Matteo Porru
di MARIELLA CORTES
Ci sono luoghi della letteratura capaci di riassumere l’animo umano.
Non quello che si vede, ma quello che cerchiamo di celare, che ci fa paura, che vogliamo nascondere sperando che non esca mai allo scoperto. Sono luoghi in cui ci piace dipingere un’anima di purezza, luoghi che niente e nessuno può disturbare.
Luoghi che diventano, per tutte le ragioni sopra elencate, universali.
Sarà anche per questo che il posto scelto da Matteo Porru per riassumere le sfumature mai dette dell’animo umano ha un nome quasi impronunciabile, lontano da tutto, anche dalla possibilità della parola.
Jievnibirsk.
Provate a dirlo ad alta voce. E immaginatelo ovunque, dall’estremo nord del globo a un paese vicino al vostro, a qualunque luogo in cui vengano creati equilibri apparenti, sospesi nella paura che quello che si sa e non si vuol far sapere venga alla luce.
Bene, eccoci pronti alla lettura, eccoci pronti per “Il dolore crea l’inverno”.
A firmarlo, per Garzanti, è Matteo Porru: 21 anni, quattro romanzi all’attivo, innumerevoli racconti, una raccolta di biografie d’autore, “Dieci sabati”, per FocuSardegna, autore per il cinema e il teatro, editorialista dei quotidiani del gruppo SAE e opinionista in programmi televisivi nazionali.
“Il dolore crea l’inverno” è un romanzo atteso, con alle spalle una lunga gestazione che inizia a Cagliari, quando l’autore frequenta le elementari e, per la prima volta, vede la neve, rimanendo sorpreso dal suo silenzio irreale, dalla capacità di coprire tutto, quasi senza disturbare.
Un momento che rimane nella memoria, si mescola all’immagine dell’inferno dantesco, al ghiaccio che tormenta il Conte Ugolino e che riassume tutta la dicotomia umana del nascondere e dello svelare.
La scrittura di Porru è capace di creare un collante tra il detto e il non detto, descrivendo esattamente il nostro mondo, diventando adattiva, plasmandosi sulle persone, il tempo, la società.
È per questo che di Elia Lagasov, il protagonista del romanzo, ci si innamora e insieme lo si disprezza, si prova pena ma se prendono le distanze.
In lui, spazzaneve da generazioni in un mondo sempre uguale, dove tutto non ha tempo, con “sei mesi di buio, sei mesi di luce, un anno di vuoto”, ci sono frammenti di tutte e tutti noi, pezzi di carne e pezzi di neve.
In fondo, la nostra ricerca di indulgenze, di equilibri e di ritmi rassicuranti anche se ben sappiamo sia impossibile trovarli, la rassicurante percezione che nulla cambierà, ci accompagna, in ogni epoca e luogo.
“Il dolore crea l’inverno” è un romanzo intenso e profondo, crudo e insieme tenerissimo, che trova nell’intreccio degli ossimori la sua grande bellezza.
Come il riferimento a un fatto storico realmente accaduto, la strage di Vorkuta, l’inferno artico tristemente associato ai gulag che ha plasmato, in un silenzio irreale, il mondo immaginario di Jievnibirsk dove si brinda al vuoto; un mondo quasi tutto al maschile, che diventa condizione esistenziale, dove ogni personaggio racchiude un frammento di umanità: c’è Elia che ha paura del silenzio, che quando sogna “muore come ghiaccio nel mare”, c’è Matvej il proprietario della locanda, che si sente come quel bicchierino di vetro sbiadito dal calcare, consapevole che il suo locale morirà con lui; ancora Boris, amico di Elia, che “passa la giornata ad aggiustare le cose che rompe e a rompere le cose che aggiusta”.
Tutti quelli che sono rimasti, hanno dentro qualcosa di rotto.
Chi non c’è più, invece, riunisce.
Come Eva, la mamma di Elia, dirompente nella sua assenza, nel suo ricordo. La sua decisione, che devasta il figlio a cui non resta che l’onore di un lavoro che non ha scelto, in realtà lo protegge. Di lei rimane, solo apparentemente, una fotografia ma, grazie ai ricordi di Elia, ne percepiamo la forza di sfidare un destino che, per lei, non vede già scritto.
Così, mentre lei ricompone, pure nell’assenza, tutti gli altri replicano la rottura che sentono dentro.
Anche lo straniero, che arriva da fuori, nei giorni neri, quelli il cui la luce non tocca mai Jievnibirsk, per cercare il petrolio, per portare il nero nel bianco e sconvolgere gli equilibri.
O, forse, per rimettere insieme i pezzi.
Anche i nostri.