di SERGIO PORTAS
Si fa presto a dire: raccontiamo la Sardegna, e quante pagine di libri ci vorrebbero, quante enciclopedie. Non ultima quella curata da Manlio Brigaglia, tre ponderosi volumi ristampati in edizione rinnovata e in cofanetto nel 1994 da Edizioni Della Torre. Nell’impossibilità oggettiva del compito mi è capitato spesso, nel corso della mia cosiddetta “carriera giornalistica”, di incrociare con gli assessori della Regione Sardegna che si occupano di turismo e si accingono a scalare una tale erta montagna (tentare di raccontare…), tutti convinti di avere per le mani “un prodotto vincente”, che parla da sé, di cui ci si innamora a prima vista. E il bello è che hanno pure ragione. Il grande convitato di pietra, sempre deplorato e mai, ahimè, risolto, e neppure in via di risoluzione a breve, è l’eterno nodo gordiano del trasporto, marittimo o aereo che sia. Si è appena dipanata l’ennesima sceneggiatura che ha visto come protagonisti la fine più che annunciata della “nostra compagnia di bandiera”, con i soldi (svariati miliardi di euro, c’è chi dice sette, chi otto) che lo Stato ha speso per tenerla in vita in questo ultimo ventennio, quante utili cose si sarebbero potute realizzare con quelle cifre. E ancora c’è chi contesta l’Unione Europea quando accusa il nostro paese di usare con troppo disinvoltura questi”aiuti di stato” per tentare di tenere in vita, con terapie intensive foderate di euro, il cadavere di un’azienda oramai defunta da anni. Ebbene sembra che la regione Sardegna, come Paolo sulla via di Damasco, sia rimasta fulminata e abbia dovuto prendere atto dall’oggi al domani di rimanere scoperta sul versante della continuità territoriale. Sul filo di lana del 15 ottobre la compagnia spagnola Volotea si è aggiudicata la procedura negoziale con la quale la Regione ha assegnato le rotte aeree che dovrebbero provvedere alla bisogna. Difficile però non commentare quanto tutta questa vicenda paradossale non si riverberi in chi di turismo si occupa professionalmente, le agenzie di mezzo mondo che smuovono pacchetti e prenotazioni con mesi di anticipo sulla stagione turistica più praticata, quella estiva naturalmente. Vito Biolchini ( 8 ottobre su “Tottus in Pari”) non le manda a dire, come suo solito del resto: “…io ritengo che questo disastro sia in realtà il frutto più maturo, praticamente marcio, della cultura autonomistica cui le nostre forze politiche fanno riferimento ormai fuori tempo massimo. L’Autonomia è morta e il caso Alitalia/Ita lo dimostra per l’ennesima volta…Così è sempre stata interpretata l’Autonomia dalle nostre classi dirigenti: fingendo di portare avanti gli interessi dell’isola, in realtà giocandosi in proprio le poche “fiches” allungate sottobanco dallo stato italiano, “fiches” da spendere per aver in cambio posti di sottogoverno o qualche seggio a Roma”. Piove sul bagnato per quanto concerne anche il trasporto marittimo, con Tirrenia che cancella i collegamenti in convenzione e sopprime le tratte Genova-Olbia-Arbatax, la Napoli-Cagliari, la Cagliari-Palermo, la Civitavecchia-Arbatax-Cagliari. E occorre dire che Tirrenia, come cadavere aziendale tenuto in vita dai soldi di Stato, può ben fare il pari con Alitalia, pressoché da sempre. Del prezzo da pagare per una famiglia che vuol portare il figlio in Sardegna, tirandosi dietro una vettura di cilindrata non eccelsa, è meglio tacere. Pensionati e categorie similari si devono accontentare di sognarselo, un tale privilegio. E allora è con qualche ragione che l’assessore al turismo attuale, Gianni Chessa, ha scelto di rivolgersi ad un “traget” (bersaglio) benestante, quello che può permettersi di alloggiare in alberghi con più stelle di quelle ne contenga l’intera via Lattea. Qui a Milano è stato scelto lo Sheraton Diana Majestic, ai bastioni di Porta Venezia, un “quattro stelle” con giardino