di Omar Onnis
Mentre i cassintegrati della Vinyls, illusi per l’ennesima volta, forse anche dalla propria popolarità in Rete, non sanno più a quale torre arrampicarsi per rendersi visibili, mentre la compagnia Meridiana annuncia il proprio ridimensionamento operativo (con molti esuberi, ossia prossimi disoccupati), mentre dalle parti del Salto di Quirra procedono indagini che minacciano di scoperchiare il pentolone di uno scandalo troppo a lungo nascosto, chi governa – sulla carta – la Sardegna non ha di meglio da fare che scoprire all’improvviso le bellezze del nostro carnevale tradizionale. La sua valorizzazione turistica sarà il nuovo volano per la nostra economia asfittica e in perenne crisi, si sostiene. Be’, carnevale, siamo a carnevale, niente da dire. Dobbiamo prenderlo per uno scherzo? In Sardegna non c’è uno straccio di progetto politico nemmeno per la prossima settimana (e lasciamo perdere il lungo periodo), l’elenco dei settori in crisi ormai esclude solo le pompe funebri (ma solo perché si continua a morire, ahinoi!) e questi buontemponi della giunta regionale, supportati da chissà quale think tank, non sanno escogitare altro che la genialata di trasformare dei riti popolari in un affare. Come, per chi, rinunciando a cosa? Ne vale la pena? È credibile questa idea? Tutte queste domande evidentemente non se l’è fatte nessuno. La faccenda mi ricorda tanto la volta che litigai con un dirigente di un ente turistico a Nuoro, perché nell’organizzare la sagra del Redentore costui pretendeva di far sfilare i mamuthones e i merdules in pieno agosto. Per i turisti, si argomentava, che tanto in inverno non vengono. Io la bollai come una assurdità. Se a qualcuno interessavano quelle manifestazioni popolari, che venisse a vedersele nei luoghi e nei tempi in cui hanno il loro senso. Quella volta la spuntai. Ultimamente, purtroppo, quell’insano proposito ha avuto diversa accoglienza e la pagliacciata agostana nuorese da qualche anno si fa. Nel caso presente se non altro non si pretende di catapultare le maschere tradizionali sarde in un tempo e in un contesto impropri. E tuttavia che qualcuno concepisca una cosa seria e sentita, ancora molto poco folkloristica, come il carnevale sardo, alla stregua di una occasione turistica e commerciale fa già tristezza di suo. Ma per presentarlo in pompa magna come una possibile panacea per i nostri mali economici e sociali è necessario un grado di abiezione culturale e di pochezza politica decisamente sotto la soglia patologica. Le vere maschere in questa storia, tragicomiche però, non sono certo quelle di Mamoiada, Ottana o Orotelli. E ricomprendono anche molti operatori dei mass media e delle testate giornalistiche, sempre pronti a fare da megafono a queste scempiaggini. Salviamo il carnevale tradizionale sardo dalle speculazioni commerciali, salviamoci quel tanto di anima che ci è rimasta. E magari, vediamo di affrontare politicamente come si deve i problemi concreti e pressanti della nostra gente. Senza prese per i fondelli decisamente offensive.