di Omar Onnis
Si è data grande rilevanza alla partecipazione della Brigata Sassari a questa edizione della festa di Sant’Efisio, con l’annuncio che il famoso corpo militare si è messo ufficialmente sotto la protezione del santo guerriero, stabilendo addirittura di formarne la scorta nella processione. Qualcuno ha pensato di sicuro che effettivamente la cosa fosse opportuna e pienamente giustificata. Anzi, strano che non ci si fosse pensato prima. Anche a me la cosa sembra ovvia e pienamente sensata. Ma forse per ragioni diverse. Ricordiamoci che il bel tipo passato alla storia col nome di Efis e con la qualifica di santo martire altri non era che un comandante militare romano venuto in Sardegna per combattere. Per combattere i sardi, naturalmente. Convertitosi inopinatamente alla religione emergente del periodo, ne aveva subito eroicamente le conseguenze, accettando il supplizio e passando così agli onori non della storia ma degli altari. Che un simile personaggio, reale o ricostruito propagandisticamente che sia, sia diventato nel corso dei secoli prima patrono di Cagliari e oggi protettore di tutti i sardi, è un bel paradosso, già più volte segnalato. Paradosso che certifica, se mai ce ne fosse bisogno, l’estrema debolezza della nostra autostima collettiva. Dopo tutto era giusto che qualcuno arrivasse da fuori a sottomettere la nostra razza maledetta e riottosa, a gettare la luce della civiltà sulla nostra atavica barbarie. Se poi a tanto altruismo civilizzatore si sommano le virtù della santità, cosa mai potremmo chiedere di più per un nostro intercessore presso le alte sfere? In fondo è quello di cui abbiamo disperatamente bisogno: qualcuno che ci rappresenti e ci difenda presso la sede del potere, terreno o ultraterreno che sia, magari senza essere macchiato dalla tara dell’appartenenza alla nostra genia.
Ma veniamo al punto che mi interessa esporre. Se si tratta di armi e di volontà di integrazione, basata sul sacrificio di sé per qualcun altro (sa vida pro sa patria=la vita per l’Italia), non esiste niente di più aderente a tale modello della Brigata Sassari. Massima rappresentazione della nostra scissione spirituale, della nostra ignoranza di noi stessi tramutata in auto-proclamazione di subalternità, la Brigata Sassari esprime perfettamente (oggi forse più di ieri) quell’endiadi apparentemente antitetica di orgoglio e integrazione che ci spinge a preferirci una comunità “speciale” e bisognosa di tutela entro l’alveo di una civiltà diversa, assunta come superiore, piuttosto che accettare il destino di essere semplicemente una collettività storica legittima in sé, alla pari con tutte le altre, senza la necessità di rivendicare continuamente il riconoscimento di una nostra presunta identità, minoritaria e marginale ma granitica. L’accoppiata Santu Efis/Brigata Sassari, dunque, è perfettamente coerente e sensata, nell’ottica deprivante e provinciale di chi si sente periferia dimenticata dell’impero. Con tutto il rispetto, è precisamente l’emblema di uno degli elementi fondanti della nostra precaria condizione storica, come tale da contrastare e da destituire di fondamento quanto prima e quanto più in profondità sia possibile.