di EUGENIA TOGNOTTI
Questo agile libro di Antonello Ganau “La minaccia demografica, tra denatalità e invecchiamento. Cause, effetti, e impatto sull’Europa, l’Italia e la Sardegna” (Edes) sembra dare corpo con analisi, dati, cifre e grafici, alla suggestiva immagine evocata dall’espressione “inverno demografico”, usata da papa Francesco durante un Angelus e su cui si è concentrata l’attenzione dei media.
La gigantesca questione demografica, collegata alla denatalità e all’invecchiamento, meriterebbe un poderoso impegno di elaborazione e di studio e politiche correttive di prima grandezza per cercare, seppure con ritardo, di invertire le tendenze in atto. Lo studio di Ganau, già professore di cardiologia all’Università di Sassari e ora impegnato sul fronte dell’Ageing studies, si apre con i diversi passaggi (e tempi nei vari Paesi) della cosiddetta “transizione demografica” e i relativi cambiamenti demografici, caratterizzati dai mutamenti dei tassi di natalità e di mortalità. Mutamenti che hanno portato allo scenario che ha cominciato a delinearsi a partire dagli anni Settanta: la fertilità allo stadio di sostituzione, o addirittura al di sotto, nella maggior parte dei paesi sviluppati. Non solo in Europa la popolazione ha smesso di crescere, ma tende a diminuire, come conseguenza della diffusa denatalità.
«Il combinato disposto di denatalità e invecchiamento sta determinando – osserva Ganau – un cambiamento demografico epocale» . In Italia – dove la natalità si è mantenuta a livelli più elevati fino agli anni Ottanta – il tasso di fecondità (1,29) è ora al di sotto del livello di sostituzione (2,1) e la popolazione non solo non cresce più, ma tende anzi a diminuire. Il Paese sta affrontando una gravissima crisi demografica su cui ha attirato l’attenzione anche Mattarella nel suo discorso di fine anno.
Il 2020 ha visto il record negativo storico di nascite. Il numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana è stato di appena 1,17: lontanissimo dal tasso di sostituzione di 2,1 e uno dei più bassi al mondo. E il 2021 non andrà meglio. Secondo dati provvisori, relativi al periodo gennaio-settembre, la diminuzione delle nascite è attestata su 12500, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2020. In questo scenario spicca quello che Ganau indica come «il suicidio demografico della Sardegna» , un caso che spicca nel contesto nazionale – secondo una lunga tradizione storica – e a cui è dedicato un intero capitolo del libro. L’andamento dei grafici si impone visivamente prima ancora della lettura delle analisi e dei numeri e giustifica la crudezza del termine suicidio. Dal 2002 al 2019 il numero dei morti supera quello delle nascite, con un divario più accentuato del 2010. In totale, in quest’arco di tempo, il movimento naturale della popolazione in Sardegna ha registrato una perdita di ben 53 mila unità. La conseguenza è la contrazione del numero degli abitanti: il numero di abitanti è sceso da 1.639.362 del 2011 a 1.611.621 nel 2020. Pochi confronti, tutti sfavorevoli rispetto alla realtà nazionale, testimoniano la drammatica condizione dell’isola: nel 2021 in Italia per ogni 100 giovani si contano 184,1 anziani, in Sardegna addirittura 232,1. Lo scenario che si prospetta nei prossimi 40 anni – sulla base di un’elaborazione delle stime sviluppate da Eurostat – è impressionante: in assenza di politiche in grado di intervenire sui trend di natalità e invecchiamento, gli over 90 saranno novantamila. Di contro i componenti della fascia d’età 20-34 anni scenderanno dai 300mila attuali a meno di 190mila. «Una situazione – scrive Ganau – di estrema criticità dal punto di vista economico e sociale, caratterizzata da costi esorbitanti per il sistema socio-sanitario e pensionistico, difficili da sostenere».
Il fenomeno nuovo della cessazione della crescita o del calo della popolazione e del rapido invecchiamento sta investendo l’intero continente europeo: sgomentano gli scarsi investimenti in progetti, idee e risorse per far fronte all’enorme questione della sostenibilità del sistema di Walfare in un contesto di calo della popolazione in età lavorativa e dell’aumento di quella anziana, con tutto ciò che implica per qualsiasi economia occidentale. Insomma è a rischio la tenuta della società nel suo insieme. Poche nascite porteranno all’insufficienza di forza lavoro giovane nei prossimi anni, proprio alle porte di una stagione che richiederà profonda capacità di adattamento alle nuove sfide della tecnologia e della contemporaneità.
Il saggio di Ganau – supportato dai risultati degli ultimi studi, statistiche aggiornate, grafici e tabelle – si chiude con una rassegna di questioni aperte ( l’evoluzione della fertilità, i limiti biologici della vita umana) e con la sollecitazione a potenziare le ricerche sui meccanismi biologici dell’invecchiamento e sulle terapie geroprotettive, aggiornando, insieme, le politiche sanitarie e pensionistiche. Particolarmente interessante la denuncia dell’approccio distorto alla condizione anziana così frequente nel nostro tempo. All’enfatizzazione degli elementi negativi (inabilità al lavoro, co-patologie, limitazioni funzionali, costi sanitari e sociali) corrisponde la sottovalutazione dei benefici per gli individui e le comunità. E’ un fatto che oggi gli anziani, rispetto al passato, godono di una salute migliore: gran parte degli ultrasettantenni non perdono la capacità di lavorare. All’appannamento di alcune funzioni cognitive, corrisponde l’affinamento di altre funzioni: competenza ed esperienza sono al massimo in età avanzata. E diversi studi dimostrano che le persone in età soffrono meno di stress, ansia e preoccupazioni e sono più felici e soddisfatte della vita rispetto agli adulti più giovani. Valori come l’accettazione, l’adattabilità e la resilienza sono comuni nella fascia di età più avanzata. Tanto che alcuni economisti considerano come una risorsa la crescita della popolazione anziana, segnalandone il potenziale di ricchezza e di contributo sociale, attualmente sottostimata e capace, invece, di fornire un «nuovo dividendo demografico».