di ROBERTA CARBONI
Un’industria pulita quella delle saline, che trasforma l’acqua del mare in oro bianco: il sale. Cagliari ne possiede ben due, una delle quali, quella fondata dall’ingegner Luigi Conti Vecchi, è la seconda più grande in Italia e la terza in Europa.
Ubicate a 15 km da Cagliari, le Saline Conti Vecchi costituiscono un bellissimo esempio di archeologia industriale in un contesto ambientale di grande fascino che cambia a seconda delle stagioni. Si tratta di un vero e proprio paesaggio del sale che coniuga architettura, natura, industria e memoria storica in un percorso di continuità tra passato e futuro.
Seconde in Italia per estensione, dopo quelle di Margherita di Savoia in Puglia, le Saline Conti Vecchi hanno conosciuto varie gestioni, da quella di Guido Conti Vecchi – figlio dell’ideatore del progetto Luigi – fino all’attuale proprietà dell’Eni che, mediante un progetto di riqualificazione industriale e di bonifica attraverso operato attraverso la società Eni Rewind, dal 2017 ha affidato al FAI la valorizzazione di questo immenso patrimonio culturale e paesaggistico.
Qualche notizia storica. Nel 1918, all’età di settant’anni, l’ingegnere Luigi Conti Vecchi, toscano di nascita ed ex direttore delle Ferrovie Reali Sarde, dopo aver partecipato come generale dell’esercito alla Prima Guerra Mondiale, decide di tornare in Sardegna.
Durante i lavori di costruzione della ferrovia, che lo portano a girare per la Sardegna in lungo e in largo, l’ingegnere ha modo di conoscerne i paesaggi e le persone, innamorandosene perdutamente. Così, nel 1919, decide di presentare un ambizioso progetto: la realizzazione di una salina che rispondesse alle più moderne tecnologie industriali. Questo progetto aveva un triplice scopo: dare un nuovo assetto alla laguna di Santa Gilla, estirpare la malaria e creare occupazione.
Il progetto, ritenuto troppo esoso e largamente osteggiato dagli oppositori che prevedevano ripercussioni negative sulla pesca, ottenne la concessione nel 1921, rilasciata con decreto regio.
Purtroppo Luigi Conti Vecchi muore nel 1927, a pochi mesi dalla prima raccolta sperimentale del sale, riuscendo ad assistere solo alla prima fase, quella della bonifica.
L’avvio delle Saline avvenne tra il 1929 e il 1931, sotto la gestione del figlio Guido Conti Vecchi, che le amministrò fino al 1949, anno della sua morte.
La successiva gestione spalancò le porte a Luigi Galimberti, marito di una nipote di Luigi Conti Vecchi e successivamente a suo figlio Silvio Galimberti. Negli anni settanta avvenne il passaggio alla SIR Rumianca, seguito, nel 1984, dall’assegnazione a Eni.
Oggi le saline sono un bene affidato in concessione alla Ing. Luigi Conti Vecchi, giovane società controllata dalla Eni Rewind. Dal 2017, anno dell’apertura al pubblico, la loro valorizzazione è stata affidata al FAI – Fondo Ambiente Italiano.
Gli spazi della Salina. Gli spazi della salina si snodano in circa 2700 ettari che comprendono caseggiati industriali dal gusto Decò e Liberty, le abitazioni dei lavoratori del villaggio Macchiareddu, ponti, strade, canali, bacini evaporanti e caselle salanti.
Il villaggio Macchiareddu. Sul modello dei villaggi industriali – come ad esempio i villaggi minerari del Sulcis e dell’Iglesiente o la Città del Sale di Molentargius – anche le Saline Conti Vecchi si organizzarono come una vera e propria comunità autosufficiente. Oltre agli spazi lavorativi quali, ad esempio, gli uffici, le officine, i laboratori e gli spazi di raccolta del sale, nacque una vera e propria comunità agricola ed industriale che trovava alloggio nell’adiacente villaggio Macchiareddu, destinato ai lavoratori delle saline e alle loro famiglie.
Il villaggio era completamente autosufficiente e assolutamente moderno per gli standard dell’epoca. Le abitazioni erano dotate di energia elettrica, servizi igienici ed acqua corrente e quel che non si poteva trovare nelle case, lo si poteva avere nel villaggio, senza bisogno di uscire all’esterno. Lo spaccio alimentare, la mensa, una cabina telefonica, l’infermeria, la chiesa e altro ancora.
Le condizioni di vita degli operai erano assolutamente dignitose. Disponevano di pasti gratuiti alla mensa, spendevano poco per l’energia elettrica, non pagavano la legna, avevano l’orto e spazi destinati allo svago e al riposo. Il dopolavoro, infatti, veniva curato con l’organizzazione di attività sportive, gite e altri momenti di socializzazione.
Gli uffici. Gli uffici principali si trovano all’interno della Palazzina della Direzione, che oggi accoglie anche l’info point e la biglietteria del FAI. Le sale sono state restaurate ma restano fedeli nella disposizione e nell’arredamento a com’erano negli Anni Trenta. Le poltrone, le lampade, le scrivanie, le calcolatrici e perfino alcuni documenti d’epoca come i libri paga degli impiegati, registri, schede anagrafiche ecc.
