di ALESSANDRA DERRIU
Un versante scosceso da percorrere per circa 2,5 km, caldo e afa, una leggera brezza che aiuta nella salita e conforta nella fatica, un panorama mozzafiato che spinge ad andare avanti, a vedere cosa c’è oltre, a vedere cosa c’è in cima.
Siamo diretti alla necropoli di Sa Pala Larga, un antichissimo luogo di sepoltura difficilmente accessibile, nascosto, protetto e che oggi, in via eccezionale e sotto il vigile controllo della Soprintendenza Archeologica, potrà essere visitato da studiosi ed appassionati.
Non è un caso che questo luogo sia difeso da barriere naturali, prezioso come una cassaforte, il sito è stato incastonato nella roccia come una gemma rara da custodire per l’eternità, sulla cima, in alto, sulla terra ma vicino al cielo.
In tanti sono accorsi dai paesi vicini e da tutta la Sardegna per il grande evento, capita raramente e sarà un privilegio avere accesso ai luoghi cimiteriali sacri di Sa Pala Larga, in sardo costa di monte, in riferimento al rilievo che ospita le sepolture; un altro toponimo che indica il sito è Aidu ‘e Santos, il passaggio delle anime.
Passaggio dalla vita alla morte e poi ancora alla vita, qui nel luogo dove i nostri antenati costruirono case di pietra per i morti, domus appunto, a immagine delle case dei vivi, dove arrivare alla fine del viaggio e da dove ripartire. Case tempio dove morte e vita venivano consacrate, celebrate, adorate e rispettate, dimore che racchiudono il grande mistero dell’esistenza, luoghi magici di rinascita.
Siamo a Bonorva, in provincia di Sassari, nel Parco Mariani, un’area montuosa della regione del Meilogu, con torrenti e cascate, lecci e querce da sughero, un luogo dalle importanti riserve naturalistiche e popolato dall’uomo fin dalla notte dei tempi, prima delle popolazioni nuragiche, prima dei nuraghi (dal Neolitico all’Età del Rame, tra il V e il III millennio a.C.). Le prime tombe vennero scoperte fortuitamente per dei lavori meccanici effettuati da un mezzo che lavorava in campagna, nella metà degli anni Novanta, poi altre sepolture vennero indagate nel 2007. Ma è solo dal 2021 che, grazie a nuovi finanziamenti stanziati, vengono avviati i lavori di restauro e consolidamento.
Le tombe restano fragilissime, alcune ancora sigillate altre da mettere in sicurezza migliorando l’isolamento termico e la consistenza strutturale: bisogna limitare il distacco delle pitture, cercare di non alterare troppo il microclima e consolidare le coperture che sono a rischio crollo.
Entriamo nella tomba I, è una casa di pietra, una domus scavata nella roccia, sotto terra, nel ventre della terra, la sensazione è quella di tornare indietro nel tempo, da dove siamo partiti, alle origini, agli antenati, la sensazione è quella di tornare a casa, ritorniamo dopo millenni nel luogo che i nostri avi prepararono per questo ritorno, dove seppellirono i morti e dove torniamo da vivi. Sopra di noi il soffitto a due falde, le travature del legno, tutto scolpito nella pietra, allo stesso modo sono stati ricavati il pilastro centrale, con le tracce della pittura rossa, il focolare, il letto funerario.
Coppelle votive all’ingresso, decorazioni scolpite, incise e dipinte, denti di lupo e spirali.
Le spirali, simbolo di vita e di rinascita, disegni con i quali gli antenati hanno raccontato, tracciandoli nella roccia, messaggi, racconti, con i quali hanno trasmesso fino a noi la loro concezione di vita e di morte.
La simbologia della spirale, diffusa per altro nei paesi europei e del vicino oriente, (perché la Sardegna è sempre stata un centro di collegamenti, non una isolata periferica,) rimanda alla ciclicità della vita, richiama il movimento del tempo, della rinascita dell’uomo e della natura, del divenire.
La tomba III custodisce un lavoro scultoreo eccezionale, un pilastro con un bassorilievo raffigurante una protome bovina con il muso triangolare e corna che arrivano al soffitto; da questa figura partono diverse spirali che poi decorano tutta la colonna: la simbologia del toro, forza, virilità, e divinità maschile, unita a quella della spirale, che ci parla di ciclo di vita e ci rimanda alla figura femminile della donna e della dea madre.
Una scultura che rappresenta le forze creatrici, un’immagine che ci racconta un mondo di credenze, di religiosità e di devozione, di spiritualità che ci è stata tramandata in eredità, da millenni, creata dall’uomo e custodita dalla terra.
Grazie alla Soprintendenza Archeologica e in particolare alla dott.ssa Nadia Canu
(Giornata dei sentieri e dell’archeologia, 12 giugno 2022, Bonorva)
Cfr. Archeologia viva. Storia, Sardegna, necropoli delle spirali, n. 210, nov. 2021, pp. 8-16.