di ANGELICA GRIVEL SERRA
Sul set è Efy. Un appellativo breve e versatile, che sa di volteggio o di danza, come del resto è anche il suo muoversi affabile da una parte all’altra, tra una modella e l’altra nel backstage, macchina fotografica a portata di occhio. All’anagrafe, il nome cui risponde è più massiccio: Efisio Rocco Marras. Lì, sì, porta con sé il grande onore (e l’onere, confessa con una spontaneità che muove al sorriso) di un cognome pregiato.
Nato nel 1992, è il primogenito dello stilista algherese Antonio di NonostanteMarras, leggenda della moda, e dell’autorevole ed energetica Patrizia. Il dialogo con Efisio è frizzante come la sua personalità incoraggia. I due nomi che veste rispecchiano appieno il bifrontismo della sua indole e, forse, anche del suo stesso essere:
Efisio è il nome legato alla famiglia, quello che ho ereditato dal mio nonno paterno. Rocco è il nome più propriamente mio: viene dal film Rocco e i suoi fratelli ed è stato l’occasione per risoppesarmi come persona, altrove, al di là delle mie origini.
I tratti biografici, a dispetto della giovanissima età, sorprendono per brio e precoci evoluzioni: Efisio si laurea nel 2015 in fotografia e arti liberali nella sede parigina dell’università Parsons. Per lui, dal verdeggiare dei 18 anni, Parigi si svela luogo in cui trovare quel respiro necessario per forgiare le sue ambizioni. Ma una svolta ulteriore lo conduce su vette ancor più vivide: nel gennaio 2016 coglie l’imperdibile opportunità di un apprendistato a New York, al fianco del fotografo di moda Mario Sorrenti. E lì diventa Rocco: come assistente di studio, non solo ha l’occasione di accogliere tutto quel che il maestro Sorrenti artisticamente tramanda, ma soprattutto impara a declinare nel suo stile nascente quegli stessi insegnamenti. Si evince davvero come il giovane artista porti con sé l’importanza e le gemme di quella esperienza formativa: “Sorrenti è un mito. Un mantra che di certo mi ha trasmesso è questo: se volete riposare, state a casa. Ma sinché siete in studio, siate sempre produttivi. Non esiste un problema, esistono reazioni. E per me è stato illuminante”.
Nel rincasare a Milano, a settembre dello stesso anno, per Rocco Marras giunge il momento di tornare Efisio, quando fronteggia l’avventura di affiancare il padre nella preparazione di una sfilata con annessa un’importante mostra alla Triennale di Milano. Poco dopo, Antonio Marras decide di affidargli la direzione creativa di una seconda linea (I’m Isola Marras) e il luminoso debutto avviene durante l’edizione di Milano Moda Uomo, nel giugno 2017. Da allora, per il poliedrico artista, la moda diventa vitale necessità. Oggi, dirige la divisione dell’azienda familiare come direttore creativo; ma lo appassiona oltremodo la fotografia, specialmente nella sua frazione ritrattistica, cifra di cui vorrebbe fare il suo destino.
Ciò che Efisio fa espressamente emergere di sé è il dinamismo del suo porsi umano e professionale, nonché la sua sincera predisposizione alla sfida e agli imprevisti che quotidianamente il vivere sottopone. “Se mio padre oggi all’improvviso mi dicesse che dobbiamo trasferirci per un progetto strepitoso in Cina per due anni, io sarei pronto a partire immediatamente. Amo le sorprese e vivo quanto più possibile di quelle. Di norma, non premedito”.
Quando lavora, non riesce a limitarsi alla stazionarietà di un ruolo specifico.
Perché l’elettricità del suo produrre arte si esplica nella volontà di essere presente in ogni mansione, in ogni scelta, alla ricerca di un’originalità vivace che “non faccia contento nessuno, se non me stesso: ho sempre cercato di sganciarmi dal peso del significato, dall’idea tirannica che qualcosa debba avere per forza un senso. Io voglio fare cose belle.”
Che bambino sei stato e quali erano i tuoi sogni? Il sogno da bambino, ma anche quello di adolescente cresciuto quale sento ancora di essere, era quello di fare il cavaliere. Sin dall’infanzia mi innamorai dei cavalli e del salto a ostacoli. Avrò avuto sei anni, e accadde assolutamente per caso: lo studio di babbo, ad Alghero, continuava e confinava con un maneggio. Da allora, non ho mai smesso di andare a cavallo. La fotografia è ugualmente cominciata come un gioco, poi si è trasformata in sogno vero. Sono due miei immortali amori paralleli.
Qual è stato, per te, il più importante successo di questo difficile periodo? Ritornare a far le gare a cavallo. Avevo smesso di gareggiare per impossibilità di tempo. Grazie al lockdown, però, ho trovato tempo per me stesso, e per esercitare la mia passione. Ho domato un puledrino con il mio istruttore ed è stato bellissimo.
Quale, viceversa, la delusione più cocente? Tra le tantissime? (sembra quasi che ammicchi, qui, con un sorriso sbarazzino intuibile, ancorché racconti al telefono) Riuscire a rispettare gli ordini che mi autoimpongo, per mancanza di premeditazione. Il costrutto americano di productivity and delivery mi manda sovente in crisi.
Come vedi te stesso tra 10 anni? Se tutto lo scorrere del tempo fosse banale e procedesse secondo canoni prevedibili, vorrei vedere me stesso sul mare, da qualche parte vicino ad Alghero, con una piccola factory che sia però, oltre che una fabbrica, anche una fattoria. Ovviamente, almeno due cavallini sarebbero d’obbligo.
Il cavallo è già al galoppo. Efy, in sella, saldamente in equilibrio. Ma a briglie libere.
Una scoperta fatta oggi stesso leggendo il suo nome sulla vetrina di Max Co a Siena, la mia città. Mi ha incuriosito il cognome perché essendo amante di cavalli e ippica l’ho collegato al fantino di regolari Marras. Complimenti e auguri per tutto ciò che desidera