di SERGIO PORTAS
Non si è ancora spento l’eco delle launeddas, intervallato da quello dei sonagli di pecora, che Zoe Pia, musa clarinettista geniale di Mogoro, ha fatto piangere al “Trotter” di Milano che, giusto una settimana dopo, il paese dell’alta Marmilla è ancora protagonista nell’agone meneghino della cultura. Il Bìfoto Fest, che si è lasciato alle spalle il suo undicesimo compleanno, festival della fotografia in Sardegna, a Mogoro ha trovato un’inedita modalità di espressione, spandendo mostre e fotografie dei partecipanti per ogni vicolo del paese, facendo così di esso il contenitore principe del messaggio che ogni artista invia con i suoi scatti: mille e una visione particolare di quel “vivere la vita” che è l’odierno motto a cui si ispira l’edizione ultima, fa da apripista a Gabriella Floris e alla sua mostra “A tu per tu/ Face to face” , allo “Spazioraw” di Porta Ticinese 69. Cosicché si apre uno sportello sardo nel “mare magnum” del 17° PhotoFestival milanese che anche esso invita a “Ricominciare dalle immagini. Indagini sulla realtà e sguardi interiori”. Fa una certa impressione sentire Gabriella che si racconta in quel giorno che la sua vita ha preso a deviare da binari di una normalità serena, un marito, una figlia di tre anni, un ritorno a casa da un’esperienza argentina a Buenos Aires, andatavi , mi prende in giro lei: “per imparare a ballare il tango”, a insegnare italiano nelle scuole. Le viene un groppo in gola a rammentarsi di quei nodi scoperti al seno che si tramutarono in una diagnosi di tumore. Mentre ne parla dinanzi a un folto gruppo di persone venute a visitare gli scatti che ne fissano per sempre l’evolversi della malattia, e delle conseguenze che la chemio-terapia si porta appresso, non accontentandosi dei veleni che invariabilmente vanno a colpire anche cellule che malate non sono, ti fa cadere tutti i capelli, mutando le fattezze del viso a tal punto che lo specchio ti trasmette una visione di te che stenti a riconoscere, figuriamoci gli altri, amici, parenti. E tu sai che ti tocca accettarlo “tutto per il tuo bene”. E rassicura vederla così, con un ciuffo seppur imbiancato che folto le è ricresciuto, dietro di lei in alto a destra la locandina ingrandita di Bìfoto che la ritrattano a cranio nudo, una espressione corrucciata e dolente, quasi un “memento mori” di un medio evo passato ma anche incancellabile. Non che le altre foto siano tutte dello stesso tenore, anzi tutt’altro: incredibilmente rimandano a una felicità di “esserci ancora”, abbracciata a Filippo il più delle volte, ridente sotto i suoi baci che la ancorano a una quotidianità mutata ma percorribile insieme, e poi tutti e tre, con la loro bimba Aida, le braccine strette al collo di mamma, un sorriso che incanta.
Dice ancora Gabriella di come questi eventi infausti si facciano spazzini di amicizie che credevi ormai consolidate, gente che sparisce del tutto dalla tua vita, forse spaventata che la “mala fortuna” attecchisca come lebbra al solo avvicinarsi. E allora ti vengono alla mente, come angeli salvifici solo portatori di bene, tutti coloro che in codesta malattia ti hanno supportato, l’hanno un poco portata anche loro sulle spalle. Le infermiere dell’ospedale di Oristano che trattando giornalmente con l’umanità dolente hanno imparato quanto conti una buona parola, un essere sempre solleciti alle legittime paure dei pazienti, risultando importanti quanto le medicine al raggiungimento di una salute ritrovata, che a tratti pareva perduta per sempre. Quanto conti la famiglia, con lei sono altri quattro tra fratelli e sorelle, un numero incredibile, per gli standard attuali sardi e italiani, di zii che moltiplicano a mille quello dei cugini in un paese, Mogoro, che non arriva ad avere 5000 abitanti, e dove inevitabilmente si conoscono un po’ tutti. Quando ho avuto la notizia che il tumore mi aveva colpita, dice Gabriella, ho pianto ininterrottamente per due mesi poi, usando la meditazione a fattore quotidiano di esistenza, le cose che mi erano apparse intollerabili hanno, pian piano