L’officina. Gli uffici si trovano al primo piano della palazzina, mentre al piano terra si trovano l’ufficio del capo officina e l’officina meccanica. La prima è una piccola stanza vetrata con vista sull’officina, caratterizzata dalla presenza di una vecchia macchina per il cartellino dei dipendenti.
Nell’officina venivano riparate le macchine e fabbricati i pezzi di ricambio. In funzione fino al 2003, l’officina può vantare un buon assortimento di antiche macchine da lavoro e una discreta quantità di cartelli con istruzioni ai lavoratori e avvisi di pericolo. Da non perdere nell’ officina è la proiezione di un filmato in gran parte montato sui documentari dell’Istituto Luce sulla storia delle saline. Un altro documentario, incentrato sull’aspetto naturalistico e sul ciclo del sale, viene riprodotto nell’ex falegnameria.
Il laboratorio chimico. Usciti dallo stabile della Direzione si attraversa un piccolo cortile che conduce al laboratorio chimico, che inizialmente si trovava all’interno del villaggio Macchiareddu. Qui si effettuavano prevalentemente controlli chimici sul sale. Oltre a quello destinato ad usi alimentari, che costituiva il principale introito della Salina, il sale aveva diversi utilizzi, tra cui quello farmaceutico, industriale, ecc.
A svolgere le analisi erano i chimici della Salina, ma i campioni da analizzare venivano preparati dalle donne, che avevano un ruolo importantissimo in questa fase di lavoro.
Come in molti contesti industriali, quali miniere o fabbriche, alle donne erano assegnati compiti di precisione. Le donne, infatti, venivano spesso preferite agli uomini perché meno costose (a parità di ore lavorate e di mansione, una donna percepiva circa 1/3 in meno del salario corrisposto all’uomo. Ma non erano solo motivi economici a far preferire le donne agli uomini: le donne erano ritenute più diligenti, facilmente controllabili e mansuete e perché si pensava fossero meglio predisposte a svolgere alcuni lavori (quelli semplici, meccanici e ripetitivi, ma non per questo meno pesanti di quelli maschili) che le nuove macchine richiedevano, mentre agli uomini venivano riservati per lo più i lavori di fatica.
La produzione del sale. La modalità di coltivazione del sale è rimasta invariata per oltre 2000 anni, vale a dire dall’epoca dei fenici ad oggi. Ad essere cambiati sono solo gli strumenti e le tecniche di raccolta, che nei secoli si sono adeguate al progresso tecnologico e alla necessità di ridurre i tempi e diminuire il lavoro dell’uomo in virtù di quello delle macchine. Ieri come oggi, dunque, sono l’acqua, il vento e il sole che determinano la produzione del sale.
La salina, quindi, segue il ciclo delle stagioni ed il lavoro dei salinieri continua per tutto l’anno, agevolato o meno dalla generosità del clima. Buona parte del sale è destinato all’uso alimentare. Una fetta da non trascurare va all’industria chimica e alle aziende che producono detersivi e cosmetici. Un altro utilizzo riguarda, infine, il disgelo delle strade.
I bacini evaporanti. Il ciclo di raccolta del sale inizia nei bacini evaporanti, una zona umida nella quale si trovano prevalentemente uccelli ed altre specie viventi nell’ecosistema stagnale. I bacini evaporanti sono aree naturalistiche preservate dall’intervento dell’uomo e si differenziano dalle caselle salanti per l’irregolarità delle vasche e per la presenza di una fitta vegetazione e degli animali che qui vivono indisturbati.
Qui l’acqua marina, con la complicità del vento e del sole, evapora e va incontro alla perdita di calcare e altre componenti nocive per il prodotto finito. In questa fase la pioggia è dannosa perché sottrae salinità all’acqua, complicando il lavoro del saliniere che, dopo opportune analisi di campioni, deve riequilibrarla.
Dai bacini evaporanti, l’acqua di mare passa alle cosiddette caselle salanti, per mezzo delle idrovore, moderne strutture dotate di pompe d’immissione che spingono l’acqua nelle vasche.
Le caselle salanti. Sono delle vasche in cui avviene la “maturazione” e il “raccolto” del prodotto. Nelle Saline Conti Vecchi sono 253 le caselle salanti.
Durante il periodo di permanenza dell’acqua nelle caselle salanti, questa continua ad evaporare, fino a “precipitare” e depositarsi sul fondo, formando una sorta di crosta dello spessore di 15-20 cm.
La crosta viene rotta e il sale grattato via con delle ruspe con le quali si fanno dei cumuli, simili a delle vere e proprie montagne piramidali. In queste montagne, dette “aie”, il sale non è ancora pronto per la vendita. Deve essere infatti prima raffinato.
Sia i bacini evaporanti che le caselle salanti sono artificiali. Il loro aspetto è tuttavia molto diverso. Nelle caselle, la mano dell’uomo è più visibile. Le vasche hanno infatti dei confini chiaramente tracciati. Al contrario, l’ambiente dei bacini evaporanti è più selvaggio. Sembra quasi incontaminato, grazie alla vegetazione e ai volatili dell’oasi naturalistica al suo interno.