INCONTRO DI LETTERATURA A NUORO: POESIA, ARTE E BELLEZZA PER DARE UN SENSO COMPIUTO E SIGNIFICATO ALL’ESISTENZA

Cristoforo Puddu (foto di A. Zidda)

di CRISTOFORO PUDDU

Idealmente ogni inizio d’anno è dedicato alla Giornata Mondiale della Pace, con senso di profonda universalità ed ecumenismo; dunque, una giornata portatrice di valori che rappresentino il vero volto ed animo umano, ed indichino un percorso di umanità e speranza, da coltivare e perseguire illimitatamente.

Noi tutti vorremo vedere ed avere occhi per “cose nuove”, ma la storia del genere umano (fortunatamente una minima parte!) sembra costantemente operare per la guerra.

Guerra non è solo intendere il conflitto bellico, ossia la massima rappresentazione del dolore e di negazione dell’amore, ma guerra è quando in una comunità manca dignità, libertà, fratellanza e senso di giustizia; guerra è quando non si promuove la crescita e la ricchezza di pochi significa la povertà e la sofferenza di tanti… Guerra è, in una parola, disumanità! Il culmine e “La sommità della disumanità” è rappresentato significativamente nell’opera di Rosetta Murru, già nel titolo, che tutti noi abbiamo potuto vedere a testimonianza “di dolore e sofferenza” nella complessità delle composizioni di questa rassegna artistica; sia nelle elaborazioni pittoriche e fotografiche che nelle opere di scultura o di letteratura.

I grandi poeti, e penso a Bertold Brecht, che con estrema semplicità lirica ci ha donato questi versi educativi e pedagogici: I bambini giocano alla guerra./  È raro che giochino alla pace/ perché gli adulti/ da sempre fanno la guerra,/ (…) È la guerra./ C’è un altro gioco/ da inventare:/ far sorridere il mondo/ non farlo piangere/.

Giuseppe Ungaretti, con estremo senso di invenzione poetica, dettata dal vissuto di guerra e dalla scrittura in trincea, è invece immediato e perentorio: Non gridate più/ Cessate di uccidere i morti/. Ungaretti motivava così l’essenzialità ed ermetismo dei suoi versi: “Avevamo fretta. Bisognava dire delle parole decisive, assolute, e allora ecco questa necessità di esprimersi con pochissime parole, di ripulirsi, di non dire che quello che era necessario dire”.

Salvatore Quasimodo, nel componimento Uomo del mio tempo: Sei ancora quello della pietra e della fionda/ uomo del mio tempo/. E in un mondo “della pietra e della fionda”, abbiamo ancor più necessità della bellezza e della poesia a risvegliare e rinnovare la nostra umanità. Versi che nelle loro diversità lirica, hanno la forza di “ferirci” e farci meditare

La poesia lirica coltivata diffusamente nel secolo scorso, dopo aver attraversato epoche e realtà storiche, ha consacrato e indirizzato anche l’attualità letteraria verso una forma poetica che, per idealità e valori, esprime con immediata vitalità e nel modo soggettivo l’esperienza dell’io individuale; questa linea compositiva, considerata forma artistica alta e pura, ha permesso ai poeti di cantare l’amore e il dolore, la pace e la guerra, i sentimenti interiori e quelli rappresentati dalla vita quotidiana, le emozioni, la natura, la memoria individuale-sociale e naturalmente i sogni e le aspirazioni che alimentano lo scorrere della vita di tutta l’umanità.

La poesia lirica è espressione di forma popolare, quando nel nostro caso, si esalta e arricchisce nell’impiego de sa limba sarda (ma vale per tutti i linguaggi vernacolari e dialettali),  perché attinge fondamentalmente all’identità e all’originalità culturale ed espressiva di un popolo.

La poesia europea del Novecento, per ruolo e contenuti, ci appare segnata dalle drammaticità storiche delle due guerre, da significativi e rappresentativi periodi di speranza e di ricostruzione, da vari movimenti di resistenza, da rivoluzioni, da violenze repressive dittatoriali e da quanto la memoria storica ci insegna e tramanda….

