Marco Dettori
di CARMEN SALIS
La nuova opera di Marco Dettori, presentata nella biblioteca di San Sperate, suo paese d’origine, è una raccolta di racconti brevi: Questioni di tempo (Amicolibro Edizioni).
Marco, dopo il romanzo hai sentito il bisogno di tornare alle origini: il racconto breve. Il racconto breve è stato il primo genere letterario che ho affrontato come autore, ed è stata un’ottima palestra per allenare la scrittura e affinare il mio stile personale. Dopo il mio romanzo “Il paese senza vento” ho sentito la necessità di mettere un punto fermo alla mia produzione di racconti ormai più che decennale, ed è stato anche un modo di uscire per un momento dal genere “giallo” che invece caratterizzava i precedenti lavori. I racconti sono una forma letteraria a cui sono molto legato, come autore e anche come lettore, perché sono uno sfogo per tante idee. Una raccolta di racconti consente spesso di affrontare una varietà e un’ampiezza di temi che il romanzo invece non permette.
Il tempo che unisce e scompiglia. Il tempo: chi di noi può dire di non doverci fare i conti? Mi sono accorto che la maggior parte dei miei racconti toccavano, a volte sfiorandolo, a volte buttandosi proprio dentro, questo tema. Come scrivo in una di queste storie, “Il tempo è una grandezza sconosciuta su cui non riflettiamo abbastanza”. Il tempo fa parte delle nostre vite, a volte ci è alleato a volte invece ci tira uno sgambetto. Il tempo è comune a tutti eppure è anche così diverso per ognuno di noi. È un tema molto letterario e che mi ha sempre affascinato, portandomi a creare queste venti storie più disparate.
Attraverso “il tempo” in questa raccolta porti il lettore a riflettere anche su fatti reali e dimenticati. Ho una formazione storica, dovuta ai miei studi universitari, quindi ho voluto dedicare una sezione di questo libro a dei racconti che fossero ambientati in determinati periodi storici. Sono racconti che hanno come protagoniste persone che si trovano a vivere fatti della Storia, tra fascismo, guerre, rivolte popolari e anni del terrorismo. Un racconto, ad esempio, è dedicato alla figura di Giorgio Ambrosoli, un altro ricorda alcuni episodi dolorosi del dopoguerra italiano, come la strage del Rapido 904 e le stragi di mafia degli anni Novanta. Alcuni di questi fatti credo che oggi siano un po’ dimenticati, forse perché ancora controversi o perché toccano corde sensibili della società italiana, ma ho sempre creduto che la memoria debba essere continuamente alimentata, anche dalla letteratura, per non rischiare che proprio il tempo la seppellisca e la deformi inesorabilmente.
Cosa hanno in comune i tuoi personaggi? Si tratta per la maggior parte di persone comuni che vivono la loro quotidianità. A volte ne colgono le sfumature paradossali, a volte affrontano difficoltà inaspettate. Spesso sono personaggi che si muovono, che prendono un treno o compiono un viaggio: un po’ perché il viaggiare è una metafora proprio dello scorrere del tempo, un po’ perché il movimento a me personalmente ha sempre portato ispirazione per le mie storie. Molto spesso scrivo in prima persona, perché mi piace immedesimarmi nei miei protagonisti: è un po’ come vivere tante vite in una sola, che in fondo probabilmente è anche una delle ragioni per cui si scrive.