DISCORRENDO CON BACHISIO: TRA PASSATO E PRESENTE, IL BANDINU INSEGNANTE, SCRITTORE E ANTROPOLOGO, SI RACCONTA

Bachisio Bandinu

di LUCIA BECCHERE

Insegnante, scrittore e antropologo, Bachisio Bandinu (Bitti nel 1939), padre allevatore e madre casalinga, racconta la sua grande preoccupazione per il futuro dei giovani.

Dove ha frequentato le elementari e che ricordi ha? “A Bitti. I ricordi di quegli anni sono avvolti in una sorta di nebbia, non mi so spiegare perché. Certo, non ho una memoria poetica di quella scuola”.

Che ragazzino era?  “Piuttosto timido e inquieto. Una timidezza un po’ vigile, ma non ero sereno. Non mi abbandonavo nelle relazioni benché non fossi diffidente e non avessi complessi di inferiorità”

E nel gioco? “Tendevo a primeggiare. Eccellevo nell’arrampicata sugli alberi per scovare i nidi, ecco perché mi chiamavano il gatto. Questo mi dava l’autostima di cui avevo bisogno”.

Dove ha proseguito gli studi? “I primi due anni delle medie a Nuoro, in seminario. Non eccellevo, ero bravo a giocare a dama, a ping pong, nella corsa e nel salto. In prima, ero stato rimandato in italiano perché nel tema “Le malattie che ricordate nella primissima infanzia” avevo scritto di aver avuto molta calentura e il corpo tutto pieno di rosette. Terzo anno a Lanusei, il ginnasio a Cagliari dove già emergevo nella scrittura, mentre al liceo di Ozieri scrivevo di nascosto su certi argomenti. Nel capoluogo sardo ho conseguito la laurea in lettere moderne”.

Quando ha preso coscienza di voler fare l’insegnante? “Molto presto. Ho iniziato ad insegnare da universitario in vari paesi del nuorese, nel 69/70 al liceo scientifico di Bitti, l’anno successivo a Varese e in contemporanea frequentavo il corso di giornalista alla Cattolica di Milano. Privilegiavo l’italiano sul versante della poesia, forse perché il mio era un mondo emotivo e sentimentale. Amavo gli alunni e la mia sensibilità ha sempre fatto da contraltare alla mia intelligenza”.

Cosa rimpiange della scuola? “Tutto. Benché mi sia sempre interessato, mi è mancato il rapporto diretto. Trasmettere l’amore per il sapere si traduceva in amore per i ragazzi. La fede è nella parola, nel saper comunicare”.

Cosa serve per essere un bravo insegnante? “Competenza, passione e modulazione nel parlare. Insegnare è un’arte, è passione e missione. Certamente una dote, un dono”.

Cosa si porta dentro del bittese? “Credo di essere antropologicamente bittese in senso profondo, più che sociologico, analitico e psicanalitico. Nonostante i miei limiti, i miei difetti e i miei problemi non risolti, sono rimasto bittese, barbaricino intendiamoci.La mia struttura etica è prima di tutto antropologico-pastorale e poi di credente e di cattolico praticante. Su tutto predomina il concetto di omine, il concetto di su justu, della stretta di mano, struttura antropologica barbaricina, laica, a cui si unisce la mia formazione religiosa. Insomma tutte queste formazioni sono confluite in me. Lo dico con molto orgoglio. Nel mondo pastorale barbaricino, la struttura fondamentale dell’io, pur con tutti i difetti, violenza compresa, è una struttura formativa positiva. Il concetto di omine oggiè rarissimo – tue non ses menzus de mene e jeo no soe menzus de tene. Tu sei presidente, direttore, sei bravo e intelligente, ma omine non bindhata. Il concetto di omine è terribile. Essere omine è una conquista grandiosa che nessuna educazione al mondo ti dà e noi non ce ne rendiamo conto.S’omine ha una coscienza interiore che ti ferma qualora tu fossi tentato di fare un inganno perché ne avrai un vantaggio: non ci riesci se sei omine. In qualunque parte del mondo, questa è una soluzione difficile da passare solo a livello di una pedagogia, perché sono strutture inconsce dall’infanzia e il concetto di omine, di semus paris e di su justu non è quello della giustizia.Il codice barbaricino è feroce, se uno incomincia e non c’è una legge superiore che riequilibra, tu devi rispondere secondo la logica di un codice ragionato seppure non scritto. Rispondi per essere paris, altrimenti l’altro ti sovrasta e tu diventiuno zimbello. Non si vuole capire questo quando si giudica moralisticamente il codice barbaricino”.