privato e palestra (non sia mai che la nostra forma fisica venga inficiata da sonni in letti obiettivamente troppo comodi). Il CIPNES (Cons. Ind. Nord Est Sard.) insieme alla Regione hanno messo in piedi un programma pubblicitario ( loro dicono di “marketing”) denominato “Insula” dedicato alla promozione della destinazione Sardegna e al “contestuale sviluppo e internazionalizzazione delle filiere produttive di qualità della nostra terra”. Si chiama “Sardinia Quality World”, più prosaicamente: “Alla scoperta di un mondo chiamato Sardegna”. Si entra con “green-pass” ( io con qualche problema che il mio è “cartaceo” e non si fa fotografare con la facilità dei telefonini) in una atmosfera in cui la fanno da padroni tutta una serie di prodotti esposti sopra scansie griffate, cartelli che dicono di birre artigianali, vini, dolci, opere d’arte e di artigianato, in alto scorre un video con immagini di Sardegna così immediatamente riconoscibili che ti viene una sorta di estraniamento tanto sono spettacolose e spettacolari, bastano loro per prefigurare che stiamo discettando di un mondo altro, assolutamente unico, incistato nel centro del mare di gran lungo più ricco di storia al mondo, eppure così diverso dalla storia degli altri popoli che vi si affacciano. Ecco, lo dicono i rappresentanti del CIPNES, lo dice l’assessore Chessa, lo dice Leonardo Marras della Fondazione Maria Carta, occorre portare la Sardegna oltre il mare. Alla platea di giornalisti, addetti al settore turistico, interessati al commercio di cibi e bevande, on -line e non, artisti, tutti inseriti nella misteriosa categoria degli “stakeholders” (leggi: parti interessate) viene ampiamente spiegato quanto le biodiversità eno-gastronomiche, i polifenoli del cannonau, tutta la cultura del vino ultramillenaria, contribuisca a far sì che il numero di persone che arrivano all’età di cento anni sia, in Sardegna, tra le più elevate del mondo. E questa ipotizzata “dieta dei centenari” viene proposta, settimanalmente, anche nelle camere dello Sheraton e degli altri 50 hotel facenti parte del progetto “Insula”, all’ora dell’aperitivo magari un “mojto sardo” (quello classico alla “Bodeguita del Medio” dell’Avana di Cuba, in cui Hemingway con 10 dollari si beveva lo stipendio medio di un professore universitario), il “mojrto” consta di: mirto bianco (distilleria Lucrezio R. di Berchidda) lime, zucchero, menta, soda. In secondo ordine un “Quattro Mori”, negroni sardo realizzato con: Bitter “Bauxite” ( sempre della Lucrezio) e poi, dalle distillerie Silvio Carta di Oristano, il gin “Boigin” e il vermouth rosso.
Leonardo Marras mentre va parlando dei 377 comuni sardi, ognuno col suo costume tradizionale , a rappresentarli tutti Federica Olia con quello di Oristano e Francesca Fancellu con quello altrettanto sontuoso di Ittiri, viene quasi interrotto dal magico suono delle launeddas di Andrea Pisu, il virtuoso di Villaputzu che porta il suono dei nuraghi in giro per il mondo, accompagnato direi come sempre dall’organetto di Vanni Masala, di una stirpe di suonatori da Oristano, i “Fantafolk” rompono l’atmosfera un po’ declamatoria di eccellenze presunte, fatte di parole per quanto mielose, con brani di una musica che fa venire i brividi, scuote e meraviglia, per la sua alterità e insularità. Prima brani tradizionali, ballu tundu e torrau, poi anche un “brano moderno” tipo, se ancora non lo avete visto su You Tube, il loro “ The Sound of Silence” ( Simon & Garfunkel del 1964) girato nell’isola di Malu Entu, Maldiventre, in faccia al Sinis, rocce rosate da un pennello intinto nell’aurora, non una pianta che rompa lo scenario dell’orizzonte, un sole capace di bruciarti nel giro di una giornata. I due fanno da ambasciatori per la fondazione Maria Carta, ambasciatori di rango per la Sardegna tutta. Con Federica e Francesca sullo