di GRAZIANO BULLEGAS
Cambiano i governi, ma la musica è la stessa: trasformare la Sardegna in un hub energetico che da un lato soddisfi gli appetiti delle multinazionali delle fossili e dall’altro sia funzionale alla speculazione legata alle energie rinnovabili.
Chi pensava che la dorsale del gas fosse un capitolo accantonato resterà deluso: eccolo riaprirsi sotto la spinta di quei poteri occulti che hanno interesse alla sua realizzazione. Assistiamo in questi anni ad una politica energetica schizofrenica. Da un lato si incentivano senza regole, né governance megaimpianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, dall’altro si dissipano risorse ingenti in inutili infrastrutture per la diffusione del gas.
Il metano è un combustibile fossile definito “di transizione”. Come tale ha gli anni contati a causa delle emissioni derivanti dalla sua combustione e per la sua stessa natura di gas climalterante. Pur se considerato nella vulgata il più verde dei fossili per il poco particolato primario, produce comunque in fase di combustione pericolosi inquinanti gassosi tra cui il biossido di azoto e il biossido di zolfo, con pesanti ricadute sanitarie sul breve periodo.
Investire in infrastrutture legate al gas fossile contrasta dunque con gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra ed ostacola la transizione a fonti energetiche meno impattanti. L’Unione Europea si è impegnata a ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 (target fit for 55) e a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Costruire nuovi gasdotti e rigassificatori significa aumentare la dipendenza dal gas fossile ed ostacolare gli sforzi per raggiungere gli obiettivi Comunitari. Inoltre la realizzazione di queste infrastrutture si pone in aperta antitesi con gli indirizzi formulati dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) che, nelle sue indicazioni per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, qualifica come insostenibile qualunque futuro investimento in fonti fossili.
Piuttosto che sperperare ingenti risorse economiche nella realizzazione di metanodotti e rigassificatori, basterebbe investire solo una quota parte di esse nello sviluppo delle energie rinnovabili, privilegiando autoproduzione, consumi condivisi ed efficienza energetica, riducendo in tal modo la dipendenza dell’Italia dal mercato estero delle fossili.
Oggi la Sardegna non ha bisogno di nuove infrastrutture per continuare ad alimentare la cultura dei fossili. Serve invece una seria politica energetica che metta al centro gli interessi dei Sardi, che sottragga gli incentivi alla speculazione energetica legata ai grandi impianti da FER per indirizzarli verso le Comunità energetiche, che persegua la riduzione dei consumi energetici anche attraverso il miglioramento di un edificato anacronistico per tecnica e scadente per qualità.