“La Moby Prince è andata a collidere con la petroliera Agip Abruzzo per colpa della presenza di una terza nave comparsa improvvisamente davanti al traghetto che provocò una virata a sinistra che ha poi determinato l’incidente. Purtroppo questa nave non è ancora stata identificata con certezza”. È questa la clamorosa conclusione della seconda commissione parlamentare d’inchiesta nella relazione di Andrea Romano.
La terza nave. “Siamo arrivati alla conclusione che le condizioni di visibilità la sera della collisione fossero buone, se non ottime, con vento di brezza e mare calmo”. Ha spiegato il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince, presentando la relazione conclusiva approvata all’unanimità dai commissari dopo poco più di un anno di lavoro, iniziato il 13 luglio 2021. “Inoltre abbiamo accertato senza ombra di dubbio, grazie a studi scientifici eseguiti in modo approfondito – ha aggiunto Romano – che la petrioliera Agip Abruzzo, contro la quale andrò a collidere il traghetto Moby Prince, si trovava ancorata in rada in una zona dove invece c’era il divieto di ancoraggio”.
Le ipotesi su chi sia la terza nave. “Non abbiamo potuto dare risposte certe sull’identificazione della terza nave che secondo noi ha causato la collisione perché non ne abbiamo avuto il tempo a causa della fine anticipata della legislatura, ma abbiamo suggerito nella relazione conclusiva due piste da seguire in futuro sia da parte della magistratura e del prossimo Parlamento”. “Non abbiamo certezze – ha aggiunto Romano – ma suggeriamo nelle nostre conclusioni due possibili ipotesi investigative da approfondire: una riguarda la nave 21 Oktobaar II, che è un ex peschereccio somalo, e l’altra la presenza nel tratto di mare interessato dalla presenza di una o più bettoline impegnate in possibili operazioni di bunkeraggio clandestino”.
Il giallo della bomba. “L’esplosione si produsse subito dopo la collisione, ha spiegato Romano, ma non abbiamo ancora risposte esaustive sulla presenza di tracce contaminate trovate a bordo per le quali sarebbero serviti ulteriori accertamenti che però non abbiamo potuto fare perché abbiamo terminato le indagini con la fine della legislatura in vista delle prossime elezioni. Il black out a bordo della petroliera pochi minuti prima della tragica collisione la rese invisibile davanti agli occhi del comando del traghetto Moby Prince, costretto a fare una virata improvvisa a sinistra per evitare una collisione certa con una terza nave presente in mare e purtroppo non ancora identificata”.
Le accuse all’Eni. “L’accordo assicurativo che altro non era che un patto di non belligeranza tra le compagnie dimostra che ci sono probabilmente documenti, in possesso dell’Eni, che potrebbero fornire ulteriore chiarezza su quanto accaduto e faccio appello ai vertici attuali della società affinché li renda pubblici 31 anni dopo per dare risposte definitive a 31 anni da quella che agli occhi dell’opinione pubblica è una strage”. Lo ha detto Andrea Romano, presidente della commissione d’inchiesta della Camera sul disastro del Moby Prince illustrando la relazione conclusiva approvata oggi all’unanimità.
L’Eni sapeva del bunkeraggio illecito? “Eni, che è una grandissima società ed è un vanto nazionale, forse sapeva che Agip Abruzzo si trovava dove non doveva essere, forse sapeva anche del black out o del vapore e perfino che forse era coinvolta in attività di bunkeraggio clandestino: noi abbiamo chiesto i materiali delle inchieste interne ma non li abbiamo avuti. Spero che chi lo farà in futuro sia più fortunato di noi. Quei documenti per i quali rinnovo l’appello a renderli pubblici – ha osservato Romano – possono contribuire a scrivere un altro pezzo importante di verità di quella tragica notte”.
I depistaggi. “L’ipotesi di una bomba esplosa a bordo del Moby Prince, insieme a quella della nebbia o della distrazione del comando del tragetto durante la navigazione, hanno contribuito a creare confusione su ciò che è realmente accaduto la notte del 10 aprile 1991”. “L’ipotesi della presenza di un esplosivo che causò lo scoppio nel locale delle eliche di prua del Moby Prince – ha spiegato Romano – indicata dalla perizia del dottor Alessandro Massari, si è rivelata infondata e insieme alle altre ha contribuito a creare confusione”.
Chessa: “Vicini alla verità”. “Ora è necessario scoprire chi è la terza nave che ha causato questo disastro, ma anche sapere chi ha messo in atto, da subito, un’azione dolosa per fare in modo che la verità non si scoprisse e che ora è più vicina. Spero che anche la procura di Livorno, che ha un fascicolo aperto, vada in fondo su questi aspetti”. Lo ha detto Luchino Chessa, uno dei due figli del comandante del Moby Prince, commentando l’esito della commissione parlamentare d’inchiesta. L’altro figlio, Angelo, è deceduto nei mesi scorsi. “Ora sappiamo – ha sottolineato – che una terza nave ha creato turbativa alla navigazione del Moby Prince e adesso dobbiamo anche capire perché nessuno ha soccorso il traghetto e perché tutti sono andati verso la petroliera, che aveva una serie di situazioni dubbie che oggi devono essere chiarite e che hanno portato a quel patto di non belligeranza tra le due compagnie. Perché Navarma ha voluto questo accordo assicurativo? Che cosa ci ha guadagnato?”. A Palazzo San Macuto è intervenuto anche Nicola Rosetti, vicepresidente della commissione Moby Prince 140: “Bisogna trovare – ha detto – i responsabili di quelle menzogne che da subito volevano farci credere che fu la nebbia e una tragica fatalità a determinare la morte di 140 persone”.