Tutto ciò forgia per una poesia di sensibilità a dimensione umana con aneliti di pace, di giustizia e per elaborare messaggi forti da valorizzare con gli eterni sentimenti dell’uomo e della natura. Tanto che l’assordante ed esasperato silenzio degli ultimi ed emarginati diviene poesia di voce universale.

La poesia che affonda radici in oscurità e mistero, quando si alimenta nel sentimento dell’amore – sia esso pubblico o privato – origina e sviluppa compiuti orizzonti di speranza. I segni della speranza nella poesia con “carattere di universalità”, sono gli stessi che Eugenia Cervello ha voluto sottolineare con i suoi scritti a commento delle opere presenti in questa rassegna artistica, curata dall’Associazione Lumen, in cui le idealità poetiche dell’arte e della bellezza vanno oltre il tempo e lo spazio per dare un prezioso “senso e significato all’esistenza”.

La poesia significa grande tensione e consapevolezza per ribadire il senso che intercorre tra arte, creatività poetica e sentimento; l’amore nella poesia, ed espresso dalla poesia, proietta nell’orizzonte illimitato dell’essere che argomenta la consapevolezza delle esperienze umane, del senso del mondo e della luce del trascendente che illumina ogni essere. Questo sguardo poetico e luce trascendente rende vivo e vitale il mondo con il raggio dell’amore e della libertà. Ecco il punto d’incontro, esplicitamente voluto da  Eugenia Cervello, curatrice della mostra e dei testi critici, QUANDO L’ARTE DIVENTA PROGETTO UMANITARIO e varca Frontiere… viola i Bunker… e si attiva concretamente per lenire sofferenze e LE LACRIME DEGLI INNOCENTI, nel totalizzante CONFRONTO CON LA DIVERSITÀ; dunque “l’Arte e la Letteratura, diventa una terra di nessuno che da luogo a processi di scambio tra culture differenti”.

Platone aveva scacciato i poeti dalla repubblica dei filosofi proprio perché gli era sfuggito il senso liberatorio della poesia, insito al destino di libertà dell’uomo, che egli attribuiva, invece, alle virtù della ragione dialettica.

Una libertà terrena, quella dell’uomo, che dovrebbe esprimersi ed agire per amore e con la luce, come ci dirà poi Sant’Agostino, originata dall’atto divino della creazione. Ma il nostro andare ha spesso altri percorsi e le azioni dell’uomo non sono caratterizzate né dall’amore né dal senso di libertà.

Mario Biancacci, Eugenia Cervello, Cristoforo Puddu

Il poeta vede quella luce e coglie lo sguardo d’amore che ha generato l’umanità, e appunto così nasce la composizione presentata alla rassegna artistica nuorese:

L’AMORE BRUCIA I CONFINI

L’amore brucia i confini

e culla l’innocenza

nella speranza silenziosa

di brandelli da ricomporre

nel mosaico dei cuori;

mute invocazioni a preghiera

lacerano l’immenso

tra verità contraddette

e azioni rivelatrici

di archi tesi e protesi

a sfida sulla soglia…

attimi mai trascorsi 

– già dimentichi di ieri

senza oggi e domani –

avvinghiano il tempo

nella vita fuggevole

di sorriso che affratella

l’eterno andare del mondo.

La saggezza effimera dell’uomo

tra frammenti mortali di gloria

si dimostra violenta antinomia

al dolore e pianto combattivo

di un popolo fiero nella fede

di irrinunciabile radicata libertà

nel coltivo di bellezza e identità.

…Se penso ai nuovi Cristi

mi si spezza un fremito di canto!..

E l’incertezza di scogli perenni

hanno orizzonte in un’Isola

e nell’accoglienza di un nido

che profuma di mare e lentisco

mentre la luce del sole

riempie raggiante il giorno

nell’equilibrio di linee-valori

segnati dal ciclo delle stagioni

e di salvifica pioggia divina.

