di LUCIA BECCHERE
Visitando i paesi della Baronia si possono ammirare i murales di Patrizia Floris, artista nuorese di nascita ma posadina di adozione. A Nuoro ha conseguito la maturità artistica, sezione oreficeria, e oggi è un’artista poliedrica che si esprime in tante forme in quanto spazia dalle tele alla ceramica, dai murales al legno e tanto altro. Vanta al suo attivo numerose mostre in diverse località della Sardegna: a Nuoro al Tettamanzi e all’Exmè, alla Maddalena, a Mamoiada e a Posada.
Com’è nata la sua passione per l’arte? «Fin da piccola maneggiavo i pennelli, succede poi che certe passioni vengono trascurate perché devi occuparti di cose più importanti, per poi riprenderle».
Quali i soggetti dei suoi lavori giovanili? «Più che altro si trattava di temi richiesti dai miei genitori, qualche Madonna e qualche Cristo. I miei soggetti preferiti erano le marine, le amavo tutte, non solo Posada che ho visto per la prima volta nel 1984».
Perché le marine? «Già da bambina amavo tantissimo l’acqua perché evocava in me l’idea di trasparenza, di movimento e di densità dei colori. L’acqua è stata sempre presente nelle mie prime opere, poteva essere una fontana, un fiume o uno scorcio di mare. Da adulta ne ho colto tutto il significato: l’acqua sotto forma di liquido amniotico è sorgente di vita ma anche componente primordiale che rigenera e purifica. Inoltre è l’acqua che rende fertile e feconda la terra e la preserva per noi uomini. Trovavo tutto questo molto affascinante».
Com’è approdata ai murales? «Tutto è avvenuto per caso nel 2010. Non avevo mai sperimentato questa forma artistica perché a scuola nessuno ha mai trattato questo argomento. È stata un’amica di Posada a chiedermi di realizzare un disegno sulla parete della sua casa e in quell’occasione ho conosciuto Cristina Dalu, presidente di una associazione culturale di Torpè, che mi ha invitato a prendere parte ad una manifestazione di murales. Con entusiasmo mi sono approcciata al muralismo senza sapere di niente. Confesso che nel trovarmi per la prima volta di fronte una parete sono stata assalita dal panico. Con umiltà ho appreso della tecnica e mi sono cimentata in quel genere di lavoro con molta passione».
Ha parlato di tecnica. Ci vuole spiegare di cosa si tratta? «Le tecniche dei murales sono diverse e ognuno crea e sviluppa la propria. C’è tutto un procedimento da fare, occorre preparare la parete, coprirla con un aggrappante e programmare in base allo spazio di cui si dispone. Gli approcci sono diversi e personalizzati, può essere d’impeto nel procedere subito a fare il disegno sulla parete. Personalmente ho un approccio più studiato se così si può definire: in genere preparo la bozza su carta e creando la giusta proporzione la riporto sul muro e la ingrandisco tante volte fino ad adattarla. Oggi con le nuove tecniche si possono inserire al computer diversi soggetti in un’unica immagine e dopo averla sviluppata per intero viene proposta al committente».
Quali i soggetti più richiesti? «Dipende, se il committente è un privato, in genere i soggetti sono familiari scomparsi; se invece trattasi di enti pubblici il soggetto è a tema: attività, mestieri di una volta, persone che vanno ricordate, ma anche temi a sfondo politico, sociale e religioso. Tuttavia spetta all’artista interpretare il pensiero del committente e se necessario intervenire per guidare gli indecisi. Sempre nel rispetto delle aspettative del cliente e in una sorta di armoniosa collaborazione, è lui che assoggetta spazi e temi senza mai snaturare la sua arte».
Dove ha realizzato l’ultimo murale? «A Torpè. Ho dipinto una donna in compagnia di una bambina, tratta da una foto scattata per il marito che nel 1915 doveva partire in guerra. Un omaggio fatto dai parenti alla figlia di quella bambina che dopo tanto tempo rientrava in paese da Roma».
Ha mai pensato di varcare il Tirreno? «Ho 51 anni e una figlia di 25, spostarmi dal mio ambiente mi porta un po’ di ansia. Però nella vita non si sa mai».