di LUCIA BECCHERE
L’antropologo, scrittore saggista bittese Bachisio Bandinu, nel suo ultimo libro Femina né fata, né strega (Sardinia edizioni) analizza il processo storico della donna nella società agropastorale sarda negli ultimi 70 anni.
Professor Bandinu, quali sono le tematiche del libro? «Questo libro, che esplora l’universo femminile, non si riferisce tanto al femminicidio ma soprattutto vuole porre il problema su come rispondere alla crisi dell’uomo perché faccia autocritica e prenda coscienza che questo codice patriarcale non è più dominante».
Cosa s’intende per società matricentrica e antropologia patriarcale? «La società sarda pone la donna al centro della famiglia e della comunità con un ruolo determinante nell’educazione dei figli. È sa mere ’e sa domo, pur rispettandola il codice patriarcale la circoscrive ad uno spazio e ad un tempo e non la rende libera sul versante dell’affettività».
L’uomo escluso dal mistero della nascita e della morte segna la supremazia della madre? «Nella tradizione l’uomo non aveva rapporto né con la nascita né con la morte. Non entrava nella stanza del parto così come nella stanza del pianto rituale. Le donne piangono in sa ria, i maschi in una stanza vicina».
Cosa genera la violenza nell’uomo? «Per Pigliaru occorre regolare la violenza maschile con un codice altrimenti è la distruzione della comunità. Nelle donne il codice riguarda il controllo della sessualità per uno sviluppo sano della famiglia consacrata. La famiglia regolata sul versante degli affetti e della fedeltà è il più importante dispositivo perché la comunità sia ordinata».
Cos’è il processo di omogeneizzazione? «Dire voglio essere uguale ad un maschio è molto pericoloso, sotto l’apparente libertà personale la donna si arrende al trionfo del codice maschile. La differenza è fondamentale, uguali nei diritti e nei doveri ma non omogeneizzati e per di più al maschile».
E il capitale femminile della vita? «Sa cussederazione che si ha di una donna sarda è un capitale da non perdere. In una sorta di modernizzazione sfrenata viene meno il rispetto per la donna, questo è un forte rischio».
Che cosa s’intende per fantasma maschile? «È quella introiezione ancestrale che si ha di questo codice patriarcale fantasma. La donna lo ha interiorizzato nei secoli e per rivalutare la sua identità occorre costruisca un codice di progettualità liberante».
Che cosa mette in crisi il maschio? «La liberazione della donna mina l’autorità del maschio. La presenza di un altro uomo è un supplemento d’insopportabilità, rinforza il suo tracollo narcisistico che spesso sfocia nel femminicidio perché la sua donna ideale non è più fata ma strega. Dualismo pericoloso in quanto l’idealizzazione non è meno rischiosa dell’ostracismo perché la sua vera identità è femina, nè fata né strega».
Come prevenire? «Occorre che i maschi entrino in crisi con se stessi. Per rispettare le scelte femminili oggi devono sapersi leggere dentro per raggiungere un buon livello di autocoscienza altrimenti questi femminicidi non avranno fine. Non solo sociale e culturale, il problema è anche sanitario perché l’uomo che uccide e poi si uccide è un uomo malato. Molte donne non accettano che lo si definisca tale perché quasi lo si giustifica invece io dico che quell’uomo era malato altrimenti si sarebbe limitato alla vendetta continuando ad esistere. Il suicidio rivela una patologia e quell’uomo poteva essere recuperato».
Fantasma materno e mito della madre? «Il fantasma materno è una madre dominante che non ha mai rotto il cordone ombelicale simbolico. Queste madri sono responsabili di non aver dato autonomia al proprio figlio che da adulto cerca una donna che simbolicamente sia la madre. Quando questa donna lo lascia è anche la madre che lo lascia. È una crisi terribile. Tuttavia anche il padre è venuto meno a questo compito. Il mancato processo formativo come uomo parte dalla famiglia non solo per colpa della madre possessiva ma anche del padre non collaborativo che in quanto assente non pone un suo modello, la sua presenza si registra solo nell’ovile dove impronta la vita del figlio al suo codice. Entrambi i genitori devono impegnarsi in un processo cooperativo per favorire un’identità di liberazione dalla madre e di proiezione sul padre affinché il figlio diventi omine».
Perché questa crisi genealogica? «Per la coppia avere figli non è la finalità prevalente. In Sardegna ad ogni coppia corrisponde una percentuale di 0,9 figli. Ciò rivela una debole volontà di fare famiglia. Oltre la motivazione economica che ha il suo peso, intervengono altri fattori come il dover rinunciare a un più comodo tenore di vita e persino il timore di un disfacimento del proprio corpo».
per gentile concessione de https://www.ortobene.net/