Ali invitanti si popolano

di case custodite lontane:

i ricordi affiorano a speranza

negli occhi e nei cuori ucraini

di donne di madri e bambini.

(Le mie sono solo parole…

raggiungibili e afferrabili

se l’udito dell’anima

si purifica sconfinando d’amore

 – sul filo dell’orizzonte

rovente di esplicito male –

tra lacrime d’innocenza

a pronunciabile senso di verità

e lascito-traccia di umanità

quando l’intero tempo

fuori dall’uomo si adagia.)

Lo sguardo del poeta sul mondo è dettato dall’amore, lontano da limiti, vincoli e calcoli; quando lo sguardo partecipe si posa sul dolore e sofferenza dell’uomo, i versi evidenziano il “… dolore e pianto combattivo/ di un popolo fiero nella fede/ di irrinunciabile radicata libertà/ nel coltivo di bellezza e identità”. Il poetare affina i sensi e sovverte l’ordine corrente ed esteriore delle cose per riscattare, in primis, l’integrità e la dignità della persona. Anche tra le macerie umane e materiali non sacrifica la speranza: salva gli affetti, le cose amate e le cose della memoria che custodiscono i segni di radice e identità e quindi “Ali invitanti si popolano/ di case custodite lontane:/ i ricordi affiorano a speranza/ negli occhi e nei cuori ucraini/ di donne di madri e bambini”.

Tanti sono convinti che il poetare, e i poeti stessi, in questa società non rappresentino forza, muscoli o energia. Certo non è così, perché la poesia ci riporta all’origine e scommette, trasmettendo la voglia di ricominciare ad impegnarsi sul senso e i valori della vita, con i significati essenziali di solidarietà e di accoglienza che affratella. Accoglienza che ho voluto sottolineare nel richiamo dei versi dedicati all’ospitalità sarda: “E l’incertezza di scogli perenni/ hanno orizzonte in un’Isola/ e nell’accoglienza di un nido/ che profuma di mare e lentisco/ mentre la luce del sole/ riempie raggiante il giorno/ nell’equilibrio di linee-valori/ segnati dal ciclo delle stagioni”. Questa energia, dicevo, si riconosce, ed è visibile nel bisogno che l’io poetico, in generale, pone nella centralità dell’esistere ed essere per recuperare il senso del vivere. Il poeta cerca il dialogo, il confronto, si interroga sul destino dell’uomo e del mondo e invoca la necessaria “salvifica pioggia divina”.

Si è testimoni di sofferenze in un’epoca segnata dalle storiche e tragiche vicende dell’umanità, perché “la saggezza effimera dell’uomo/ tra frammenti mortali di gloria” si alimenta e scorre “sul filo dell’orizzonte/ rovente di esplicito male”. Questo accade nel perdere, e si sta perdendo, il senso di bellezza e di amorevolezza per ritrovare l’incanto di cogliere la forza interrogativa che viene da lontano ed è presente dentro di noi “a pronunciabile senso di verità/ e lascito-traccia di umanità/ quando l’intero tempo/ fuori dell’uomo si adagia”.

Le nostre vite sono fatte di passaggi e anche di parole che hanno bisogno di essere meditate. Noi siamo umanità e siamo il creato che deve salvaguardare e vivere sempre quel senso di luce che poesia e arte divinamente ci dona. Dobbiamo perseguire, nel cammino che dall’esistenza ci conduce al senso del vivere, a stringere con forza il tempo e la “…vita fuggevole/ di sorriso che affratella/ l’eterno andare del mondo”.

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2 commenti

  1. Anacleto Zidda

    ANACLETO ZIDDA
    Infinite parole….forse poche per cogliere la grandezza della pace e l’irragionevolezza della guerra ma indispensabili al suffragio della vita……

  2. GAVINO LEONE
    Ben vengano le voci di pace, che facciano riflettere tutti. La voce dei poeti, inoltre, sono ancor più importanti, perché arrivano dirette al cuore. Complimenti!

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