di LUCIA BECCHERE
“Ho preso la coincidenza per Satta” dirà Laura Boschian (1913-2001), assistente di Filologia slava, al suo primo incontro con il futuro giurista nuorese all’università di Padova.
Di recente pubblicazione La mia vita con Salvatore Satta di Laura Boschian Satta edizioni Ilisso, libro di memorie di pregevole valore culturale, storico e politico consta di due parti dove il matrimonio fa da spartiacque fra il prima e il dopo.
Nel prima la storia della sua famiglia d’origine, le vacanze spensierate, i primi innamoramenti e le prime delusioni. Trieste e la vita sociale, i fascisti, le leggi razziali, le rappresaglie dei tedeschi, gli alleati e le vicissitudini della guerra, lo sdegno per le foibe e la condanna della ferocia dei partigiani jugoslavi. Praga e lo studio delle lingue slave le offrirà la possibilità di misurarsi con realtà diverse e l’opportunità di altre scelte.
La seconda parte racconta la sua vita con Salvatore Satta (1902-1975) dal ‘39 fino al trasferimento a Roma nel ‘60. Laura riflette su se stessa e sulla sua vecchiaia, sul valore di quel microcosmo che è la famiglia, la comunità, il paese dove si consumano affetti, lutti ed egoismi. Il suo sguardo verso la vita che l’abbandona è diverso, profondo, a tratti drammatico. Il suo pensiero esprime un’accettazione misurata della morte come naturale conclusione della vita, si allarga dal contingente all’assoluto, dal particolare all’universale per riflettere sulle sofferenze patite dall’umanità a causa delle atrocità delle guerre.
Gli incontri con uomini sbagliati che avevano soffocato le sue aspirazioni le hanno consentito di misurare l’unicità dell’uomo della sua vita. Riservato lui e socievole lei, entrambi integrati nella loro diversità. Per lei Satta era lo scibile, la fonte da cui attingere. L’ ingegno sfolgorante, l’ansia cosmica, il mistero del processo chenel capolavoro Il giorno del giudizio custodivano la sua visione del mondo, illuminavano quanto già era in lei. Fra loro unità d’intenti e affinità di pensiero. Laura Boschian Satta è stata pubblicista, biografa, editorialista. Numerosi i suoi scritti scientifici, traduzioni, monografie e volumi.
Per stare accanto a lui rinuncerà alla sua promettente carriera universitaria per riprenderla molto tempo dopo come professore associato di Lingua e Letteratura russa a Perugia. Lo studio l’aiuterà a lenire il dolore per la perdita del suo uomo.
La scomparsa del fratello Antonino, quella del suo migliore allievo De Marini – un pensiero spezzato – e la scomparsa di Capograssi a Roma nel ‘56 avevano lasciato nei due Satta un grande vuoto, orfani di tanta ricchezza umana. Professore di filosofia di diritto, Capograssi “era stato un punto di riferimento luminoso per quanti avevano avuto la fortuna di conoscerlo – afferma Laura – Fervido credente, era riuscito a mettere in pratica il compito più difficile: l’amore per il prossimo. Cultura immensa, dominato da grandi figure religiose: Sant’Agostino, Dante, Pascal, Manzoni, attorno a cui ruotava il divenire del pensiero nei secoli”.
Scrivo con l’impegno di dare a lui la sua parte e riservarmi la mia, si legge nella seconda parte del libro dove l’autrice si affida alla morte in nome di Dio con la consapevolezza della grazia immeritata di cui ha goduto. Ma soprattutto lo fa per i figli perché quel comune vissuto nella ricchezza di una famiglia unita e serena serva a tenerli vicini anche nei momenti difficili della vita.
Pagine evocative e di grande spessore morale e religioso. Ricorda Dio invocato nei momenti del bisogno e poi messo da parte senza gratitudine come se la felicità fosse un diritto. Dubbi e sofferenze avvolgono l’inquietudine di una madre che si chiede come si allevano i figli. “Non saprei dirlo – confessa – Credo non si possano formulare delle regole. Fra ogni madre e ogni figlio, come tra marito e moglie non basta anteporre l’altro a noi stessi. Ci vuole qualcosa di più che forse è in mano al caso o, con più ottimismo, alla Provvidenza”.