Zente de Padria, il libro voluto da Antonio Cocco, Angelo Marras e Salvatore Monti che hanno messo insieme trecento fotografie e poco testo; eppure questo bel lavoro, spesso accompagnato dai versi del grande poeta Rimundu Piras, si legge come un diario dove ognuno è libero di scrivere aneddoti a partire dall’immagine di copertina dedicata a tiu Tottoi Poddighe: con passi lenti ma fieri si muove con il suo carico prezioso, due fiaschi di vino rosso che presto diventeranno brigliotto da bere con gli amici in qualche cantina… assazza cantu est bonu… Il resto, lasciamolo dire agli altri…
Tutte le foto sono sequenze di vita reale. Guardatele bene e poi, per un attimo, chiudete gli occhi. Vi sembrerà di riallacciare parentele perdute o di recuperare vite inghiottite dal tempo scritte da donne e da uomini che con la loro presenza hanno animato carrelas antiche, ora sempre più vuote, e con la mente tornerete sui luoghi dell’infanzia che resta sempre un grande serbatoio di ricordi.
Ecco, allora, perché un’opera come questa si trasforma in un atto di amore per “il paese dell’anima” che è quel luogo dove ognuno di noi, anche quando va via, custodisce, come veri tesori, i legami più forti e ritrova le proprie radici. Ci domandiamo spesso: a chi sono rivolti libri come questi? Intanto a noi stessi che nel paese siamo nati e cresciuti, e abbiamo deciso di viverci anche se abbiamo smarrito il valore delle cose semplici; a chi per lavoro è andato via ma non vuole rompere con il proprio passato perché ovunque vai ti porti appresso il marchio, quasi impresso a fuoco caldo, del luogo d’origine; e, infine, sono rivolti ai giovani che, distratti dal tempo fugace del mondo contemporaneo, si soffermano poco sulla vita della loro comunità, ma soprattutto di quella dei loro nonni e dei loro genitori. Ormai mancano il calore del racconto e del dialogo. Si insegue la globalizzazione a discapito del contatto diretto tra vicini di casa. L’oblio è dietro l’angolo: pronto a cancellare, con un colpo di spugna, pagine del nostro vissuto e con esso la storia di chi siamo stati.
Viviamo un tempo accelerato. Ritmi frenetici animano le nostre esistenze. Abbiamo una visione del mondo in tempo reale. Conosciamo le storie nel momento in cui accadono, e questo è un bene, ma cosa sappiamo delle nostre piccole comunità che sembrano destinate all’estinzione? Quale fine faranno i nostri piccoli paesi? Lo spopolamento avanza. Certo ora sono molto più belli rispetto a cinquanta anni fa; però sembrano villaggi senz’anima, sempre più vuoti, anche se la cosa più triste che possa capitare agli uomini è dimenticare. Contro questa direzione va il pregevole lavoro fatto da tre amici in memoria di un uomo di campagna con la grande passione per le foto. Ecco perché quelle immagini di Pietro Monti sono un viaggio nel passato di una comunità che ha la forza di riscoprire sé stessa. In fondo ogni istantanea custodisce una storia, e dietro una storia ci sono tante altre storie: c’è il paese intero che rivive stavolta non attraverso i luoghi simbolo, i monumenti più importanti, i paesaggi, ma grazie ai volti della sua gente.
Tutto questo è, Zente de Padria, il libro che racconta la comunità con trecento scatti fatti di primi piani dove, come nel film della vita, sguardi rigidi o riflessivi si alternano a sguardi acuti o sognanti. “Purtroppo tante foto, e quindi tante persone, sono rimaste fuori dal progetto e ci dispiace” dicono gli autori di questa bella e singolare iniziativa. Beh, si può sempre pensare ad un secondo libro e, nell’attesa, valga per tutti la frase che don Milani rivolse nel suo messaggio-testamento ai parrocchiani di Barbiana: “Cari altri, non vi offendete se non vi ho rammentato.”
Bravi conosco Padria he un bel paesino, Auguri per la presentazione.
Portate anche fiaschi di 🍷 vino ? …allora veniamo
Belle parole, come sempre, caro Tonino.