di Sergio Portas
Sapete che da tempo mi sono iscritto a quel partito di catastrofisti che va predicando della deriva antidemocratica di cui questo nostro paese è preda da una quindicina d’anni. Ultimo degli infiniti esempi che mi hanno portato a questo convincimento, è stato l’atteggiamento che i fratelli Moratti hanno tenuto in occasione dell’uscita del libro di Giorgio Meletti sulla tragedia occorsa, il 29 maggio del 2009, in quel di Sarroch, quando tre operai persero la vita all’interno della Saras, la raffineria che da almeno cinquant’anni, nel bene e nel male, regola il destino degli abitanti di quel pezzo di Sardegna. Intanto il titolo: “Nel Paese dei Moratti, Sarroch-Italia, una storia ordinaria di capitalismo coloniale”. (Chiarelettere editore). In realtà il vero paese dei Moratti è la grande Milano, dove la società ha sede e dove paga le tasse, qui anche l’anomalia di due signore (cognate) che hanno il vezzo d’usare il cognome dei loro mariti nel singolare duello che le vede operare in schiere contrapposte del consiglio comunale: la Milly Moratti ecologista e la Letizia Moratti, già ministro della pubblica istruzione, ora sindaco al primo mandato in attesa di conferma (il Bossi che qui conta parecchio ancora nicchia sulla sua candidatura ufficiale). E non apriamo neppure il capitolo che riguarda la squadra dell’Inter, di cui Massimo è presidente, sulle orme più famose del padre Angelo che con la magica squadra di Helenio Herrera vinse negli anni sessanta tutto l’immaginabile nel campo pallonaro. Dire che questo cognome sia famoso quanto chiacchierato nella piazza meneghina è un’ovvietà. Ebbene questa potentissima famiglia di imprenditori, all’uscita del libro, facevano seguire una nota ufficiale in cui davano mandato ai loro avvocati di promuovere azioni legali nei confronti dell’autore e dell’editore, come è loro diritto se si sentono offesi o diffamati, “nonché dei mass media che, in qualsiasi forma e sede, allo stesso abbiano dato o diano spazio e risalto…”. Insomma visto che io ne sto dando risalto, Gianpaolo Pusceddu gli sta dando spazio, dovremmo attenderci i fulmini di guerra dello studio legale che cura gli interessi di Massimo e Gian Marco Moratti, rispettivamente amministratore delegato e presidente della Saras Spa. Ditemi voi se questa non è barbarie, se non è un chiaro esempio di intimidazione preventiva della libertà di stampa. Ora si da il caso che Giorgio Meletti, cagliaritano che vive a Roma, una laurea in storia all’università di Pisa, giornalista economico che ha scritto per quotidiani di prestigio ( La Nazione, Paese Sera, Il Secolo XIX, per dieci anni al Corriere della Sera), oggi scrive per Il Fatto Quotidiano, sia anche scrittore e saggista di una qualche fortuna. Sempre per Chiarelettere nel 2008 è uscito “La paga dei padroni” e ancora prima un saggio sulla storia della bolla internet all’italiana, nel 2001 per Fazio. Che di lui non si debba parlare e che dei suoi libri si debba fare strazio è perlomeno opinabile. E allora leggiamolo questo libro che a noi sardi parla in modo particolare. La storia della riconversione dell’economia sarda dei primi anni cinquanta è ancora oggi fonte di dibattito acceso, per l’impossibilità di convergere in una visione condivisa. Da una parte il sogno della grande fabbrica, la chimica di Ottana, di porto Torres, la Saras di Sarroch e l’alluminio di Porto Vesme , lo stipendio sicuro, la possibilità di fare un minimo di sogni: la macchina, il mutuo, la scuola per i figli. Dall’altra parte una cultura millenaria che viene più che cancellata, un uso del territorio perlomeno discutibile nei suoi effetti per la salute degli abitanti. Tratti di mare cristallino che si debbono guardare con il sospetto che gli scarichi industriali li abbaino inquinati in misura non più reversibile. L’eterno dibattito su quale debba essere il futuro di questa nostra bellissima terra che non riesce a progettarsi la possibilità di far vivere coloro che la abitano e in essa