di OMAR ONNIS
. Esce per Einaudi Stile Libero il nuovo romanzo di Francesco Abate, ‘Il complotto dei calafati’, seconda avventura di Clara Simon e della sua assortita compagnia di co-protagonisti e comprimari. E il mistero si infittisce.
Siamo nella Cagliari del 1905, città vivace e multietnica, investita da un certo progresso e dall’aria della Belle Époque, ma anche percorsa da forti tensioni sociali e culturali. Non è passato molto tempo dai fatti narrati nel romanzo ‘I delitti della salina’ e Clara Simon, figlia meticcia di un militare disperso in Cina e nipote di un importante armatore, si ostina a perseguire la sua ambizione giornalistica, a dispetto delle maldicenze e delle difficoltà pratiche.
Un delitto colpisce l’ambiente aristocratico e scuote la buona società cagliaritana, facendo sospettare immediatamente una matrice politica. Ipotesi plausibile, in quell’epoca, a pochi anni dall’assassinio dello stesso re Umberto I. Ma Clara, paladina dei deboli e dei marginali, non è convinta e trascina se stessa, i suoi compagni di avventure e chi legge in un turbine di scoperte, pericoli, rivelazioni.
Questo è il nucleo narrativo intorno al quale si sviluppa il racconto di Francesco Abate, racconto in cui sono dosati e mescolati insieme l’ostinazione della protagonista a scoprire cose ne sia stato del padre, il suo percorso di crescita personale, le sue relazioni e ancora le vicende politiche, internazionali, italiane e sarde di quegli anni.
Trattandosi di un romanzo noir con molti tratti da thriller non è il caso di insistere più di tanto sugli aspetti strettamente contenutistici: il rischio spoiler è altissimo. Ma non è questo il mistero a cui alludevo più sopra.
Il vero mistero in realtà è molteplice e ubicato a più livelli, tanto nei meandri della trama, quanto nelle sue connotazioni implicite e anche, dal punto di vista tecnico, nel difficile lavoro di selezione e incastro che tiene assieme tutto.
Su quest’ultimo aspetto, la soluzione è abbastanza semplice. Almeno in astratto. Tutt’altra cosa è metterla in pratica. È una questione di mestiere, ossia di padronanza del mezzo narrativo, maturata da Abate nella sua esperienza da cronista e nella sua ormai consolidata carriera da scrittore. Caso mai va sottolineata la sensibilità con cui l’autore evita di mettere se stesso in primo piano e lascia che sia la storia a dettare le sue regole e ad attirare l’attenzione del lettore. Gli accorgimenti narrativi – dalle anticipazioni ai colpi di scena, dai cliffhanger agli svelamenti – sono incastrati a puntino, al servizio del racconto.
Molto meno facile è la soluzione dell’altro mistero. Abate non ce la sta raccontando giusta. Non fatevi ingannare dal tono lieve, spesso ironico, a tratti umoristico, con cui viene condotta la storia. Non fatevi nemmeno distrarre dagli easter egg seminati qua e là, per il godimento esoterico di lettori e lettrici sardə (posso suggerire, come unico indizio, di badare a certi cognomi e/o soprannomi, ma c’è anche altro). Persino le sottotrame principali – ad esempio le incertezze sentimentali di Clara Simon o la sua ricerca della verità sulla sorte del padre – benché abbiano il loro peso, non bastano a togliere la sensazione che ci sia qualcosa di più sotto.
Il fatto è che ambientare una storia in quella Cagliari e in quegli anni è già di per sé un azzardo notevole. Non perché sia un periodo difficile da ricostruire o perché manchi di suggestioni e di fascino, ma esattamente per la ragione opposta.
Il periodo che va dagli ultimi anni del XIX secolo alla Prima guerra mondiale è stato un momento piuttosto particolare della nostra storia contemporanea (nostra=sarda). Ricco di fatti, di conflitti, di aspettative, di contraddizioni. Un periodo di fioritura culturale ad ampio spettro e di repressione durissima delle istanze sociali e politiche più avanzate, di spedizioni militari e di innovazioni in tutti i campi. I nodi irrisolti del secolo precedente venivano al pettine, se possibile ancor più aggrovigliati, ed emergevano forze intellettuali e sociali nuove. Carenze infrastrutturali, brutale sfruttamento del lavoro, mire speculative e una politica opportunistica di stampo clientelare affliggevano l’isola. Al contempo, però, si diffondevano nuove idee di giustizia sociale, grazie a poeti e militanti politici, che trovavano applicazione concreta nelle prime organizzazioni sindacali, ed emergeva nelle masse la consapevolezza di una relazione asimmetrica e penalizzante dell’isola con lo stato italiano, alimentando aspirazioni radicali e persino rivendicazioni proto-indipendentiste.
Tutto questo è presente nel romanzo, non solo come contesto e come sfondo, ma come elemento narrativo che aggiunge senso e corpo alla storia. Abate sa come funziona il gioco e non cade nella tentazione del didascalismo. Non spezza l’andamento della narrazione con inserti esplicativi o con parentesi documentaristiche. Usa invece le sue conoscenze su quel periodo per dare spessore al racconto e ai suoi personaggi. Ed è al racconto e ai personaggi che è affidato il compito di fornire a chi legge, di provenienza sarda o no che sia, le indicazioni utili ad orientarsi.
Per esempio, la comparsa sulla scena di un personaggio storico come max Leopold Wagner, apparentemente incongrua e stravagante rispetto alla vicenda narrata, ha invece un suo senso e una sua coerenza storica. Al contempo, può farci riflettere, come persone sarde, sulla nostra stessa condizione spesso scissa, incompiuta, sballottata tra rivendicazioni identitarie a volte troppo rigide e il desiderio di piena integrazione nella contemporaneità. Ma non è la sola trovata narrativa di questo tipo. Non dico di più solo per non rovinare la sorpresa.
Inevitabilmente, molti di questi spunti sono difficili da cogliere in tutta la loro portata per chi non sappia riconoscerli. Non è un problema. Al massimo ci sarà chi vorrà saperne di più e darà uno sguardo a qualche enciclopedia. Male non fa. Come persone sarde, se ci sentiamo chiamati in causa dalle questioni evocate, è perché molte di esse ci sono tutt’ora familiari. Scoprire la loro lunga durata può essere uno choc, per qualcuna, ma è uno choc salutare.
Ecco che un romanzo noir, con tratti di romanzo storico in stile feuilleton, improvvisamente diventa qualcos’altro sotto i nostri occhi. È lì il mistero di Francesco Abate ed è un motivo di ulteriore fascinazione del suo racconto.
La consapevolezza che ci sta trascinando in un suo diabolico complotto narrativo non aiuta a intuirne le intenzioni. Per quanto mi riguarda, conoscendo bene quel periodo storico e avendone anche discusso con l’autore, mi sono fatto un’idea su cosa stia tramando. Non la rivelerò nemmeno sotto tortura.
Il complotto dei calafati è dunque allo stesso tempo un romanzo che si può leggere con animo sgombro, per puro svago, senza farsi troppe domande, e un affresco storico piuttosto accurato, in cui immergersi con curiosità, nonché una sfida intellettuale e persino politica da accettare con coraggio.
La fine della lettura lascia soddisfatti ma anche in sospeso, col desiderio di saperne di più. Staremo a vedere come Francesco Abate allestirà i prossimi capitoli della saga. Perché ovviamente ce ne saranno altri. È un auspicio ed è un augurio, per lui e per noi lettrici e lettori.
Dopo anni trascorsi nella Napoli di Maurizio De Giovanni, ora mi butto nella Cagliari di Francesco Abate che già mi piace assai!