di SILVIA MONTAGNA e MIMMO GUARAGNA
Il gruppo appassionato di Sardegna al seguito dell’amico Ivan Meloni aumenta: ci imbarchiamo in 46 sulla “Sharden” che ci culla in una tranquilla traversata e, allo sbarco ad Olbia, ci attende l’ottimo Mario Coscione, che come in passato ci accompagnerà con il suo bus Gran Turismo per l’intero percorso.
Qualcuno segretamente pensa che per Ivan sarà difficile superarsi, dopo le meraviglie e le sorprese che ci ha riservato lo scorso anno, ma scopriremo presto che la stretta collaborazione tra “Nuova micologia” e “Il Gremio”, le incessanti conversazioni avvenute già da febbraio fra Ivan e Marco Sulis, il ben collaudato tour operator della Galusè, hanno messo a punto, ancora una volta, un programma ricco di esperienze uniche ed originali.
28 maggio. Il primo giorno raggiungiamo la regione centrale del Montiferru, e a Santu Lussurgiu la prima visita è dedicata al Museo etnografico nato con le donazioni dei patrimoni di tecnologie contadine di famiglie lussurgesi, vi troviamo persino le gualchiere per la produzione dell’orbace. Passiamo quindi alla Fondazione Hymnos che si prefigge di mantenere vive le tradizioni dei canti liturgici e paraliturgici, collocata in Casa Caterina, un bel palazzotto della famiglia nobile dal 1777: sperimenteremo l’ascolto armonizzato o isolato delle quattro voci maschili di Bassu, Contra, Oghe, Cuntraltu, del “cantu a cuncordu” per le liturgie della settimana santa o, se profano, dedicato spesso a vicende amorose; canti per lungo tempo tramandati solo oralmente.
Il cibo per l’anima e la mente non è però sufficiente (“La vita dell’uomo è sostenuta da ciò che mangia e per questo il cibo è il suo tesoro”) e dopo una breve passeggiata sull’acciottolato delle vie in pendenza del paese, siamo accolti, con gusto ed eleganza da una tenace madre, Gabriella Belloni e da Lucilla una figlia lungimirante, presso l’Antica Dimora del Gruccione, un albergo diffuso che recupera con tanta sapienza ambienti, cortili profumati dalle rose antiche, arredi. Studi in filosofia e ricercatrice in Germania, Gabriella ama così tanto la casa dei suoi avi dal decidere di mettere in pratica i principi di un turismo di conoscenza sostenibile e integrato nel territorio, un sogno utopico di condivisione di vita con la comunità locale in una realtà un po’ casa, un po’ albergo. Presidio slow food per il formaggio vaccino a latte crudo Casizzolu e il bovino di razza sardo-modicana, e la chef Sara Congiu ci offre una esperienza di sapori difficilmente replicabile altrove, nella quale non manca l’utilizzo della Vernaccia di Oristano. È fuori da ogni dubbio che la qualità sia altissima: dalla fresca insalatina di finocchio in salsa di agrumi e noci, alla vellutata di cavolfiore, dai ciccioneddos al ragù di galletto capperi e limone, al risotto al Granglona con sapa e cicoria e per concludere un morbido di mela speziata. Ma il giudizio del gruppo si divide: se siano da rispettare le ricette della tradizione o siano invece lecite le più moderne reinterpretazioni? In ogni caso siamo tutti consapevoli che siamo partiti ‘alla grande’ e ci portiamo via un cuoricino di macramè fatto da Lucilla che ci farà ricordare il cuore che queste grandi donne sarde mettono ogni giorno nel loro lavoro.
