di ANGELICA D’ERRICO
Trentadue anni, con un passato da calciatore, elettricista e professore, oggi è “Mister Z” e produce video da milioni di visualizzazioni per Amazon, Netflix, Sony e Fifa: “Un sogno che si realizza ma dietro c’è tanto lavoro”
“Professore, perché non si iscrive a TikTok?”.
Quando si è sentito rivolgere questa domanda Marco Zedda era un giovane insegnante precario, come ce ne sono migliaia in questo Paese. Lavorava per metà dell’anno e per l’altra metà aspettava una nuova chiamata e si dilettava con la sua grande passione: fare magie con una videocamera e un computer. Pensava che TikTok fosse una piattaforma per ragazzini, inadatta al caricamento dei video che amava fare nel tempo libero. Però, per qualche motivo, ha voluto dare retta ai suoi studenti. E da quel momento, la sua vita è cambiata completamente. Oggi l’ex professor Marco Zedda, trentadue anni, sposato da undici, padre sardo e madre finlandese di Helsinki, è Mister Z, tiktoker da 4,3 milioni di follower. Si fa presto a dire “influencer”, l’espressione non gli piace affatto. Non è una parolaccia, questo no, ma ha in sé un che di “semplice” che non gli appartiene. “Non voglio dare l’idea che sembri facile, perché non lo è, dietro il mio lavoro ci sono sacrificio e tanto impegno”, racconta .
Ecco, ma qual è diventato il suo lavoro? “Se devo essere sincero me lo chiedo tutti i giorni”. In soldoni, Mister Z oggi produce contenuti video pubblicitari di intrattenimento per grandi brand. I più grandi che si possono immaginare: Fifa, Sony, Amazon, Netflix, Facebook. Collabora anche con Khaby Lame, il re italiano dei social.
Per arrivarci però ha fatto il giro largo: perché “sarà il mio sangue di mia madre, visto che in Finlandia i ragazzi cominciano subito a darsi da fare, ma ho sempre voluto dare un contributo economico alla famiglia”. Smanettare dietro un computer non era possibile dato che viveva immerso nelle campagne del Sassarese dove non arrivava neanche la linea Internet: “Era un incubo”. Quindi, finite le lezioni alla scuola alberghiera, correva nel centro storico di Sassari, per aiutare mamma e papà a piazzare le bancarelle e guadagnarsi la giornata. Lavorava sempre, anche d’estate, e, nel poco tempo libero che gli restava, era calciatore della Torres. “Finché non c’è stato un tragico evento nella mia vita”.
Cos’è accaduto? “A 17 anni ero in scooter e sono stato travolto da un’auto. Questo mi ha costretto a smettere di giocare”.
Come si è ripreso? “Mi sono reinventato come elettricista per dieci anni finché non sono entrato nel mondo della scuola come insegnante precario a Bosa, sfruttando il mio diploma all’alberghiero. Lavoravo per cinque-sei mesi, poi restavo fermo per molto tempo. Sono stati proprio i miei studenti a farmi fare il grande salto”.
In che modo? “Da sempre amo fare video e fotografie. Caricavo i contenuti, del tutto amatoriali, su YouTube. I ragazzi, vedendoli, mi hanno suggerito di postarli su TikTok. Ero un po’ dubbioso perché pensavo fosse una piattaforma per giovanissimi. Ma ho seguito il loro consiglio. E ho fatto bene: i video, incredibilmente, diventavano virali, con milioni di visualizzazioni”.
Milioni di visualizzazioni? Che tipo di video caricava? “Ho esordito cimentandomi con la costruzione di case in miniatura. Per dieci anni ho lavorato nei cantieri, sapevo come si facevano. Così, a casa, mi divertivo a riprodurle, riprendendomi. Un giorno ho realizzato un video semplicissimo con un bicchiere e dello stucco rosso, modificandolo con il computer. Quel reel nel giro di due giorni ha totalizzato 65 milioni di visualizzazioni. Una cosa incredibile. E il lockdown sotto questo profilo mi è stato utile”.
Perché? “Ho avuto il tempo di studiare, di affinare le tecniche degli effetti speciali con i pochi strumenti che avevo. A quanto pare è bastato. Hanno iniziato a contattarmi brand e aziende per realizzare pubblicità, dietro pagamento. In quel momento ho capito che poteva diventare il mio lavoro”.
Come ha conosciuto Khaby Lame? “Tra i creator ci si confronta spesso e a volte si diventa amici. Khaby è una persona davvero eccezionale, capace e umile nonostante l’enorme popolarità che lo ha travolto. Grazie a lui ho conosciuto Alessandro Riggio, il suo manager. È stato Riggio a chiedermi di trasferirmi a Milano. E così ho fatto”.
In cosa consiste esattamente il suo lavoro? “Sono a capo di un gigantesco team di creativi, non solo italiani ma anche argentini, brasiliani, russi e cinesi. Giro sui set, poi procedo con l’editing. Sono un po’ regista, un po’ autore, mi occupo anche della luce e della fotografia. Non amo espormi ma sono anche ‘modello’”.
Ci mette spesso la faccia? “Devo farlo. I brand mi commissionano il contenuto, con il mio volto, e pagano oltre al lavoro anche i diritti di immagine. Possono chiedermi di pubblicare il video sui miei profili o solo sui loro canali”.
Si tratta di vere e proprie pubblicità? “Non nel senso classico, televisivo: oggi si punta molto ai social, i brand cercano persone capaci di intrattenere il consumatore sperando che poi si trasformi in un cliente. C’è dietro un grande lavoro e ben pagato, anche se non amo parlare di soldi”.
Perché? “Non mi va di lanciare un messaggio sbagliato. Ho fatto tanti sacrifici per studiare, per sperimentare e testare”.
Ci dia almeno un’unità di misura… “Posso portare come esempio il mio ultimo lavoro per Playstation: per una settimana di lavoro il compenso è stato di migliaia di dollari”.
Non è poco… “Per niente ma vorrei si capisse che non è uno scherzo”.
Come vede il suo futuro? “Tre mesi fa non avrei mai immaginato di lavorare con multinazionali a questi livelli. Il mio sogno si sta già realizzando: faccio il lavoro che amo, divertendomi. Se potessi spingermi ancora più in alto vorrei essere il regista di un film fantascientifico, sui paradossi temporali”.
Si è sposato giovanissimo, sua moglie lo ha seguito a Milano? “Certo, non me ne posso separare. È brava nell’adattarsi a qualsiasi situazione, oggi collabora con il mio team”.
Le manca la Sardegna? “Tanto: amo il mare, l’aria pulita, la serenità, la campagna. Qui a Milano è tutto più frenetico e distaccato. Però il mio lavoro è qui e chissà, in futuro, anche all’estero”.