di GIANNI BAZZONI
. È come sopravvivere a un terremoto. Le ferite, il dolore profondo, il buio e il silenzio. Per un po’ cammini sulle macerie, poi devi fare un lungo respiro e decidere di andare avanti, prima da sola con tutte le forze che è stato possibile mettere insieme e poi lentamente aggiungendo persone e cose, una per volta. Con calma, senza fare confusione. E se non riesci a vedere con gli occhi, allora la cosa più importante che ti tiene collegata alla vita è il cuore. Ecco, vedere attraverso il cuore. E cercare di alleviare la fatica, giorno dopo giorno, con un passo in più, senza fermarsi. È la storia di Melania Delogu, 43 anni di Porto Torres, da circa dodici ha perso completamente la vista. È mamma di una ragazza di 13 anni e a lei ha dedicato il suo primo libro: si intitola “I colori del mio buio”, un racconto autobiografico diretto, semplice e commovente.
Un carico di umanità e di coraggio, ma anche di speranza e di forza distribuito su ottanta pagine da leggere tutte d’un fiato. E a sua figlia che l’ultima volta ha visto con gli occhi quando aveva appena un anno (e oggi è una adolescente), Melania scrive una lunga lettera che accarezza l’anima, guardandola con il cuore di una mamma che ha dovuto ricominciare da zero. Prima ha perso tutto e poi ha ricostruito la quotidianità, pezzo dopo pezzo. Una sfida che ha avuto necessità di un lungo percorso di accettazione e poi di una rinascita per conoscere il mondo tutto da capo. Così si spiega come è possibile passare dai colori di una esistenza quasi perfetta e felice allo scontro durissimo con la realtà, con un destino che in due mosse ha spento le luci e ha proiettato Melania in un mondo sconosciuto con il quale oggi deve fare i conti.C’è voluto tanto, ma alla fine “i colori del buio” hanno aiutato la giovane mamma a ridisegnare la propria vita. Perchè è da quello che si ricomincia.
“A mia figlia. Che tu riesca sempre a vedere oltre, guardare l’essenza di ogni cosa che sia questa a guidare il tuo cammino”: così ha scritto Melania nella controcopertina del suo libro (che verrà presentato con un doppio appuntamento alla Libreria Koinè di Porto Torres nelle giornate dell’8 e del 15 gennaio alle 18: è necessaria la conferma e la prenotazione). È il messaggio a sua figlia Alessia, la sua “bambina”, per educarla alla conoscenza di un mondo il cui valore è ben oltre ciò che si vede.«Tutto inizia nel 2005 – racconta Melania – quando ho fatto una visita dal medico del lavoro. Controlli di routine, ma c’è qualcosa che non va. Una preoccupazione che segue alcune avvisaglie precedenti, piccoli disturbi visivi. Mi chiedono di fare degli accertamenti. Da Sassari a Verona. Meningiomatosi: una sentenza di condanna che fa paura, un tumore benigno ai nervi ottici con un alto tasso di recidiva».
Una sfida durissima che porta progressivamente Melania attraverso delicati interventi chirurgici e la fa passare dalla luce al buio. «Vedi qualcosa? mi dissero al risveglio i medici dopo l’operazione. E io odiai la risposta – scrive nel libro – No, non vedo niente…».Così in un attimo cambia la vita, la tua e quella degli altri. Delle persone che ti stanno accanto. La figlia di Melania è una bambina, un fagottino che si muove per casa, ha ancora il pannolino. In quel momento c’è una donna appena trentenne che accetta di combattere la battaglia più dura della sua vita, perchè la cecità totale è una disabilità che non fa sconti su niente, forse solo meno conosciuta di altre, un mondo dove ogni cosa assume un significato e – a seconda di come la collochi o la tocchi – ti aiuta a non fermarti.«Da quel buio improvviso e crudele ho cominciato a uscire fuori con una considerazione di fondo: io esisto ancora, ci sono e devo cercare di ridurre una disabilità così devastante. Lottare per conservare la mia autonomia, la mia privacy, resistere e cercare di andare avanti anche da sola. Innanzitutto accettandomi. Ho cercato di tenere fuori la mia famiglia, con l’intento di proteggerli, così ho pensato».Prima gli spazi: camminare e contare i passi dalla cucina al bagno, dal corridoio alla stanza da letto. Poi la memoria, toccare gli oggetti e ricordare dove si trovano per capire dove sei in quel momento nell’angolo della tua casa.
Melania è andata avanti senza rinunciare mai a essere una mamma presente: «Sceglievo i vestiti insieme ad Alessia, mi facevo raccontare da lei come erano, i colori, come stavano. A scuola mi sedevo nei posti in modo che i vedesse, non mancavo mai alle recite e ai saggi. Da chi mi stava accanto mi facevo descrivere i momenti, cercavo di farmi avvisare quando mia figlia mi salutava con un cenno della mano e rispondevo». Autonomia vuol dire essere se stessi, in ogni momento. E non dipendere dagli altri, non dover chiedere prendimi questo, portami quello.
«Ho organizzato la casa in modo da sapere esattamente dove si trovano le cose, i prodotti: nella dispensa, con un ordine preciso. E poi in bagno: per esempio la bottiglia del balsamo con il tappo rovesciato per distinguerla dallo shampoo e evitare di dovermi lavare la testa per la seconda volta in pochi minuti». Una sfida continua per non perdere l’autonomia, per dimostrare che si può fare anche se sembra impossibile. Così da dodici anni, passando per la preparazione del biberon alla sua bambina: «Poggiavo il dito sul bordo per sentire quando era pieno e evitare di fare cadere il latte». E i pannolini: «Li prendevo e cercavo l’estremità e gli adesivi, li aprivo e tac, il pannolino era messo!».
Il passare degli anni, le cadute e le ripartenze. E un grande sogno, una idea fissa, ormai una necessità: scrivere un libro. Una idea che avevo dai tempi del liceo. Certo non potevo immaginare che il libro sarebbe stato questo. «Non per me, o non solo per me ma per tutti. Specie per coloro che sono in difficoltà e che vivono la mia stessa disabilità. Io l’ho rifiutata all’inizio, ho provata a respingerla a cacciarla via. Poi mi sono dovuta ricostruire e ho fatto un percorso che non poteva essere semplice e neppure breve. Oggi mi sto approcciando con decisione, specie per quanto concerne autonomia e mobilità. Cerco di fare cose normali: esco con le amiche, vado al bar, viaggio. E provo a immaginare la vita come un dipinto: c’è sempre bisogno di un tocco di colore in più e di un particolare da aggiungere. Avanti a piccoli passi, uno per volta. Senza il pensiero di cosa sarà domani».