di VITO BIOLCHINI
Quando nel 1996 Francesco Origo arrivò al Teatro dell’Arco di Cagliari fece esplodere dentro di noi un gigantesco mondo di amore per il teatro. Che poi non era solo teatro, ma un modo autentico di intendere la scena: assoluto, totale, senza costrizioni e condizionamenti. Capace di dare senso alle cose: a tutte le cose. Alla fine, quel teatro era la vita stessa che noi ventenni di allora volevamo vivere.
Perché Francesco Origo è stato maestro di teatro nella misura in cui è stato soprattutto maestro di vita: insegnandoci ad emozionarci per poi emozionare.
Ora mi rendo conto che sto parlando come se fossi stato un suo attore, io che attore non lo sono mai stato. Ma ho avuto la fortuna di assistere alle prove dei suoi spettacoli sardi e soprattutto i primi (“Le nozze dei piccolo borghesi”, “Io, Feuerbach”, “Voix de ville”, “Torna, caro ideal”) li ho visti nascere da zero. E da lui ho imparato molto e ho visto l’entusiasmo nei volti dei giovani che lo seguivano come si segue un maestro: incondizionatamente.
Non si risparmiava, Francesco: mai. Nelle sue prove c’era tutto: luci, ombre, saggezza, durezza, la risata generosa diventava in un attimo sarcastica e viceversa, in quelle ore tutta la gamma dei sentimenti e delle sue conoscenze della vita e del mondo fluivano in maniera torrenziale. Portare in scena uno spettacolo non è fare una cosa qualunque. Perché solo se il teatro ha la capacità di cambiare il mondo, ha un senso. Altrimenti, meglio lasciar perdere. Ma noi non volevamo lasciar perdere. Noi volevamo vivere.
Basterebbe questo per fare di Francesco Origo una figura di rilievo del teatro in Sardegna, ma c’è dell’altro. Quando i venti della sua vita lo spinsero dalla sua Genova in Sardegna, a Cagliari trovò un porto sicuro al Teatro dell’Arco di Mario Faticoni. La grande intuizione di Mario fu quella di capire che Francesco poteva essere un ottimo formatore e gli mise a disposizione un gruppo di giovani con i quali lavorare.
Scoprimmo così un teatro diverso da quello conosciuto fino ad allora: perché Origo ci metteva davanti ai nostri limiti (è povera di tradizioni teatrali contemporanee la Sardegna), ma grazie alla sua straordinaria cultura teatrale ci faceva sentire parte di un mondo più grande, con il quale finalmente potevamo confrontarci.
Origo poi portava a Cagliari il rigore delle scuole di teatro degli stabili. Era un metodo il suo molto impegnativo ma dai risultati stupefacenti. Come dimenticare le quindici lavatrici montate sul sei per sei dell’Arco? “Voix de ville” è stato uno spettacolo meraviglioso e memorabile, dopo il quale Francesco prese la sua strada fondando la Compagnia Càjka e regalando a tutti noi altri spettacoli bellissimi e la straordinaria avventura dei “Teatridimare”.
Altri sapranno raccontare meglio di me questa esperienza, ma una cosa mi sento di dirla: con una barca a vela carica di attori ci ha fatto scoprire quanto Cagliari fosse una città di mare e che dunque ha l’obbligo del viaggio e del confronto con chi sta lungo le altre sponde.
Francesco Origo ci ha lasciato pochi giorni dopo due altre figure importanti per il teatro cagliaritano, come Giampaolo Loddo e Luciano Marongiu. Sono giorni tristi.
Di Francesco Origo ora troverete tanti articoli che riassumeranno la sua straordinaria carriera, i suoi spettacoli, le sue regie. Tutto vero. Ma lo ringraziamo per averci preso per mano in un tratto della nostra vita, di essere stato il nostro comandante anche se non tutti abbiamo avuto il previlegio di trovarci in alto mare con lui.
E lo ringraziamo soprattutto per averci lasciato una lezione di amore: per il teatro, per la libertà. In una parola, per la vita.
Ciao Francesco, il gabbiano vola ancora.