Proseguiamo per Bonarcado e nel pomeriggio ci attende Don Isidoro per la visita della chiesa romanica di Santa Maria, una grande costruzione romanica in scuro basalto dalla facciata tripartita con alte arcate cieche, che guarda ad ovest, secondo il tipico romanico toscano, realizzata nel 1146, arricchita di motivi moreschi nel 1200 e rimaneggiata negli interni fino al ‘700 e per il campanile nell’800. Nelle immediate vicinanze si trova il Santuario di Nostra Signora di Bonacàtu, rinomato luogo di culto originariamente della Madonna Panákhrantos, di origine bizantina, V sec., edificato su un preesistente luogo di culto nuragico, e costruito riusando parte di un precedente complesso termale di età romana tardoimperiale. Sull’altare maggiore, una melanconica Madonna col Bambino in terracotta policroma attribuita al Michelozzo, seguace di Donatello. Giusto il tempo per riempire le borracce di fresca acqua nuragica, ma qualche nuvola troppo scura e un tuono ci fanno accelerare verso Arborea dove pernotteremo all’hotel Le Torri. L’amico Edoardo ci intrattiene lungo il percorso sia con qualche piccante barzelletta, sia con sonetti e poesie di Trilussa e Belli.
Arrivati nella cittadina, Renato Lotti ci racconta dell’utopia realizzata con la grande opera di bonifica che trasformò nel giro di alcuni decenni, una delle zone più malsane e povere della Sardegna, in una eccellenza di risorse agricole e di allevamento, impresa realizzata grazie alla Società Bonifiche Sarde, con l’ingegnere Giulio Dolcetta e finanziata dalla Banca Commerciale e dal gruppo Bastogi: stagni prosciugati e acque canalizzate con l’ininterrotta funzione della idrovora di Sassu, progettata da Flavio Scanu, investendo sulla realizzazione di linee curve e aggettanti che ingentiliscono la funzione a cui è destinata, forme moderniste e futuriste, assai differenti dalla meno blasonata idrovora di Luria, in funzione a valle dell’insediamento abitativo di Arborea; quest’ultimo progettato dall’Avanzini in uno stile decò e neogotico, vagamente montanaro e insolito per una zona decisamente piatta, attorno alla centrale chiesa del Bianchi, e completo di tutte le costruzioni necessarie per i luoghi del vivere, case, scuole, mercato, ufficio postale, destinato ai coloni per lo più veneti che qui si stabilirono. Ceas completerà la progettazione in stile ‘ventennio’ degli edifici per gli sport e per i raduni quali la casa del balilla e la casa del fascio, e, poco dopo, la caserma della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale.
29 maggio. A Laconi il dott. Giorgio Murru, l’appassionato direttore del Museo dei Menhir dà voce a pietre ogivali, scolpite anche cinquemila anni fa, con fattezze antropomorfe che oggi vengono interpretate come maschili se vi si riconosce un mantello, la schematizzazione di un volto e soprattutto il motivo a tridente del ‘capovolto’, la raffigurazione dell’atto del trapasso delle anime dei morti dalla vita terrena al regno degli inferi, simboleggiata dalla caduta a testa in giù, verso il doppio pugnale simbolo di forza eterna. Le statue femminili sono invece connotate dai seni a disco o il motivo foliato a bassorilievo rappresentativo di un seme della vita. Col suo racconto Murru ci fa immaginare la ricerca del masso più grande, in trachite, arenile bianca, porfirite scura, da scolpire pietra con pietra, giorno dopo giorno fino ad arrivare ad ottenere uno di questi giganti da issare verso il cielo. Al termine ci saluta con una sua personale dedica sul bel volume ‘Spiriti e Dei’ arricchito da foto d’arte di Nicola Castangiu.
Lasciato Palazzo Aymerich, la preparata e simpaticissima guida Oscar ci conduce quindi nel parco omonimo, realizzato all’inglese, con illusioni ottiche che amplificano gli spazi e con passaggi segreti che facevano evitare le “strade del popolo con i bimbi scalzi o i maiali scappati”; da lontano intravediamo delle gigantesche colonne policrome, ma avvicinandoci… no, non è marmo, sono meravigliosi eucalipti con tronchi camouflage, dal giallo all’arancio, dal verde al violaceo e che profumo intenso! Raggiungiamo i resti dell’antico castello e proviamo a cimentarci con l’enigma dell’incisione sulla torre, mai tradotta, che svela però la data certa del 1053, consegnandoci la più antica scrittura su pietra del periodo giudicale.
