di UMBERTO BUFFA
Le colpe dei padri possono ricadere sui figli? No, non dovrebbero ricadere ma, questa la domanda tormenta i protagonisti dell’ultimo romanzo di Maria Rita Sanna “La colpa dei padri”.
Rita partiamo da questa domanda: è giusto che i figli si facciano carico della colpa dei padri? No, non è giusto. Ogni figlio dovrebbe vivere la propria vita in serenità, soprattutto nell’infanzia. Le responsabilità di un genitore non devono cadere sui figli, la famiglia e la comunità devono proteggerli, mettendo a tacere ogni forma di pregiudizio nei loro confronti. Al contempo non si deve instillare nel pensiero dei giovani figli il risentimento e la vendetta.
Nella Bibbia c’è scritto che Dio punisce la colpa dei padri nei figli sino alla terza generazione ma, allora, perché pagano anche i figli? Questa citazione è riferita alla punizione verso l’uomo che adora altri idoli, ma l’uomo che crede in Lui e osserva le sue leggi è sempre perdonato. Accade spesso che un figlio trovi ostacoli alla sua libertà di pensiero e il senso della vergogna che si insegna è ingigantito da false convinzioni che si tramandano o sono state tramandate. Le credenze popolari, le convenzioni sociali legate ad antiche tradizioni, la difficoltà ma anche la paura ad aprire la mente verso un modo nuovo di comportarsi, accettando gli errori per poi superarli, influiscono sulla vita dei figli che assimilano le colpe del genitore e ne costruiscono un ostacolo.
Quanto è stato difficile per il tuo personaggio cancellare dalla sua vita la memoria del padre e l’infamia che l’accompagna dall’infanzia? Alessia, la protagonista del romanzo, ha capito fin da bambina che qualcosa non andava per il verso giusto. Di punto in bianco, il suo papà non era più presente nella sua vita, le canzonature e le derisioni dei compagni d’infanzia le hanno fornito la spiegazione. La mamma Giovanna, anch’essa sottoposta ai pregiudizi della comunità, ha protetto come ha potuto la figlia. Le difficoltà maggiori per Alessia sono arrivate nel bel mezzo dei suoi ventiquattro anni. Infatti, il romanzo inizia da lì.
Ma chi era veramente questo padre? Daniele era un uomo che amava l’amore. Lo faceva e lo cantava. Amava in modo viscerale il suo amico, più che i suoi stessi fratelli. Amava le donne ma dopo aver conosciuto Giovanna è stato fedele come marito e premuroso come padre. Il canto improvvisato in rima era la sua passione. Era un uomo semplice, buono e ingenuo, ma legato dalle catene di false convinzioni.
Anche in questo libro citi la tua terra natia scavando tra le pietre dei nuraghi. Che legami hai con la Sardegna e con i tuoi ricordi? Eh, appartengo alla Sardegna, non riesco proprio a parlare d’altro se non della sua terra. I ricordi sono molto forti e con la scrittura sono venuti fuori prepotenti.
Parliamo dell’ultimo libro: a che cosa ti sei ispirata per scriverlo? In questo romanzo, come anche nel precedente, non c’è stata una vera e propria ispirazione. Tutto è partito da un racconto breve che ho svolto nel consueto laboratorio di scrittura creativa, organizzato dalla mia editrice Stefania Convalle. Ecco, il racconto, sì, è nato osservando una fotografia.
Che messaggio vuoi lanciare con questo libro? Nessun messaggio. Mi piace che il lettore provi l’emozione per la storia, provi simpatia o antipatia per i personaggi, trovi spunti di riflessione, ne deduca le proprie idee.
Quando scrivi un libro hai già tutta la storia in mente o la elabori strada facendo? La elaboro strada facendo. Non è possibile avere tutta la storia in mente e metterla giù, altrimenti le mie sensazioni e l’immedesimazione vanno a farsi friggere. La scrittura è emozione che si deve trasporre nero su bianco e il lettore la deve percepire. Se tutto è studiato a tavolino viene meno questa condizione e il romanzo risulta freddo e insignificante.
Questo è il tuo terzo libro, secondo te qual è il libro più bello che ha scritto? Tutti e tre sono belli e ci sono molto affezionata. Il primo, Pane e Fragole, raccolta di racconti, 2018, è stato il primo e sono state le prime grandi emozioni che ho trascritto. Nel secondo libro, Mandorla amara, romanzo, 2019, c’è il personaggio della clochard a cui ho rivolto un sacco di domande mentre ne scrivevo. Questo romanzo ha vinto il premio della micro editoria di qualità nel 2020. Nell’anno 2022 ho pubblicato tre racconti ispirati a tre foto diverse per la raccolta La vita in uno scatto, in collaborazione con la stessa editrice Stefania Convalle e le colleghe del team della stessa casa editrice. Infine l’ultimo romanzo, La colpa dei padri, romanzo, 2023, c’è un continuo scambio tra madre e figlia, e i dialoghi tra me e loro sono stati tanti e duraturi. Infatti, ho impiegato parecchio tempo per farli conoscere. Tutti i libri citati sono editi da Edizioni Convalle.
Pensi che imparare a scrivere abbia in qualche modo cambiato qualcosa di te? Come dico spesso, la scrittura insegna a mettere in ordine i pensieri. Le emozioni vengono sbriciolate, ne osservo ogni frammento, affronto ogni prospettiva di un dato sentimento, me ne approprio, cioè mi immedesimo nel personaggio, e secondo l’umore che mi attraversa lo descrivo. Stefania Convalle, nel suo laboratorio di scrittura, mi ha mostrato le righe giuste in cui infilarci le idee dopo avermele scompigliate per bene. È stato e lo è ancora adesso un percorso di psicoterapia nella scrittura.
Che sensazione si prova dopo avere scritto un libro? Bellissima! Finalmente i personaggi sono liberi dalle mie grinfie. Infatti, è come se li tenessi prigionieri sotto la mia stressante e continua conversazione.
Per finire, stai lavorando per nuovi progetti? Sì, un nuovo personaggio si è presentato alla mia fantasia. Stiamo facendo amicizia. Da alcuni mesi ho acquisito l’attestato di Editor con Edizioni Convalle, è una grande opportunità per fare ancora di più esperienza nel mondo della scrittura. Collaboro con la casa editrice, nella valutazione e nella correzione dei testi, scrivendo prefazioni. Siamo sei autrici e con Stefania siamo un gruppo abbastanza affiatato.