PINO MARTINI OBINU E SALVATORE GARAU: DUE COMPONENTI DELLA BAND MUSICALE "STORMY SIX". IL LORO PERCORSO MUSICALE A MILANO

Gli "Stormy Six" in concerto

Gli "Stormy Six" in concerto


di Sergio Portas

Dei sei “tempestosi” che formano la “band” degli “Stormy Six” che si è ripresentata al pubblico milanese, due sono sardi: Pino Martini Obinu e Salvatore “Tore” Garau. E’ passata una vita da quando, insieme nel 1977, avevano iniziato a suonare ambedue nel gruppo musicale lombardo. Tore anzi era arrivato un paio d’anni prima a Milano che Pino aveva da “fare il militare” come si diceva allora, si erano imbattuti negli Stormy durante le tournée che vedevano il gruppo girare per i teatri (pochi) e i palchi all’aperto della Sardegna. E fu amore a prima vista. Se è vero che dura tutt’ora, qualche capello di meno e qualche ruga che nascondere non si può, neppure tra le luci dei fari che creano ombre complici sul palco della sala “Buozzi”, alla Camera del Lavoro di Milano. Il Buozzi della sala è quel Bruno, sindacalista Fiom dei primi anni del novecento, sfuggito a Parigi ad evitare la galera fascista, che trovò la morte nel ’44 per mano dei tedeschi in ritirata . L’avevano arrestato in Francia quando si era recato a casa della figlia che stava dando alla luce un bambino. E il nonno aveva voluto vederlo. Il nonno di Pino Martini, Giuseppe Obinu, era noto come “Munsennore” ed è stato un grande suonatore di ballo sardo, cosicché non è difficile la ricerca della provenienza dei cromosomi musicali che s’intrecciano non a doppia ma a tripla elica nelle cellule di Pino. Sono loro che l’hanno spinto da sempre a mescolare la vita con la musica, finché quest’ultima si è tanto impadronita di lui da non potersi più distinguere chi sia a suonare il ritmo dell’umano agire quotidiano, scandito com’è da un pentagramma che detta pause, scelte, destinazioni, fino sacrifici. Sintetizzo , che diversamente ci vorrebbe ben altro spazio, dalla “Bibbia” della canzone sarda: “Boghes  e Sonos” di Giacomo Serreli con sottotitolo: quarant’anni di musica colta in Sardegna, dove si può leggere di questa famiglia Martini  imperversare per l’oristanese , musicalmente parlando, finché il nostro eroe trova nei 1975 nei Salis ‘n’Salis la giusta collocazione. Coi fratelli di Santa Giusta alla batteria era già il loro compaesano  Tore Garau. E cosa hanno rappresentato i fratelli Salis nella storia musicale sarda richiede altre risme di carta che non ho a disposizione. Ben più di due parole hanno da essere spese anche per gli Stormy Six. Gruppo che definire alternativo è usare un eufemismo bello e buono. L’associazione “Amici della Musica” che ha messo in piedi l’iniziativa scrive nel dépliant di presentazione che “cantano le loro canzoni e parlano del loro tempo di antagonismo ideale, culturale, sociale”. Questi nostri tempi caratterizzati dall’uso smodato che si fa del mezzo che plasma le coscienze della gente (leggi televisione), mezzo incautamente finito tra le grinfie di un politico spregiudicato che attualmente usa il Parlamento, più di seicento deputati della repubblica, per dissertare di una sua conoscente marocchina di diciotto anni, lui che va per i settantacinque, sono lontani anni luce dal clima culturale che si viveva nei settanta. Non che lo scontro politico fosse meno aspro, anzi. Basta ricordare cosa abbia significato per la storia del  nostro paese il “caso Moro”. E tutto ciò che ne seguì in termini di “leggi speciali” antiterrorismo. Bé di leggi speciali, a onor del vero, viviamo anche oggi, che quel parlamento che vi dicevo ne sforna a ritmo industriale per tentare di salvare dalle patrie galere quel politico padrone dell’etere (tutto) e delle coscienze di almeno metà della nostra gente. Si intuisce che faccio parte dell’altra metà, di quelli che non credono né alla Befana né alle congiure dei giudici comunisti. E finché possono ne scrivono in giro consci comunque che la partita è impari. Gli è che le cose s’hanno da farsi anche per amore, della