nascono, senza che su di loro incomba inesorabile lo spettro della disoccupazione e dell’emigrazione. Meletti scrive come si possa morire di azoto, gas che diventa mortale in pochi secondi solo quando satura un ambiente scacciandone quindi ogni molecola di ossigeno. Scrive delle nove procedure antirischio che si dovrebbero seguire per evitare simili eventi. E quel giorno alla Saras non una di esse venne messa in opera. Scrive del pericolo che determinati lavori, all’interno della grande raffineria, siano appaltati ad aziende esterne che naturalmente conoscono in maniera parziale il luogo di lavoro in cui operano. Scrive persino della frattura che si opera tra questi operai, ovviamente di serie B, per contratti e retribuzioni, e quelli che sono assunti a tempo indeterminato. Scrive delle contraddizioni del sindacato di fabbrica e di quelli nazionali. Scrive della diversa notorietà che i media nazionali hanno dedicato a questa tragedia ( si pensi solo agli operai della Thyssen e al clamore mediatico che ancora li segue). Scrive dei sardi, tutti, cittadini di serie B, e le tragedie sul lavoro delle fabbriche sarde trattate di conseguenza. D’accordo è un libro amaro, venato da tanta malinconia quando, quasi a diario intimo degli operai che moriranno, descrive passo dopo passo le loro ultime giornate, scandite dalle abitudini di tutti i giorni, così care e così assurde nella loro quotidianità. Ma è un libro ben scritto, documentato, di quelli che fanno riflettere, che creano spazio al dibattito. Mai dogmatico, seppure di parte. Dalla parte degli operai. Dalla parte dei sardi. Venerdì 28 gennaio l’autore del libro lo presenta a Milano presso la “Melampo” editore, la casa editrice di cui è socio Nando Della Chiesa. Sala che si riempie subito e gente in piedi. Con Giorgio Meletti è Pietro Ricca, dell’associazione Libertà e Giustizia, c’è poi Massimiliano Mazzotta che sulla Saras ha girato un cortometraggio : “Oil”, che ha avuto lo stesso trattamento del libro di Maletti: ostracismo semitotale. Ultimo viene Basilio Rizzo, che è uno dei consiglieri di più lunga durata de Comune milanese, che conosco da una vita, non fosse altro che per la militanza comune nelle liste verdi. Buonissimo amico di Milly, con cui ora sta portando avanti la “battaglia per il Prt”, il piano regolatore del territorio che dovrà ridisegnare il profilo urbanistico della Milano dell’Expo per i prossimi venti anni. E vi risparmio le tonnellate di cemento che sono previste, nonché le polemiche scoppiate alla cancellazione, da parte della giunta Moratti, di tutte le eccezioni rilevate da cittadini, associazioni ambientaliste, ordine degli architetti. Basilio non può non dire che il libro è molto importante, che si schiera, che solo un sardo autentico poteva scriverlo. Anche lui non riesce a capire l’ostilità dei Moratti nei confronti dei fatti descritti. Può essere che alcune considerazioni li abbiano feriti, una certa scarsa sensibilità nei riguardi le famiglie degli operai deceduti che l’autore fa trasparire, quello che comunque viene stigmatizzato è il rifiuto preventivo al confronto. Meletti parla di quello che definisce capitalismo coloniale, per cui il famoso benessere portato in Sardegna da Angelo Moratti non si è tradotto in un aumento dei tassi di scolarità. Come dice lui: i figli dei saldatori della Saras fanno i saldatori. E che fine ha fatto la responsabilità sociale dell’impresa? Perchè è peccato dire che per ogni euro di stipendio netto lasciato in Sardegna, i Moratti ne portano tre di profitto a Milano? Ebbene tutto questo qui, nel paese dei Moratti, si è potuto dire e sottolineare, nel paese di Daniele Melis, Bruno Muntoni e Gigi Solinas, i nostri fratelli sfortunati, Sarroch, quando Giorgio Meletti è andato a presentare il suo libro ha trovato la sala vuota, qualcuno gli ha sussurrato: “Volete che ce la chiudano del tutto?”.
E’ giusto che queste cose si dicano e si possano scrivere. Troppo potere ai potenti.. è ora di invertire la tendenza..