Sotto la pioggia arriviamo all’Oasi Francescana Sant’Ignazio per un pranzetto tutto sardo egenuino; dalla collina di Cuccuru ‘e Monte lo sguardo spazia verso l’orizzonte e si respira tanta serenità.
In serata raggiungiamo a Cagliari l’hotel Ulivi e palme, subito ribattezzato scherzosamente in Palmolive! Una allegra scolaresca rende la cena più rumorosa e movimentata di quanto vorremmo, ma apprezziamo ugualmente le cozze gratinate, la fregula alla pescatora, la spigola al cartoccio e il tiramisù. Dopocena iniziano le sfide di burraco ai tavoli da gioco.
30 maggio. Le infinite jacarande in fiore a Cagliari ci hanno tracciato un tappeto indaco da seguire per scoprire la città, Casteddu! Superato il neoclassico bastione di Saint Remy raggiungiamo la sommità della città, il quartiere Castello fortificato dai Pisani con solidi bastioni, dove la guida Kekko sottolinea i preziosi monumenti che incontriamo: le torri medievali dell’Elefante e di San Pancrazio, aperte sul retro; le palle di cannone incastonate nel palazzo Boyl a memoria dell’assedio francese di fine ‘700, la preziosa, seppur sobria nel candore del travertino, facciata della cattedrale che nasconde il tripudio barocco dell’interno e la cripta con oltre 190 formelle dedicate ai martiri cagliaritani, ed infine la basilica della Madonna di Bonaria.
La vista della città dall’alto svela la vastità delle lagune e delle saline punteggiate dai fenicotteri rosati, ormai qui stanziali. A nostra volta, saremo forse ancora osservati dalla sfortunata, ma affascinante Violante Carroz che aleggerebbe ancora all’interno del castello di San Michele arroccato sopra la città?
Costeggiamo la laguna coi fenicotteri del Poetto e quindi una breve passeggiata ci porta nello stabilimento balneare Frontemare per un buon pranzetto a base di pesce.
Il gruppo ora si divide: i più allenati e impavidi affrontano la passeggiata programmata nel pomeriggio per raggiungere la cima della Sella del Diavolo, in alternativa un aperitivo vista mare con qualche raggio di sole. Si rientra quindi in hotel per una cenetta completata da un ricco cestino di dolci sardi: pabassinos, tilicas, sappa, sospiri e amaretti.
31 maggio. Approfittando di un pizzico di sole a Chia c’è chi fa il primo tuffo di stagione nel mare di cristallo di la Tuerredda. E non siamo solo noi ad apprezzare la costa, qualcuno afferma che “Anche le mucche hanno capito che in spiaggia si sta bene!”. Ma è subito ora di trasferirsi nel basso Sulcis. Una Sardegna rigogliosa, profumata, è il premio che riceviamo in cambio di una pioggia che segnerà quasi ogni giorno, almeno per qualche ora. Se veniamo privati anche di un solo tramonto, non mancano però i colori intensi di gialli elicrisi, cisti in fiore, le infinite sfumature di verde di ginepri, lentischi e olivastri, l’aromatico timo e il mirto.
La visita delle Grotte di Is Zuddas sottolinea l’unicità della concentrazione in una unica sala di rare eccentriche di aragonite, i filiformi aghi che si propagano in ogni direzione senza essere influenzati dalla gravità, diversamente dalle tradizionali stalattiti e stalagmiti ordinatamente verticali. Sotto un nubifragio che colpisce violentemente l’intero Sulcis gli ospiti raggiungono la locale omonima trattoria dove un croccante porceddu arrostito insaporito al mirto, i ravioli di ricotta fritti al limone e al miele e l’ottimo vino rosso riportano i sorrisi.
La visita delle Domus de Janas prevista per il pomeriggio deve purtroppo essere cancellata, e torniamo a Cagliari per una passeggiata e qualche acquisto o presso la bella libreria del corso, ricca di proposte sulla regione, o in un vicino tipico negozio di filigrana sarda.
