L’ARTE POETICA FATTA A VOCE: SALVATORE BUDRONI, POETA ESTEMPORANEO DI BONNANARO

di MATTEO PORRU

È il ventitré aprile del 1926 e a Bonnanaro c’è la festa di San Giorgio. Sul palco del paese salgono tre uomini ma a noi ne interessano due. Funziona così: si esibiranno con dei versi improvvisati a tema. Vale tutto, sia essere riflessivi che dissacranti. Il più apprezzato vince. Funziona così da trent’anni, da quando il poeta Antonio Cubeddu inaugurò la prima stagione delle gare poetiche, che per la prima volta uscivano dal piccolo mondo dei sos tzilleris e conquistavano un pubblico nuovo, popolare, ben più grande dei pochi eletti dei circoli letterari di fine Ottocento.

Dei due che ci interessano, uno è una leggenda, uno lo diventerà. Chi lo è già è Antoni Andria Cucca, uno dei più grandi poeti estemporanei sardi, uno che quando arrivava per una disputa faceva più paura che ombra agli avversari. L’altro, all’anagrafe, si chiama Salvatore Budroni, ma davanti al pubblico sardo è Barore ‘Udrone. E così lo annunciano. È teso ma non lo dà a vedere, ha ventuno anni e pochi versi in testa. Cerca uno sguardo amico ma fra la folla ne ha pochi. Prima di iniziare, china la testa e pensa a chi non c’è, fra quella gente, davanti a lui. Pensa a sua madre. E recita per lei. 

La pensa perché non la ricorda, perché non sa che voce avesse, perchè è andata via da tanto tempo, perchè l’hanno cresciuto i nonni in campagna e ad allattarlo, nei primi mesi, è stata zia Barbara, che lui chiama “mama’ e titta”. La pensa perchè suo padre è emigrato in America e in Italia non tornerà più. Pensa alla terza elementare conquistata con fatica e al sudore macinato nei lavori di campagna. E pensa alla poesia che è arrivata piano, dalla natura, dal silenzio del verde e dalla pace del mondo. Ricorda le dispute di prova, le poesie narrate ai pastori e ai contadini, i versi liberi che gli vengono in mente di fila, senza sosta. E inizia. Il pubblico rimane in silenzio, non fiata nessuno. Quando finisce, applaudono tutti. Ma non vince. Non può, con Cucca contro, e in confronto a lui è ancora grezzo. Ma ha fatto abbastanza bene da rimanere impresso. E per un poeta di versos a bolu, questo è il più grande trofeo.

La gloria comincia e dura, ma dura poco. Perchè per cinque anni, dal 1932 al 1937, il regime vieta le esibizioni dei poeti estemporanei. Quando si riprende lo si fa a tentoni, perchè la guerra fa paura e servono sette anni per riprendere a pieno ritmo, abbastanza tempo per affinare la tecnica vera e propria e l’improvvisazione in ottave insieme a Francesco Demartis e ad Andrea Ninniri. E nel 1944 e Salvatore mette il turbo. Sfida e rispetta tutti gli avversari, vince e perde, ma li affronta tutti. Gli scontri più grandi, che rimangono nella memoria collettiva, sono quelli contro Giovanni Seu, Antonio Piredda e con il maestro assoluto Antonio Cubeddu. 

La sua poesia è piena di vita e di forza, unita alla straordinaria tecnica oratoria che ha calibrato in anni di carriera. È melodia intensa e malinconia struggente.

Le generazioni di poeti avanzano e Budroni, più che un modello, diventa un mito. È il poeta estemporaneo più acclamato nelle aree logudorese, ogliastrina e campidanese, in pratica tutti i principali nuclei poetici dell’Isola. E li contamina. La più grande opera linguistica del Budroni è stata trasferire la poesia d’improvvisazione del Logudoro nel dialetto parlato nel Campidano. Fra le sue poesie più note, “A Bunnannaru”, “Esordiu” e “Ottava”.

Si ritira a ottant’anni dagli agoni ma i palchi non li molla. Ci torna quando serve commemorare un evento o un poeta venuto a mancare, come Antonio Cubeddu, il suo grande rivale. Quando muore lui, il dodici gennaio 2004, a Ploaghe, se ne va un gigante della poesia sarda. Che resta nei video, nelle registrazioni, nella voce potente che silenzia le altre. Prima che inizi a parlare. Prima che diventi magia.

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