sfondo, loro immobili con i costumi ricchi di rossi e i di oro, a offrire panieri ricolmi d’ogni dolciume, viene tirata una linea che segna un confine culturale netto, con un muro largo quanto il mare Tirreno, in letteratura antica: il Mare Sardoum, il mare dei sardi. Per tutti gli artigiani sardi è presente Roberto Ziranu, con lui alcune delle sue sculture, ha iniziato, mi dice, fin da i sui dieci anni nella bottega del babbo, ad Orani, dove è nato ultimo di tre fratelli, ora continua il suo lavoro in una sua bottega a Nuoro. Ha scelto il ferro a materia d’elezione, senza alcun ossido, gli fa assumere gradazioni di colore particolari, lui dice di poterla scegliere la tonalità che matura nelle sua testa, solamente con la temperatura del forno in cui prendono corpo i suoi lavori, la sue vele, le sue magnifiche farfalle, in gioco attimi di secondo. Qui anche un corpetto di ferro in tinta brunita impreziosito da lacci rossi (premiato alla Biennale di Roma nel 2019), un gambale sardo in ferro lucido con stringhe di cuoio. Si deve respirare un’aria tutta particolare a Orani, che Salvatore Niffoi non si stanca di mettere sulla pagina, ultimo: “Il sogno dello scorpione” Il Maestrale ed., il Comune e l’architetto Stefano Boeri ( e lo studio cagliaritano “Quarchitettura”) fanno muovere i primi decisivi passi al progetto “Orani Pergola Village” , da un’idea elaborata da Costantino Nivola nel lontano 1953, un’opera d’arte ambientale intesa a rafforzare il senso di comunità dei cittadini unendo l’una all’altra per mezzo di pergolati le case del paese, facciata bianca e zoccolo azzurro per le case, la piazza “quale grande stanza recintata della città, ornata solo di sculture”. Scommettiamo che attirerà una folla di turisti? Folle di turisti, più di ottantamila, che sono sfilati, in tempi di Covid, al “Neues Museum” (Museo nuovo) di protostoria di Berlino per vedere la mostra titolata: “Sardegna isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo”. Il museo voluto da Federico Guglielmo IV di Prussia ha, come richiamo di sirena a cui non si può che cedere, il busto più famoso e bello dell’arte egizia, quello della regina Nefertiti, la moglie del faraone Akhenaton. La regione Sardegna gli ha mandato quasi 200 reperti provenienti perlopiù dal museo archeologico di Cagliari (108). A far loro da apripista uno dei “Giganti di Mont’e Prana”, 190 centimetri per trecento chilogrammi di peso in arenaria, uno dei pugilatori. Una delle statue che stanno facendo riscrivere la storia della scultura statuaria sarda agli archeologhi di mezzo mondo. Scrive Chiara Reale su “Exibart” (sulla rete): “ La particolarità della mostra è indissolubilmente legata alla singolarità della storia dell’isola di Sardegna. Troppo lontana dall’Italia (ma in realtà troppo lontana da tutto) la sua cultura si è plasmata secondo dinamiche spesso differenti da quelle dominanti nel resto d’Europa…Ma ciò che più affascina…è qualcosa che non può essere trasportato nelle sale di un museo. I paesaggi in cui sorgono i reperti che testimoniano il passaggio delle civiltà nuragiche sono essi stessi reperto, elementi imprescindibili per una comprensione reale”. Venghino dunque, signore e signori, a vederle da noi, in Sardegna, queste dee madri, queste “domus de janas”, queste “tombe dei giganti”, questi pozzi d’acqua sacra, queste cinquemila ( e forse più) torri di pietra, questi nuraghi. Venghino a vedere la terra dei centenari, la terra dei vecchi rimasti, che i suoi giovani la stanno lasciando inesorabilmente. Venghino a ripopolarla loro per l’amor di dio, che qui si svendono vecchie case da ristrutturare per la modica cifra di un euro. Venghino ad aiutarci nel risolvere questa contraddizione: da questo Paradiso in terra ogni giovane angelo non vede l’ora di scapparsene.
Che finezza, bellissime le ragazze e i costumi meravigliosi.