di TONINO OPPES
Da una parte la ricerca meticolosa, che si svolge principalmente negli archivi; dall’altro la memoria condivisa con i ricordi, che esistono, ma vanno tenuti in vita soltanto se si parla, ma soprattutto se si scrive. Parte da lontano Diego Satta per descrivere il suo paese che ha guidato per tanto tempo come sindaco.
“Itiri fustialbos, Origini ed evoluzione di un villaggio” (editore Associazione Zuighes Revival, 500 pagine, costo 25 euro) è una monografia corposa che mette insieme una ricerca seria, durata l molti anni, e tanta memoria che si carica di emozioni e nostalgia grazie alle “storie minime” e alle tante fotografie che documentano lo scorrere del tempo e rappresentano i classici medaglioni da apporre sul petto e da mostrare con orgoglio.
Il libro, presentato recentemente nella sala del consiglio comunale di Ittireddu, è una riedizione di un lavoro precedente, fatto nel 91, quindi più di trenta anni fa, che si fermava alla metà degli anni cinquanta.
“Ho sentito il bisogno di aggiornarlo – scrive Satta nella prefazione -per arrivare fino ai giorni nostri. Mi sembrava un vuoto da colmare.”
Già leggendo il sommario si capisce quanto sia robusto e interessante il lavoro che attraversa tutti i secoli: dai primi insediamenti umani fino all’età romana, poi il periodo bizantino (con la bella chiesa di santa Croce); ecco il Cinquecento, a seguire le vicende della parrocchia, il ruolo della Chiesa nella piccola comunità, i profili dei parroci e dei sacerdoti a partire dal 1600, quindi l’Ottocento, il Novecento, tristemente segnato dalle guerre, seminatrici di morte e distruzione; quindi l’emigrazione (con alcune importanti conquiste di chi è andato via); spazio anche alle feste, alle leggende e allo sport. Ed è ugualmente ricca di interesse generale la storia più recente quando l’autore decide di soffermarsi “più sul personale” recuperando squarci di vita della comunità con le vicende del gruppo musicale Zuighes di cui Diego Satta ha fatto parte animando le serate in piata Cuzolu. Insomma un libro che è prezioso documento storico ma anche uno scrigno di memorie.
Le pagine di vita del paese si avvicendano parallelamente a quanto accade nel resto dell’Isola perché, come ha ricordato la professoressa Gavina Cherchi, “il racconto di un uomo è il racconto dell’umanità.”
Le fotografie documentano sequenze di vita reale custodite negli sguardi severi di donne e uomini dinanzi a obiettivi i cui scatti sembravano interminabili, ma sicuramente erano unici e irripetibili, oltre che fortemente intimi e da custodire gelosamente in famiglia.
Come in un film, dalla pellicola impolverata e ormai sbiadita, emergono nomi di donne e uomini della comunità: ci sono protagonisti e comparse, e tutti, chi più chi meno, lasciano una traccia del loro passaggio sulla terra.
Ritmi lenti hanno scandito, nei secoli, le esistenze di migliaia di uomini. In tanti sono stati costretti a emigrare.
Le vie maggiormente percorse portano i giovani di Ittireddu in Germania, Francia, Svizzera, Argentina ma c’è chi si avventura anche in Venezuela e nelle Bahamas.
Qualcuno ha fatto fortuna, qualcuno è tornato, altri no, ma nessuno ha mai dimenticato il proprio paese: è la storia della vita di un piccolo centro che vuole sopravvivere, che non vuole morire anche se statistiche impietose non alimentano molte speranze.
Del resto è già successo in passato. Basta rileggere il Dizionario dell’Angius-Casalis. Tanti villaggi non ci sono più: scomparsi in tiempos de carestia sottolineavano gli spagnoli, quando ricordavano la grande trasformazione dell’isola causata dalla peste e dalla fame. Ancora una volta è la mancanza di lavoro, di prospettive certe che porta lontano i nostri giovani.
Anche tutto questo si legge tra le pagine del libro che si trasforma in un atto di amore per “il paese dell’anima” che è quel luogo dove ognuno di noi, anche quando va via, custodisce in bertulas piene di tesori, i legami più forti, le proprie radici.
Ci domandiamo spesso: a chi sono rivolti questi libri? La risposta è nelle parole del sindaco Franco Campus che durante il suo intervento si è soffermato sulla parte più antica (dalle domus de janas all’età romana) della storia di Ittireddu gelosamente custodita nel museo locale.
“Intanto sono rivolti a noi stessi, ha sottolineato Diego Satta, che nel paese siamo nati e cresciuti, e abbiamo deciso di viverci anche se non ricordiamo più il valore delle storie semplici; a chi per lavoro è andato via ma non vuole rompere con il proprio passato; e, infine, sono rivolti ai giovani che, distratti dal tempo fugace del mondo contemporaneo, si soffermano poco sulla vita della loro comunità, ma soprattutto di quella dei loro nonni e dei loro genitori. Ormai manca il calore del racconto, la forza del dialogo. L’oblio è dietro l’angolo; pronto a cancellare, con un colpo di spugna, pagine del nostro vissuto e con esso la storia di chi siamo stati.”
“Contro questa direzione- ha ribadito la professoressa Cherchi – che è docente di Estetica all’Università di Sassari e presidente dell’Associazione Ammentos– va il pregevole lavoro di Diego Satta che vuole riannodare i fili della memoria per ricostruire, insieme a quella ufficiale che deriva dai documenti, la storia del suo paese con la ricerca e la semplicità, anche attraverso il racconto di vite genuine da custodire con fierezza accanto ai ricordi più tenui. Purtroppo noi siamo abituati a leggere la storia attraverso le imprese dei grandi protagonisti. Invece, lo dimostrano anche i lavori come Itiri fustialbos, si può parlare di storia partendo dal basso. I libri, ha concluso, servono anche a questo: a raccontare e offrire qualche piccolo ma prezioso contributo per la conoscenza di una comunità che ha il dovere di custodire la propria memoria. Che è fatta di luoghi, paesaggi, storie, nomi.”
Tutto da custodire prima che sia troppo tardi. Prima che la legge impietosa della natura faccia il suo corso ma soprattutto prima che i piccoli paesi perdano la battaglia contro lo spopolamento.
Anche se sono interessato in prima persona,non posso non esternare le mie sensazioni: questo articolo di Tonino Oppes è veramente bello e coinvolgente,emozionante. Credo che abbia colto l’essenza e la valenza del libro, mettendole in risalto e dimostrando di apprezzarne gli svariati significati: storici, sociali, antropologici, culturali e attuali. In conclusione elogio con dieci e lode più più, mi complimento e ringrazio infinitamente l’amico Tonino Oppes.
Semplicemente splendido il “pensiero” di Tonino Oppes che descrive “l’anima” del “racconto” di Diego di cui ho letto solo quello del 1991 ma che viene messo a fuoco da Oppes anticipandomi i contenuti che non vedo l’ora di leggere finalmente! Grazie Diego, grazie Tonino!