Che padre è stato per i suoi figli? “Non saprei, forse non del tutto positivo. Ho comunicato poco con loro. Sono figli più della madre, essendo lei più accondiscendente, mentre io ero più severo, mi sono un po’ arreso per paura di rendere la cosa conflittuale”.

Chi è Bachisio Bandinu per Bachisio Bandinu? “E’ un enigma, un vero enigma. Non avendo avuto, fin dall’infanzia, una forte considerazione di me da tradurre in stima e sicurezza, non mi vedo tutto intero, mi vedo plurale e quindi è difficile definirmi.Erroneamente mi definiscono antropologo. Mi sono interessato molto di antropologia, ma ho studiato soprattutto semiotica e psicanalisi. Scrivo libri sull’antropologia, ma rivendico di essere sempre stato un insegnante di lettere”.

Cos’è l’universo femminile? “Un maschio non può mai entrare profondamente nel mondo delle donne perché non ha esperienze che sono prettamente femminili. Si dice che noi maschi abbiamo l’80% di animus maschile e il 20% di animus femminile, poi noi la parte femminile la uccidiamo perché dobbiamo essere maschio. Io non l’ho uccisa, ucciderla comporta un impoverimento su tutto il versante dei sentimenti, per me questa è anche la poesia, quindi ho avuto il vantaggio, se non di capire quel mondo perché impossibile, di intenderne l’eco e questo ho scritto”.

E l’universo maschile? “L’uomo si, perché c’è un’appartenenza e entri dentro, perché rivivi negli altri e hai confronti e intuizioni”.

E l’amicizia? “E’ un sentimento difficile che contempla qualcosa di profondo, di abbandono anche nel confidarsi. Credo nell’amicizia, ma fidarsi o meno fa parte del carattere che ognuno di noi si porta fin da bambino”.

Cosa pensa dei giovani?  “Il problema dei giovani mi tormenta. Ho scritto “Lettera ad un giovane sardo” per i ragazzi della scuola dell’obbligo e “Lettera ad un giovane sardo sempre connesso” che riporta sei mila interviste a studenti delle superiori. Mai inserito nelle scuole. In quel libro c’è tutto il loro mondo. Mondo drammatico. Ho una immane sofferenza perché noi stiamo perdendo questa nuovissima generazione di consumatori e di consumisti. In un mondo dove la politica pensa ad altro, è difficile che a loro interessi qualcosa”.

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2 commenti

  1. Rosalba Satta

    “La fede è nella parola, nel saper comunicare”.
    “Modulazione della parola, insegnare è un’arte, è passione e missione. Certamente una dote, un dono”, afferma Bandinu.
    Ecco: è quello che ho cercato di dire il giorno che Bachisio Bandinu venne a Budoni per presentare il suo “Femina”.
    Saper comunicare è fondamentale per contribuire nella costruzione di un mondo altro. Imparare a comunicare si può, e si deve. E lo si impara anche quando si è capaci di ascoltare le persone che, come Bandinu, sanno coinvolgere… perché badano non solo al contenuto ma anche alla relazione. Senza relazione non esiste apprendimento, non è possibile allargare i propri orizzonti, vedere al di là del proprio sguardo. In sintesi: non si cresce. Ma quando la comunicazione arriva, naturalmente e spontaneamente ci si sente diversi, migliori. In grado di dire, e di dare il proprio, costruttivo apporto.

  2. Graziella Pisu

    Parole sante.

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