di SILVIA SANNA
Alle 5 del mattino nella scuderia aveva ancora il sonno negli occhi e le mani gelate: ogni tre parole diceva tittia, tittia e gli altri lo ascoltavano con un punto interrogativo disegnato in fronte. Ci misero poco a capire che nelle campagne senesi quel talentuoso ragazzino sentiva più freddo di quello patito nella Foresta nera in Germania e nel Sarcidano di Nurri. Un anno dopo, quando appena maggiorenne esordì al Palio con la Contrada del Nicchio sulla cavalla Alesandra, a quel ragazzo bisognava dare un soprannome e fu automatico tirare fuori quella curiosa espressione sarda che significa “che freddo”. Nasce così Giovanni Tittia Atzeni, 37 anni, che da quel lontano 2003 i Pali di Siena li ha corsi tutti e otto volte ha vinto, l’ultimo trionfo una settimana fa, il 2 luglio. Giovanni Tittia era attesissimo dopo il cappotto del 2019, ultima edizione pre Covid, quando vinse sia a luglio che ad agosto: e lui sull’esordiente Zio Frac «appena l’ho visto ho capito che era quello giusto», mezzosangue angloarabo, ha mandato in delirio la folla. Qualche giorno, centinaia di autografi e migliaia di telefonate e messaggi dopo «di cui tre quarti dalla Sardegna», Tittia è proiettato già verso il 16 agosto: sino ad allora non si molla di un millimetro, concentrazione pazzesca, dieta e allenamento. Perché il talento sardo idolo di Siena sogna un altro bis.
La parlata è dolce, tanti anni in Toscana hanno ammorbidito l’accento sardo che però c’è sempre, insieme a tante altre caratteristiche: «L’orgoglio, la testardaggine, il coraggio: le prime volte al Palio, anche se non vincevo, mi facevo notare per l’azzardo. Sentivo che la gente, Siena, si aspettava qualcosa di grande da me. Dopo otto corse, nel 2007, è arrivata la prima vittoria: il tempo giusto, perché se dopo tanto non vinci mai, allora Siena “ti mette via” e guarda altri». La consacrazione a idolo è però arrivata quattro anni dopo, nel 2011: secondo palio vinto ed ecco che scoppia la tittiamania, sempre più forte 11 anni e molte vittorie dopo.
Quattro sorelle (Bettina, Monica, Melany e Gina), Giovanni è l’unico maschio della famiglia ed è su di lui che il padre Franco, muratore appassionato di cavalli, punta l’obiettivo. «Sono nato a Nagold, in Germania, perché mio padre era emigrato per lavoro e lì ha conosciuto mia madre Cristina. Ho vissuto lì per 11 anni e più della metà li ho trascorsi a cavallo: i primi li ho montati a 5 anni. Ho ricordi fantastici di quel periodo, non è stato semplicissimo ricominciare in Sardegna, a Nurri. Dove però, oltre a tutta la famiglia di mio padre, ho ritrovato anche i cavalli». A 12 anni, un anno dopo il trasferimento in Sardegna, Giovanni Atzeni corre il palio a Bitti e si mette in evidenza anche in altre corse. L’incontro della vita è a Cagliari nel 2002: al Palio cattura l’attenzione di Luigi Bruschelli, noto Trecciolino, 13 pali di Siena vinti, e gli propone di andare in Toscana con lui. «Ho 17 anni – racconta Tittia – mi metto in gioco, voglio fare quello nella vita. Parto».
Sono le 11 del mattino, la colazione è digerita da un pezzo così come lo spuntino post allenamento. E mentre l’ora di pranzo si avvicina veloce, Giovanni Atzeni racconta la sua vita da fantino, scandita da regole, orari da rispettare e zero vizi. Stessa tabella di marcia da più o meno 15 anni, con poche concessioni solo da settembre a dicembre «quando non ci sono Pali e vado a trovare la mia famiglia in Sardegna». Per tutto il resto dell’anno la sveglia suona prima dell’alba nella casa-azienda della famiglia Atzeni: «Mi alzo alle 5 meno un quarto» quando fuori dalle coperte la tittia ti entra nelle ossa. Giovanni si consola con la colazione da campione: «Mangio ogni giorno tre uova fritte, poi vado a fare le prime uscite a cavallo insieme ai miei soci». Fantini sardi come lui: «Si chiamano Stefano Piras e Michel Putzu, sono di Elini e di Teti, insieme gestiamo 35 cavalli che prepariamo per i pali e per gli ippodromi». A metà mattina si fa la pausa con carboidrati e proteine: «Mangiano pane e prosciutto, rigorosamente crudo». A pranzo arriva la pasta «sempre in bianco», accompagnata dalla carne «una fettina semplice», niente intingoli. La merenda del pomeriggio non c’è e si va avanti con gli allenamenti sui cavalli da sella sino a sera: «A cena mangio carne e verdura, bevo solo acqua. Gli alcolici sono banditi, qualche birra e bicchiere di vino me li concedo da settembre e nei brindisi con gli amici in Sardegna: ne ho tanti e al bar non mi fanno pagare neanche se li supplico». È così, grazie a un regime alimentare rigidissimo ma solo per gli altri, che Giovanni Tittia mantiene pesoforma e muscoli: «Peso 62 chili e sono alto 1 metro e 72 centimetri, un po’ di più rispetto alla media dei fantini, che sono quasi sempre bassi». Bassi e sardi, ma perché? «Noi sardi abbiamo un talento naturale per montare a cavallo, a sella e a pelo come si fa nei pali. C’è una cultura del cavallo fortissima e tramandata di generazione in generazione. E poi siamo agguerriti e abbastanza bassi, e questo aiuta».
Il Tittia due – ma il soprannome sarebbe un altro – potrebbe essere Mattia, 14 anni, scuole medie archiviate quest’anno, pronto per le Superiori. È il figlio di Giovanni e della compagna Ilaria e scalpita più dei cavalli per diventare fantino. «Ha ereditato in pieno la mia passione. Anche se noi cerchiamo di spingerlo a fare altro perché questo mondo è rischioso e difficile, e sul tu figliuolo una cosa così non la puoi reggere. Non so come andrà a finire, di sicuro Mattia è bravo, ha talento, anche se io sono il padre e non dovrei dirlo perché non è bello vantarsi…»
Quando gira per Siena la gente lo riconosce, chiede l’autografo, la foto insieme: «In Sardegna no, mi conoscono in tanti e mi fanno i complimenti. Ma qui è diverso, la città e il suo Palio sono una cosa sola e per i cavalli c’è una autentica venerazione: i fantini possono farsi male, i cavalli no. Io sono apprezzato anche perché sono l’unico ad avere fatto due cappotti: nel 2013 e nel 2019, quando ho vinto le corse di luglio e di agosto. Diciamo che in questo modo sono entrato nella storia». Prima di lui altri, tra cui un sardo. «Il mio riferimento, quello che posso considerare il mio mito è Luigi Bruschelli, perché è un grande campione e ha creduto in me. Lui è uno degli eroi di Siena insieme ad Aceto: Andrea Degortes, orgoglio sardo, 14 vittorie al Palio, sinora nessuno come lui, chapeau. Si, sarebbe un sogno raggiungerlo». E allora avanti, tra sveglia all’alba, tittia nelle ossa e uova fritte a colazione. Perché la vita del fantino è passione e sacrificio, è la gioia di un traguardo e di un popolo ai tuoi piedi.