di MATTEO PORRU
Il professore che ha appena sgranato gli occhi davanti a un tema di italiano si chiama Filippo Addis e insegna lettere in una scuola media di Sassari. L’alunno, che il tema l’ha scritto, invece si chiama Romano, è nato nel ’39 a Pisa da genitori sardi, di Ittiri, ed è rimasto in continente fino a quando papà Antonio, carabiniere, è andato in pensione.
È tornato in Sardegna con i suoi per ritrovare le radici e la famiglia, Addis se lo ritrova in classe e a quel ragazzo con una lievissima inflessione pisana, ci si affeziona: Romano pende dalle labbra del prof quando lui parla di poesia e di letteratura, cosa abbastanza ovvia se chi spiega poesia e letteratura, oltre a studiarla, la fa, bene e da anni.
Ma gli Adriani non navigano nell’oro, si toglierebbero il pane di bocca pur di far studiare il figlio ma sono gli anni Cinquanta e studiare costa e costa l’andirivieni quotidiano fra Ittiri e Sassari. E Romano prende la prima grande decisione della sua vita: non pesare sui bilanci di famiglia e andare a lavorare e quel lavoro, l’elettrauto, l’avrebbe fatto fino alla pensione.
Il tema che Addis ha davanti, lo sa, è l’ultimo. Ma sa che quel ragazzo farà qualcosa di grande, di grande davvero. Ne farà tante, di cose grandi.
Ma, per ora, l’unica cosa che deve fare è il militare e lo fa alla Cecchignola. Ed è proprio a Roma che, nei primi anni Sessanta, inizia a scrivere.
Lo fa dopo una grossa emozione: la visita alla tomba di Antoni Cubeddu al Verano di Roma, un cantore sardo amatissimo. E infatti, Ti pedo iscùgia, la sua prima vera poesia d’occasione, è in sardo.
Quando torna a casa, Ittiri diventa il centro del mondo di Romano.
E si sposa con Caterina Lay e da lei prende il cognome con cui si firmerà in tutti i suoi componimenti. Entra nella vita politica di paese già da ragazzo ma sono gli anni Ottanta che gli regalano la fiducia dei compaesani e la carica di consigliere comunale. Per due volte. È una delle anime che fanno decollare la vita culturale ittirese, un figlio adottivo di una comunità che lo supporta e lo ispira, tanto.
Dalla pensione in poi, Romano Adriani Lay si dedica soltanto a famiglia e poesia. Scrive in un sardo integro, profondo, logudorese, studia quella lingua con una passione straordinaria, sempre vigile e affamata. E parla del dolore, dell’amore, della vita e del paese. Fra le liriche più belle ci sono Mama manna del 2009, una dichiarazione d’amore eterno alla Sardegna e, dello stesso anno, la delicatissima Bisos de antìgu pastore. La poesia di Adriani Lay viene apprezzata e accolta dai più importanti concorsi poetici dell’Isola. Da Muros a Limba e Ammentos, dal premio di Otti Antoni Andria Cucca al premio Logudoro.
Gli ultimi anni di Romano non sono facili. Perde un figlio per un incidente stradale e la poesia, per lui, diventa sfogo, rifugio, riparo.
La consacrazione poetica arriva nel 2011, quando vince, stravince, il Premio Città di Ozieri. E apre un sito web, dove carica tutte, ma proprio tutte le sue poesie, la sua eredità per l’isola di domani. Romano lo porta via una malattia terribile, nel 2019, ma non porta con sé le cose grandi che ha fatto.
Perchè sì, aveva ragione Addis: ne ha fatte, Adriani, di cose grandi.