PATTO COL DEMANIO: IL KO DELLA TIRRENIA E NESSUNO CHE PENSA AI DIRITTI DEI SARDI

di LUCA ROJCH

Il patto col Demanio è l’ultima zattera che potrebbe tenere a galla i resti della Tirrenia. Vincenzo Onorato sfoggia le sue doti da imprenditore e presenta una lettera-appello indirizzata al ministro Giorgetti in cui chiede che sia lo Stato ad aiutare Tirrenia a restituire i soldi allo Stato.

Tirrenia è con l’acqua alla gola per un debito di 180 milioni che il gruppo Onorato dovrebbe versare all’Erario, soldi con cui avrebbe dovuto pagare l’acquisto di Tirrenia, ma che non ha mai versato. La vicenda sembra paradossale, ma in Italia nessuno si stupisce. E sembra quasi normale che l’armatore chieda al governo di intervenire con il Golden power, in altre parole una sorta di jolly salvatutto. Il potere speciale che lo Stato si riserva per non far fallire o far cambiare proprietà ad aziende di interesse strategico. Una sorta di eccezione alle leggi del mercato. Per rafforzare la richiesta il gruppo Onorato mette sul piatto i 6mila dipendenti, un esercito che potrebbe restare a terra da domani. E forse anche per questo il tribunale ha deciso di non decidere. Rimandato tutto al 24 maggio. Qualche settimana di respiro, tempo che può servire solo per trovare una soluzione politica a una situazione economica di enorme affanno. Il gruppo Onorato è sull’orlo del precipizio finanziario, tanto che ci si deve orientare nel campo del miracolistico. Una via di uscita che si faccia beffa delle leggi matematiche e contabili. Tirrenia ha anche proposto un suo piano. Una comoda dilazione dei 180 milioni in quattro anni, con il pagamento di 23 milioni di euro subito, di 20 milioni di euro nel corso del piano e altri 100 milioni di euro entro il 2025, garantiti da ipoteche sulle navi, per un totale pari all’80% del credito: 144 milioni di euro. Un’offerta che il governo non sembra pronto ad accettare in questi termini.

Per rendere ancora più convincente la proposta la compagnia ricorda che i suoi 6mila dipendenti perderebbero il loro posto di lavoro. Tirrenia è finita in default, dopo non aver pagato all’inizio del 2019 la cedola sul bond da 300 milioni di euro, con scadenza 2023, e gli interessi dovuti sulla linea di credito «revolving» da 260 milioni. La soluzione portata avanti dal gruppo è tutta politica. Onorato chiede che sia il governo a lanciare una ciambella di salvataggio. Vuole che la soluzione sia politica e non legata alle effettive possibilità di restare sul mercato. Il governo non ha detto no e alla fine si troverà un compromesso per mantenere in vita la Tirrenia.

Il modello Alitalia sembra avere fatto scuola. A parte Air Italy e i suoi 1500 dipendenti, nessuna società che si occupa di trasporti viene lasciata alle correnti del libero mercato. Alitalia in 45 anni è costata allo stato 13 miliardi di euro. Il salvataggio di Tirrenia per le casse dello Stato equivale a liberarsi di un po’ di ramini dalle tasche. Sullo sfondo resta un fatto che sembra del tutto trascurabile. Il diritto alla mobilità dei sardi. Perché da una parte il governo decide di prorogare di due anni il vetusto modello monopolista della continuità marittima. E dà chiavi in mano le rotte a una azienda che rischia di essere dichiarata fallita in meno di un mese. Dall’altra apre un tavolo con Tirrenia per studiare il suo salvataggio. Per i sardi una sola certezza, il modello di continuità marittima, che ha dimostrato in questi anni di non funzionare in modo adeguato, sembra destinato ad andare avanti. Con buona pace di tutti i tavoli di coordinamento, di proclami, di modelli sventolati alla stampa. Per altri due anni il “Caro Caronte” continuerà ad essere il compagno dei viaggi via mare di tutti i sardi.

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