Roberta Sale
di SERGIO PORTAS
Pierre Bourdieu, filosofo e uno dei maggiori sociologi contemporanei, se ne è andato nella Cabilia algerina per studiare i sistemi di potere che sottendono al vivere delle tribù berbere, Feltrinelli avrebbe pubblicato da noi il suo: “Il dominio maschile” nel 2014, ma per porre in evidenza la costruzione mentale, la visione del mondo con la quale l’uomo ( o sarebbe meglio dire il maschio) appaga e contemporaneamente afferma la sua sete di dominio in una visione talmente inclusiva che le stesse donne che ne sono vittime l’hanno integrata nel loro modo di pensare, accettando inconsciamente il destino della loro inferiorità “naturale”, avrebbe potuto più semplicemente passeggiare per le strade di Parigi, città dove ha vissuto, molto scritto e insegnato, e ne avrebbe tratto esempi a profusione. Noi, nel nostro piccolo, vivendo la vita a Milano, a Saluzzo, a Villacidro. Che codesta visione androcentrica è una di quelle “forme” che Pino Polistena studia da tempo e sviscera nel tentativo di utilizzare un approccio originale nello studio della politica (vedi: Giuseppe Polistena: “Politica, questa sconosciuta”, Mimesis Edizioni), attraverso la forma si può assumere il concetto che i singoli esseri umani non sono i soli protagonisti dei fatti storici e sociali (pag.252). Ma che esistono, e molto potenti, forme che li trascendono, e li fanno agire di conseguenza, per cui noi troviamo del tutto naturale, se nati in Europa, che la famiglia sia composta in un certo modo, che la religione “più vera” sia quella che proviene da Cristo, e così via, e che a comandare, a dare le carte del mazzo, debba essere l’uomo, perché così è sempre stato naturalmente. Non potremmo pensarla diversamente, e magari un qualche dubbio ci verrebbe se andassimo a vivere per un po’ in qualche cittadina del Gujarat indiano, in qualche isola fatata della Papua Nuova Guinea. Chiunque, maschio o femmina che sia, ignori che i sapiens che noi siamo abbiano costruito nel tempo società diverse i cui valori fondanti sono ontologicamente relativi, cioè uno non è mai “più vero” dell’altro, è semplicemente un ignorante, uno che non sa o non vuol sapere. I femminicidi che molto scalpore continuano a suscitare nell’immaginario collettivo, per numero ed efferatezza, sono lampante dimostrazione di quanto difficile sia scalzare il dominio di pensiero che soggiace sempre a tali episodi di criminale barbarie. Una prolusione anche troppo lunga per farvi partecipi dell’incontro che si è tenuto al circolo sardo di Milano, dove Roberta Sale, nuorese di Dorgali, fresca reduce dal salone del libro di Torino, dove la sua Sardegna era “regione ospite” e grande è stata il successo di pubblico e di vendite, è venuta a presentare il suo: “Un filo nel vento, storie di donne”, Ilisso edizioni. A farle da cornice tre donne che, come lei ora, hanno insegnato materie letterarie nelle scuole italiane, hanno scritto libri, da sempre in prima fila per il loro impegno femminista, il tenace grattugiare con un tagliacarte quella muraglia patriarcale che costituisce il pensiero dominante del mondo. Tutte e quattro sono esempio vivente che, a eguale lavoro, si debba una eguale retribuzione, che si possa far carriera sino a diventare Preside, sin ministra della Pubblica istruzione. Cose queste che, in altri ambiti, sono assolutamente impensabili. Pasqualina Deriu, che è di Silanos, scrive da sempre anche di poesia, Mariantonietta Antelli è docente dell’Università delle donne e Concetta Brigadeci ha presieduto per il triennio 2018/ 2021 l’Unione Femminile Nazionale, l’associazione nata nel 1899, cooperativa dal 1905, che si proponeva e si propone per una parità di diritti sociali, civili e politici. Ricordare che le donne italiane abbiano avuto diritto a votare solo nel 1946, è rimarcare che ci vogliono sconvolgimenti epocali, una guerra mondiale in questo caso, per mutare comportamenti sociali e politici che parevano scolpiti nel marmo. Come comandamenti mosaici. E, di converso, come sia difficile e arduo per le donne islamiche, mutare il loro status sociale, scolpito com’è nella tradizione che, come le radici di un albero, traggono la loro linfa dal loro libro sacro, il Corano , che è parola di dio. “ …Ecco quello che Allah vi ordina a proposito dei vostri figli: al maschio la parte di due femmine…Questo è il decreto di Allah. E nella stessa sura, la numero IV: An-Nisa: Le donne: “…Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre, e perché spendono per esse i loro beni…”. E ora che ci sono donne che guadagnano più dei loro uomini e spendono per essi i loro beni? Il libro, copio dalle “note di lettura” di Roberta Papandrea: “Ci presenta 20 storie di donne in uno spazio narrativo che, partendo dalla mitologia classica, arriva ai tempi moderni, per approdare infine alla storia di Guendalina. Quest’ultima, giovane professoressa di oggi, vive amori tormentati in rapporti di dipendenza psicologica…(pag.7).
