di MARIA RITA QUARTU
Incontriamo Sergio Mura, classe 1981, originario di Samugheo, che da undici anni vive nel Regno Unito, attualmente a Oxford dove risiede dal 2016, lo stesso anno in cui si è sposato con Marta, una ragazza polacca conosciuta in Inghilterra: hanno due figli, Sebastian e Gabriel.
Conseguita la maturità scientifica, affascinato dal campo della ricerca medica e coltivando il sogno di mettere a disposizione le proprie conoscenze a beneficio degli altri, si iscrive al corso di laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche a Cagliari. Inizia a lavorare come farmacista prima a Cagliari, poi a Roma scoprendo che gli piaceva chiacchierare con i pazienti e dare loro non solo consigli professionali ma anche supporto morale, indispensabile soprattutto in quei casi in cui si trovavano ad affrontare malattie più serie. Dopo aver ripreso in mano i libri di inglese, il suo carattere curioso e dinamico, la ricerca di nuove sfide lo spinge ad acquistare un biglietto di sola andata per Londra …
Qual è attualmente il tuo campo professionale? Lavoro come Lead Pharmacist for Clinical Trials all’Oxford University Hospitals ricoprendo da un anno, a seguito del lavoro come farmacista e ottenuta la laurea in Clinical Research alla Cardiff University, una posizione manageriale a tempo indeterminato. Mi occupo di ricerca clinica, che è quella fase della ricerca in cui nuovi farmaci o terapie, dispositivi medici, procedure chirurgiche o diagnostiche vengono sperimentate per la prima volta sull’uomo per provare a identificare benefici e rischi. Lo scopo è quello, appunto, di migliorare le conoscenze sulle patologie, trovare nuovi metodi diagnostici e sviluppare nuovi farmaci o trattamenti, col fine ultimo di migliorare gli strumenti per curare i pazienti. Per raggiungere questi obiettivi vengono condotti studi clinici (i famosi clinical trials), che seguono precisi protocolli e le normative vigenti tra cui gli standard internazionali di qualità e di etica della ricerca clinica note come Buona Pratica Clinica per garantire che i diritti, la sicurezza e il benessere dei partecipanti a uno studio siano protetti e uniformi rispetto ai principi della Dichiarazione di Helsinki e che i dati degli studi clinici siano credibili. Essendo Oxford uno dei più grandi centri universitari ospedalieri in Inghilterra, per quanto riguarda la ricerca abbiamo uno dei più ampi portfolio del Regno Unito con circa 350 studi attivi che coprono le diverse aree terapeutiche; il nostro dipartimento è responsabile per l’approvvigionamento, la conservazione una volta in loco, alle corrette temperature e preparazione per la somministrazione dei farmaci sperimentali. Inoltre assicuriamo che prima che un paziente venga trattato con un farmaco o una terapia sperimentale tutte le autorizzazioni siano state rilasciate, per esempio quelle dell’ente regolatore per il Regno Unito e di un Comitato Etico. Ricoprendo un ruolo manageriale mi occupo anche della parte finanziaria del mio dipartimento, del recruitment; sono membro di diversi comitati all’interno dell’ospedale a cui partecipano medici e altri professionisti. Faccio project management, insegno, partecipo come relatore a conferenze nazionali e internazionali, scrivo per libri e riviste scientifiche.
Cosa ti piace della tua professione? Innanzitutto lavorare in un centro prestigioso e all’avanguardia come Oxford è per me un privilegio; non solo per il fatto di essere immerso in un ambiente in cui la ricerca scientifica è una priorità, ma soprattutto per le grandi opportunità di accrescimento professionale. Inoltre, è un privilegio toccare con mano farmaci che potenzialmente sono il futuro della medicina ed essere coinvolto in prima persona nel loro sviluppo con la speranza che ognuno superi tutte le fasi di studio così che, un giorno, la maggior parte di questi siano disponibili per quelle malattie per cui ancora non c’è una cura o come migliori opzioni rispetto ad altri farmaci già approvati. Oltre che nuovi farmaci nelle classiche formulazioni ho il privilegio di maneggiare le più avanzate terapie come, per esempio, virus geneticamente modificati da iniettare direttamente nel tumore, cellule staminali o farmaci di ingegnerizzazione dei tessuti. Gli studi che noi conduciamo sono per molte persone l’unico trattamento esistente per la loro patologia e per altri sono l’ultima speranza dopo aver già provato tutte le terapie disponibili ma senza successo. Sapere che quello che faccio ogni giorno e, che per me, è semplicemente il mio lavoro ma per i nostri pazienti è una speranza, è motivo di orgoglio. Purtroppo per il nostro centro è normale avere in cura tanti bambini di ogni età, dai neonati agli adolescenti, affetti da rare malattie per cui non ci sono terapie con farmaci approvati a disposizione. Toccare con mano questa dura realtà un po’ mi rattrista, sapere però che noi siamo la loro speranza mi sprona a dare sempre il meglio di me e fare tutto il possibile, e anche di più.
Oltre quelli professionali, quali stimoli offre il Regno Unito? Sono undici anni che vivo in Inghilterra e la sento come un posto che posso chiamare casa, forse perché mi ha dato tanto sia dal punto di vista personale che lavorativo. Percepisco di aver trovato la mia stabilità qui anche se naturalmente sento e sempre sentirò la mancanza della mia amata Sardegna. Quello che mi piace di Oxford è la multiculturalità; il mio team stesso, per esempio, è composto da persone con differenti culture. Oltre a persone originarie di diverse parti del Regno Unito, ho colleghi provenienti da Spagna, Sudafrica, Pakistan, India, Iran, Romania, Polonia e Hong Kong. Essendo curioso, mi piace confrontarmi con culture diverse e quello che trovo affascinante sono le cose in comune. Naturalmente il mio percorso non è sempre stato facile. Ho sempre vissuto le situazioni difficili in modo positivo perché ritengo sia molto importante capire i propri limiti e porsi tante domande, l’unica maniera per colmare le nostre lacune e migliorarci. Questo atteggiamento mi ha anche aiutato a credere sempre in me stesso anche quando gli altri mi scoraggiavano magari sottintendendo che non sarei stato all’altezza e esprimevano commenti più negativi che positivi. La mia perseveranza, lo studio per tenermi sempre aggiornato, pensare di potercela fare anche quando tutto sembrava impossibile, e la mia testardaggine, mi hanno senz’altro aiutato ad arrivare fin qui con le mie sole forze; questo è per me motivo di orgoglio.
Pensi di rientrare in Italia prima o poi? La voglia di mollare tutto e tornare in Italia mi è venuta più di una volta, soprattutto nei momenti più difficili in cui magari mancava il supporto che invece avrei avuto a casa. Allo stesso tempo, però, penso di avere ancora tanto da imparare e l’Inghilterra è un paese che offre tante possibilità. Forse un giorno mi piacerebbe rientrare e poter mettere a disposizione le competenze e le professionalità che ho acquisito in questi anni.
Quante risorse ha sparse per il mondo la #Sardegna🤦 che rabbia