perso della loro drammaticità. Ha contato molto anche il fatto che Filippo, mio marito, sia buddista. E’ una dottrina questa che molto si interroga sulla sofferenza inevitabile che gli umani incontreranno nella loro vita, e come il Buddah originario, nato principe Siddhartha Gautama, abbia lasciato ai suoi seguaci una “via di salvezza” che molto si basa sulla meditazione. Sull’interrogare quell’io interiore che apparentemente ci signoreggia ma che sappiamo, da Sigmund Freud, non essere “padrone in casa propria”, perché è abitato da una dimensione inconscia che l’uomo ha sempre evitato di considerare, un inganno narcisistico che gli ha fatto credere di essere al centro dell’universo, creatura di Dio, e padrone dell’orizzonte dispiegato dalla sua coscienza e dal suo procedere. Rimanere ancorati sulla terra, sulle cose e le persone che circondano la nostra esistenza, ti aiuta in un percorso di malattia e, questa volta, di guarigione. Aiuta, continua Gabriella, aver studiato filosofia, lei che si è laureata a Cagliari, che anche i presocratici della Grecia, sin dal V° secolo prima di Cristo, molto si erano interrogati sulla natura dell’uomo, lasciandoci spunti preziosi, aiuta la coscienza di abitare una terra privilegiata, unica, dalle tradizioni ancora vive e vissute che a Mogoro sanno tessere nei loro arazzi e tappeti: quelli detti “a pibiones”, ad acino d’uva, dagli anelli in rilievo che, disposti secondo uno schema prefigurato, vanno a formare il disegno nel tessuto. Zoomorfi o vegetali. L’amore per la fotografia ha origini argentine, lì la prima macchina di poco costo, lì un corso che l’avrebbe aiutata tecnicamente nella scelta degli scatti, la scelta di ritornare in paese l’ha poi riportata in una dimensione in cui, grazie all’intuizione di Vittorio Cannas e Stefano Pia nell’ormai lontano 2011, il paese tutto si è consegnato a questa nuova “identità fotografica”: “Bì”: in sardo: ”guarda!”: foto. Guarda foto per aver conto di quanti siano gli sguardi umani che questo mondo riescono a descrivere, a far vivere, con un semplice scatto. Quest’anno la giuria del festival ha premiato Paola Gallo Balma e i gli anziani abitanti di Corniglia, il borgo meno frequentato dalle masse di turisti e più sincero delle Cinque Terre. Una sorta di paradiso in terra. A contrasto poi: Aldo Feroce che ha immortalato gli abitanti del “Serpentone”, un palazzo lungo quasi un chilometro che sorge in periferia ovest di Roma. Sin dalla sua nascita sinonimo di degrado e delinquenza. Eppure, leggo dal libro pubblicato ad hoc da “Machia Press Publishing”: “ Ma ogni vita qui vuol essere vissuta…Loro, i veri eroi di questa pagina triste, danno vita a fenomeni di autorganizzazione che diventerà la loro risposta al lunghissimo silenzio e abbandono istituzionale”. E ancora Emanuela Cherchi che ha utilizzato la facoltà della sua macchina fotografica di scrutare nell’oscurità per seguire i vagabondaggi notturni della gioventù di Montpellier. “Ci sono degli incontri e delle confessioni che si possono fare soltanto nel lasso di tempo tra il crepuscolo e l’alba”. Gabriella Floris ci ha voluto regalare un intero anno della sua malattia e non smette di insistere sulla importanza della prevenzione per ogni donna di ogni età, visto che si calcola che quasi una su otto avrà da affrontare un’esperienza simile alla sua. La sanità sarda non vive un momento di grande spolvero ma, come anche nel caso nazionale, ci sono molte associazioni che si fanno carico di aiutare coloro che incappano in questa situazione di estremo disagio, e debolezza (Bepositive Claudiason, Komunque donne Onlus) . Il mondo del volontariato non indossa casacche né di destra né di sinistra, agisce per il benessere dei più deboli, persino tirandoli su nel vasto mare da barconi fatiscenti e gommoni sgonfiati, ora, purtroppo, pare abbia parecchi problemi su che terra farli sbarcare.
Gabriella ha saputo trasmettere emozioni dense di vita, attraverso immagini che catturano chi le osserva. Ha voluto rivelarsi e renderci partecipi della sua esperienza. Grazie