Si rincorrono nel libro Arianna e Medea, Lucia (quella dei promessi sposi) e Maria (la Callas) e ancora Antigone e Penelope, Elena ( della guerra troiana), una breve storia per ricordarci di loro e poi una loro voce che riflette sulle avversità che hanno attraversato, sui molti uomini che le hanno spesso abbandonate, umiliate anche, per seguire cammini che di norma il Destino ha segnato per loro, che la “forma uomo” che li trascende li costringe sempre a mettere avanti scelte di scoperte e viaggi ardimentosi, lotte fratricide, conquiste di città, tutto e sempre a scapito dell’amore. “Te ne sei andato di nuovo, Odisseo, inguaribile cercatore di orizzonti. E questa volta non tornerai” (pag.38). E Didone: “Vai via Enea dai giusti valori, che il mio silenzio possa minare per sempre le certezze della tua vita devota” (pag.44). Dice Roberta Sale di Grazia (Deledda): “…Grazia lascia l’orlo dell’Isola, seguito dal vago senso di colpa e di nostalgia che prende l’anima…da qualche parte di lei, anche mentre cammina sicura lungo le vie del Continente, anche mentre sorride nei suoi occhi di bosco, o parla intimidita ad una platea del nord dell’Europa, c’è ancora la bimba che ascolta il vento correre sulle montagne” (pag.77). Le parole come colpi di pennello di tasso su di una tavolozza: “Io scrivo come stessi dipingendo, anche se non ne sono capace, ho studiato a Milano, in “Cattolica”, non posso dire che per me questo non sia stato un libro terapeutico. Passavo un brutto momento e sentivo molto vicine a me, mamma, sorelle, mie amiche: un cerchio ideale che mi raccontavano le loro storie. Storie universali, tutte le chiamo per nome perché le sento come sorelle. Mi davano un filo di speranza in tempi migliori, e nel filo c’è l’idea del tessere. Abitando il tempo accompagnata da venti donne che con le loro illustrazioni hanno formato una tela fantastica. E’ durata un anno la ricerca, ero accompagnata dalla mia editrice, Luciana Comes, una visionaria che vede lontano…ci siamo messe a studiare il loro mondo, ciascuna di loro conosceva solo il proprio racconto. C’è stato un riconoscersi, uno specchiarsi. Alcune di loro sono molto famose ma sono state anche molto generose. La Guendalina finale l’ho immaginata metà uomo metà donna, il maschile e femminile che tutti abbiamo dentro. E perché l’amore non risulti accecante e ci faccia camminare insieme, tuti i personaggi dovrebbero trovare il giusto equilibrio tra queste due metà. Nell’epilogo ho cercato di condensare questo messaggio. Rievocando le nostre streghe isolane, e ribadendo ancora una volta che il radicamento è liberazione. Liberazione di amare solo dopo che si è imparato ad amare noi stessi”. Pasqualina Deriu inserisce il libro nel solco di un dibattito che muove dagli anni ’70 e non si è mai spento. La presa di coscienza delle donne, Roberta, dice, non solo narra e descrive ma dà voce alle protagoniste con una scrittura poetica allo stato puro. Per ritrovarsi, loro, debbono guardarsi dentro. Vittime spesso di troppo amare: Rilke lo guarda con sospetto codesto sentimento: chi è amato non regge a tanto amore. E ricorda anche la vita amorosa, troppo passionale, di Marina Cvetaeva, poetessa russa dell’inizio 900. Le donne qui descritte sono comunque libere nel cuore e nella mente. Per Cettina Brigadeci siamo al cospetto di un libro lirico, anche se alla fine è anche un poema dell’orrore, dell’abbandono. Ha una veste tipografica preziosa, una struttura organica, con storie che si rincorrono e poi si ricongiungono. Dal mito a una produzione letteraria, e anche vita concreta, tutte una sorta di archetipi con una Grecia che è più una regione psichica che geografica. Ci sono emozioni, sentimenti, una metafora del mondo “alla Hilmann”, una “discesa nella caverna” per le nostre anime. Poema di dolore, dell’abbandono all’altro che fa perdere tutto, le ragioni, gli affetti. Arianna è la prima e lega le altre col suo filo. Mariantonietta Antelli ne legge dei brani, mi limiterò a far parlare il testo, legge di Lucia che nel capolavoro manzoniano non parla poi molto, ma quando si rivolge all’Innominato nel 38° capitolo, sono 10 righe che rimarranno per sempre nella letteratura italiana. E poi è la volta di Madame Butterfly e di Maria Callas, che alla fine della sua storia d’amore ritorna ad essere la ragazza goffa di un tempo. Ultimo ma davvero non meno importante: le illustrazioni. Sono venti le illustratrici che con le loro opere colorate hanno acconsentito ad accompagnare le storie rinarrate da Roberta, quasi tutte nate o calpestanti l’isola di Sardegna, usando tecniche e strumenti i più disparati dall’acrilico al collage, ai pastelli su carta e matite colorate d’arcobaleno. Poi, a sorpresa, c’è un maschio in chiusura, Simone Loi che gioca con la grafite, il carboncino, gessetto e pastelli su carta. Il suo “occhio grande quanto un sole che guarda la luna” divide la pagina dell’”Isola che c’è”: “…la Sardegna è la terra di Guendalina, tra l’ora blu e le falesie calde di sole, la luce bianca del margine a sud e l’urgenza del volo a cui segue il ritorno”, scrive Roberta. E il “Narciso allo specchio” di Roberto Pinna che le ricorda quanto: “la storia la scrivono e riscrivono i vincitori, la storia sono gli uomini che la piegano al loro universo guerriero, e i poemi li scrivono i sommi poeti, che degli uomini sono fedeli cantori…allora chi mai, oltre le donne leggerà questo poema…saranno gli uomini liberi dal pregiudizio, quelli che bussano prima di entrare…Saranno gli uomini che amano davvero le donne”.
Complementi dal Circolo Sardo di Neuquén e Patagonia Argentina “Domus sardinia “