Giannino Gariazzo
di FILIPPO SPANO
Lo abbiamo salutato nel silenzio del sabato santo. Compassati nella processione verso il piccolo cimitero di Borutta, con i profumi ed i rumori di una primavera segnata dal sole e da un vento fresco e pungente.
Giannino Gariazzo, uomo di parole pesate e non ridondanti, preferiva il silenzio, lo studio e l’ascolto. Aveva coltivato nel tempo una fede profonda, ma aperta e laica, capace di scelte forti ed interrogativi con risposte mai scontate. Ciò non desta stupore dato che crebbe in una cittadina industriale, Iglesias, respirando l’aria dell’impresa edile di famiglia che nelle miniere e con le miniere viveva. Ebbe un padre imprenditore laico ed una madre, Fanny, di fede, acuta, presente e stimolante. Visse un ambiente culturale impregnato di ideali positivi di progresso, laici e socialisti, che contaminavano le radici cristiane di molta parte della popolazione.
In una chimica politica ed associativa originale, in cui si forgiarono moltissimi giovani che si affacciavano alla vita dopo i disastri della guerra e del fascismo.
Era probabilmente destinato agli studi di ingegneria (che lo attiravano) ed a prendere in mano l’impresa familiare, ma alcuni problemi aziendali e le incertezze della guerra fermarono la Società del padre Emilio e condussero Giannino alla prima di una serie di porte girevoli che, come accade a molti, precludendogli la laurea cambiò inevitabilmente la sua vita; e non necessariamente in peggio. Nel Magistero Sociale della Chiesa trovò un motivo di impegno e di militanza con una particolare attenzione agli ultimi ed alla priorità del lavoro quale strumento di promozione e riscatto di uomini e donne. Assunse così, giovanissimo, la presidenza dell’Azione Cattolica Iglesiente e dei Comitati civici nelle prime prove democratiche delle elezioni del 1948, collaborando con amici che segnarono ogni passo della sua successiva esperienza (tra questi Nuccio Guaita, Mino Spanu, Iside Spanu De Zolt).
Avviando la sua professione di giornalista compì la scelta aclista aderendo convintamente alle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani e orientando sempre più le sue scelte verso le questioni del lavoro. Entrò così in una nuova porta girevole che, mentre numerosi dei suoi compagni entravano nelle istituzioni locali e nelle professioni, lo catapultò verso una nuova e radicale scelta di vita. Decise di dedicarsi a coloro che per poter lavorare e sostenere la famiglia lasciavano la Sardegna e l’Italia verso i mondi durissimi e sconosciuti dell’emigrazione.
Una opzione forte anche per lui che aveva già iniziato a costruire la sua famiglia con Natalia (giovane Sarulese di grande cultura) ed i primi 4 figli di 7. Alla fine degli anni cinquanta assunse la responsabilità del Patronato ACLI in Benelux facendosi migrante lui stesso; scelta maturata con Natalia. Seguì in fondo un richiamo delle radici perché, come si sa, in quella zona si migrava per lavorare nelle miniere, e lui dalle miniere veniva conoscendone il clima sociale e tecnico. All’indomani del disastro di Marcinelle assunse così una sfida della quale conosceva alcuni contorni ma che gli riservava moltissime zone d’ombra. L’Europa di allora infatti non è quella che conosciamo oggi, questa Europa, che ci hanno consegnato e nella quale ogni giovane si può muovere con pari diritti di cittadinanza e di lavoro, e con la conoscenza delle lingue. Nell’Europa di allora i migranti italiani soffrivano condizioni spesso similari a quelle riservate agli attuali migranti che arrivano dall’Africa e dall’Asia. Giannino comprese la necessità di agire con concretezza per la difesa dei lavoratori e delle loro famiglie in ambienti sconosciuti e spesso ostili. Fu preziosa per lui la rete aclista, il rapporto con le istituzioni, il legame con le comunità di provenienza e per questo si impegnò nelle consulte dell’emigrazione sia a livello nazionale che in Sardegna.
Dalle numerose chiacchierate con lui ho avuto la sensazione che, dal suo punto di osservazione, negli anni settanta si rese conto sempre di più che la crescita dell’Europa, oltre al valore politico in sé per tutti i cittadini, sarebbe potuta essere la chiave di soluzione ai tanti problemi sui diritti di cittadinanza degli emigrati. Accolse così le prime elezioni del Parlamento Europeo (1979) quale irrinunciabile occasione per dare una soggettività politica alle comunità italiane in Europa; soggettività che senza il voto e la cittadinanza europea non avrebbero mai potuto raggiungere. Una vera e propria chiave di riscatto ed identità. Si candidò con questo obiettivo al Parlamento Europeo per la Democrazia Cristiana; perse, e pur tra qualche amarezza determinata da un ambiente politico regionale a volte ostile, ottenne però il risultato ideale e politico che cercava, con un riconoscimento sostanziale del lavoro fatto per migliaia di cittadini all’estero, guidati ad una maggiore consapevolezza di se nell’Europa. Fu così un’altra porta girevole.
Questa nuova comprensione politica lo portò a orientare più marcatamente il proprio impegno professionale e politico verso i temi dell’integrazione europea come chiave dello sviluppo, ed il raggiungimento di una vera e propria cittadinanza europea come risposta alle domande del mondo del lavoro ed alle sfide geopolitiche della globalizzazione. Si impegnò più direttamente dentro la struttura del Parlamento europeo entrando nella segreteria della delegazione italiana del PPE. E così ha concluso all’inizio degli anni 90 il suo impegno professionale aprendo un lavoro di studio ed approfondimento che non ha mai interrotto anche quando, da quindici anni a questa parte, ha deciso con Natalia di spostare sempre più la sua vita verso il paese di Borutta (nel quale il suocero Bernardo negli anni ‘50 gestiva la centrale elettrica), già dagli anni ‘60 casa sarda di elezione della numerosa famiglia.
In questi anni ha potuto vedere, anche grazie al suo impegno di tanto tempo prima, decine di comunità italiane pienamente integrate in una nuova dimensione europea. Giannino è stato, con mio padre e mia madre, Mino ed Iside, il mio maestro di impegno sociale e di approccio alla politica. Una politica forte, basata su ideali, sull’idea centrale della necessaria connessione tra diritti, comunità, dignità, famiglia e lavoro.
Politica interpretata come campo di impegno mai esclusivo, sempre aperto alla autonomia personale e professionale, all’impegno civico e familiare. Politica attenta alla concretezza ma anche alla visione. Lascia un insegnamento anche sulla persona umana e sulla sua capacità di non farsi scoraggiare dalle porte girevoli della vita, ma trarre da queste altra energia, nuove idee e capacità di trasformare i problemi in opportunità.
Di tutto questo gli siamo debitori.
Ciao Giannino, ora puoi tornare con i tuoi compagni di vita e con Marcello. Ma sei sempre qui con noi.