1° giugno. Raggiungiamo ad Orroli il nuraghe pentalobato, il più grande tra quelli per ora riportati alla luce. Nuraghe Arrubiu è il suo nome, per la sua rossa pietra, ma anche per i licheni d’oro e i muschi in fiore che dipingono in realtà le rocce di mille altri colori. Apprendiamo come vengano stimate le altezze delle tholos, cioè delle torri tipiche di ciascun nuraghe polilobato, in virtù della inclinazione delle pareti o quali siano i tempi necessari per la costruzione che richiede lo spostamento dei giganteschi massi.
La fitta rete architettonica -più di 8.000 nuraghi, oltre ai villaggi, alle tombe dei giganti e ai santuari crea l’unico ‘testo’ disponibile, scritto sul territorio- è ancora tutto da interpretare ed è forse tra le ragioni del legame fortissimo che gli amici sardi stabiliscono con la loro Madre Terra.
Il Villaggio Antichi Ovili ci accoglie con la meraviglia dei sapori antichi: il pane dei centenari di Kentos frutto della coraggiosa esperienza della signora Viviana Sirigu che, grazie a Marco Sulis, ci consegna preziosi sacchetti per una degustazione unica di grani antichi, senatore Cappelli, e un lievito madre saggiamente tramandato in famiglia. E poi squisite cipolle in agrodolce seguite dalla profumata fregula ai funghi rendono indimenticabile anche questo pasto. Ci spiace lasciare questo accogliente ambiente dal tetto in canna e coi grandi camini con gialle cappe dalle originali geometrie.
Ancora una volta la pioggia ci fa ripiegare in città e in molti optiamo per il museo Archeologico dove troviamo testimonianza delle civiltà nuragiche, puniche, romane: dalla opulenta Dea Madre nella ieratica postura, (adorata nelle domus de janas o case delle fate, grotticelle scavate nella roccia in tutta l’isola), al dio Bes guaritore e protettore dalla cattiva sorte; la stele punica risalente all’VIII / IX secolo a.C. che riporta la antica scritta in fenicio che alluderebbe a “Sardegna”; la licenza per un militare; i pugilatori giganti di Mont’e Prama; i preziosi corredi funerari completi di amuleti in bronzo o modernissimi gioielli in pasta vitrea e lamine d’oro.
Una passeggiata nel catalano quartiere Marina che col tempo è diventato un salottino, ci porta davanti al Palazzo Bacaredda, di fronte al mare, dove per una felice intuizione venne spostata la sede comunale del capoluogo sardo, non dovendo più proteggerla nel cuore arroccato della città. È uno storico edificio di inizio Novecento in stile gotico aragonese in pietra calcarea bianca, con decori in stile Liberty, che si affaccia sul porto cittadino come una elegante “vela” chiara.
In serata si festeggia Ivan con la candelina sul tortino dal cuore fondente e il bel concerto per sole chitarre del duo di suoi cari amici Gino e Antonino Mazzullo.
2 giugno. Finalmente una giornata di sole interamente dedicata all’escursione sulla costa Rei, sud-orientale, che ci porta dapprima a cala Sinzias, quindi nella baia di Solanas. Al ritorno cerchiamo inutilmente di fotografare ancora una volta i fenicotteri con i nostri cellulari… ma ci riuscirà solo Bruno col potente teleobiettivo.
Felici del ritrovamento di un oggetto apparentemente smarrito, ci riuniamo per la cena di polpettine di melanzane, lasagna di Carasau e involtini all’alloro e per concludere le squisite seadas! Un ultimo saluto al paziente cameriere Andrea e tutti in camera a ricomporre il bagaglio.
3 giugno. L’ultimo giorno, prima di lasciare Cagliari, una sosta al mercato di San Benedetto ci fa scoprire banchi di pesce sovrabbondanti di frutti di mare, freschissimo tonno rosso e al piano superiore pani, pardule, amaretti, pirichitos e dolci di ogni genere di cui facciamo gran scorta. Un Marco Sulis emozionato ci saluta e noi dobbiamo ormai avvicinarci ad Olbia; ma la tradizionale sosta a Posada ci riserva ancora qualche sorpresa e non solo per l’ottima cucina della Donatella, dove ci si contende ferocemente anche l’ultima saporita cozza: ammiriamo come stia procedendo la ridecorazione ad opera dell’artista Mimmo Bove del molo con flora e fauna in ceramica; i fratelli della gelateria ‘la Fragola’ ci accolgono in veranda con il noto gruppo folk Antigas Serenadas di Alessandro Magrini e con i canti al suono dell’organetto diatonico di Paolo Canu e della chitarra di Michele Mastìo ci invitano a salutarci col tipico “ballu tundu” sardo, degustando liquore di pompia e brindando con prosecco.