verità, degli altri uomini, della giustizia sociale, degli ultimi della terra. E qui mi riferisco all’atteggiamento che gli Stormy Six hanno tenuto nella scelta dei testi delle loro canzoni, dei circuiti “alternativi” che sceglievano per esibirsi, del modo cooperativo con cui si muovevano per tutta Europa.” Centinaia di concerti: tutto è autogestito, i musicisti non si limitano a suonare, sono autisti e facchini di sé stessi, proprietari dell’impianto di amplificazione quanto dei furgoni e dei camion che li trasportavano. Si viaggia (le distanze  tra una tappa e l’altra sono a volte molto grandi) si arriva, si scarica, si monta, finalmente si suona; dopo il concerto, la vendita diretta dei dischi, gli scambi di vedute col pubblico, le interviste, a tarda notte lo smontaggio, il giorno dopo si riparte: questa è la vita del gruppo fino al 1983” (copio spudoratamente dal dépliant di prima). C’è da rimarcare l’assoluta eccezionalità d’ogni singolo elemento costituente la band: chi si occupa di musica popolare e ne scrive in libri, saggi;chi insegna violino alle scuole civiche e contemporaneamente fonda orchestre da camera; chi è laureato in filosofia e scrive poesie (di cui sono usciti già sei libri) e romanzi; chi compone musica per cinema, radio, per la danza e per vari teatri, tra cui la Scala. I nostri sardi non sono da meno: Salvatore Garau, diplomatosi all’Accademia di belle Arti di Firenze, si dedica quasi completamente alla pittura. A Milano espone per la prima volta nel 1984 ed è in questa città che ha lo studio, zona Barona. Innumerevoli sono le sue personali nelle più importanti gallerie private e nei musei di tutto il mondo. Nel 2003 è alla Biennale di Venezia. Pino Martini Obinu è drogato di musica: dopo gli Stormy collabora coi Capricorno, i Cassix, i Matisse, david Riondino, Riki Gianco. Nel 1985 fonda la Martini Bank, nel 1988 dà vita al progetto Tancaruja, in cui è compositore, autore e cointerprete. E’ autore, produttore e cointerprete del disco Mùriga di Ambra Pintore (2010). Dirige il coro meticcio “Sa oghe de su coro” di cui so quasi tutto, che ci canto anche io da tre anni a questa parte. Questa sera non c’è posto a sedere per chi arriva all’ultimo minuto, come il vostro cronista. Tocca sedersi sui gradini, assieme a un gruppo di giovanissimi che di quegli anni oggi evocati  hanno letto (forse) nei loro libri di storia. Le canzoni quelle di sempre: La Fabbrica, Dante di Nanni, Otto Settembre, Nuvole a Vinca, Gianfranco Mattei e, con quasi metà del pubblico a fare da controcanto, la celeberrima Stalingrado. Poi alcune novità per un lavoro che stanno mettendo su con Moni Ovadia, una celebra la resistenza degli ebrei del ghetto di Varsavia, che si batterono eccome prima di essere sterminati dai nazisti. Un’altra che suona di un “cocktail Molotov”, tre parti di benzina e uno di fosforo, arma dei poveri contro i tank della Wehrmacht. Pino e Tore vengono su nel clima musicale -culturale che si respirava nell’oristanese dei settanta. Certo scegliere di suonare negli Stormy è aderire ad un impegno politico che ha l’ambizione e l’orgoglio di aderire a uno schieramento netto. Che non tollera compromessi di sorta. “Un ultimo aspetto che fa degli Stormy Six un caso unico nel panorama musicale italiano è il lavoro di riflessione critica e teorica che da sempre accompagna l’attività creativa del gruppo nel campo della musica colta, popolare e rock, ma anche della ricerca musicologica, della critica letteraria, della poesia, della video arte, della pittura. Una band “politecnica”, la cui consapevolezza critica si è felicemente sposata all’invenzione di una originale popolarità” ( sempre nel dépliant). Se gli “Stormy” tornano a suonare assieme e ottengono il successo di pubblico di sempre può voler significare che anche a Milano il clima, anche politico, sta cambiando, che questa benefica tempesta non si sposti poi verso le coste occidentali della Sardegna nostra?

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