La bella vacanza può dirsi conclusa, ancora una volta col quesito: saremo più soddisfatti noi di un capogruppo così esperto e generoso come Ivan o lui di amici così fedeli e appassionati delle avventure che ci propone? Questo è il dilemma!
Il bel “Diario” del nostro recente Viaggio in Sardegna a cura di Silvia Montagna & Mimmo Guaragna pubblicato dal giornale online degli Emigrati Sardi TOTTUS IN PARI.
Grazie
Coinvolgente Sintesi dell’ attraversata dell’ Isola, quasi un Continente, assorbendo dalla Natura e dalla Storia, profumi, immagini, colori,sapori, musiche e volti.
Le letture della simbologia architettonica delle Tombe dei Giganti e delle Statue Menhir ( come quelle di Laconi) hanno Da sempre aperto il campo a parallelismi e a non univoche interpretazioni. Per le prime la forma e struttura è stata messa in relazione, alternativamente o con l’ energia e forza maschile rappresentata dal Dio Toro e perciò riassunta nelle corna del bucranio, oppure con l’ opposta o complementare energia femminile della Dea Madre espressa nell’ anatomia dell’ apparato genitale femminile (trombe di Falloppio, utero). Analogamente per le statue Menhir le più (rappresentative quelle di Laconi) si alternano concetti del vocabolario maschile, il tridente o Capovolto, he impersona L’ Eroe lì sepolto, la sua forza fondata sulla nuova arma , la spada di Bronzo che definisce un’ Era. La lettura al Femminile: la Stele è il Corpo della donna o Dea Madre gravida raffigurata nel momento del parto , con al vertice L’ accenno di naso appuntito e occhi del volto femminile. Nel Ventre un tridente o arco ricurvò verso il basso intersecato da una verticale. Cioè il nascituro che dal ventre materno si affaccia alla vita. Quindi il ciclo misterioso della Vita nascita, morte e rinascita, costanti di tutte le Religioni. Riecheggiano le parole del Papa Luciani: agli inizi Dio nasce Donna. La studiosa antropologa Gimbutas che per prima studiò il Culto della Dea Madre nel paleo e nel neolitico (venne anche in Sardegna) mise in luce il nesso tra questa idea di Divinità femminile dispensatrice di Vita e L’ avvento delle prime società agricole in cui tutto era legato alla Terra, e alle Stagioni, alla inseminazione, allo spuntare del fiore e poi del frutto , alla Vitale Acqua irroratrice, al Sonno Autunno Inverno, alla ricrescita primaverile. La continua catena nascita morte rinascita che nelle prime rappresentazioni aveva spiegabilmente come principale attrice il Corpo Femminile (molto più tardi infatti ci si accorse, ricordandolo, del ruolo e contributo maschile avvenuto 9 mesi prima della nascita). In ordine di tempo, con l’ avvento dei metalli dall’ estremo Oriente continue migrazione di popoli nomadi guerrieri portarono in Occidente le armi prima di bronzo poi di ferro. La lama di spada, coltello e lancia divennero gli attributi principali dei nuovi popoli guerrieri e L’ uomo armato, guerriero, cavaliere ed Eroe fondatore nonché fonditore, trovò il suo spazio nell’ Arte rappresentativa della Religione Sacra (recinto accessibile a pochi iniziati) che sostituì un po’ alla volta le vecchie carte femminili per continuare a cercare di dare un senso all’ Eterno Universale Mistero: Chi siamo, da Dove, perché Veniamo? A Laconi in Sardegna i fondamenti della Storia dell’ Uomo della Filosofia, spiegati prima dei Pre-Socratici