di LUCIA COSSU
“Il momento preciso in cui le cose si rompono, le vite deragliano e il tempo si ferma per un istante infinito prima di riprendere a correre all’impazzata: perché davvero, e per sempre, la morte si nasconde negli orologi.”
Raccontare l’attimo repentino che causa il cambiamento è il compito fascinoso dei romanzi, per poi riavvolgere le schegge: le vite e i destini. La morte e la vita si nascondono negli orologi e le metafore, pagina dopo pagina, segnano il passo della storia.
La morte si nasconde negli orologi è il primo romanzo di Emiliano Deiana, è stato pubblicato nell’aprile del 2020 e sta suscitando grande interesse tra i lettori e gli addetti ai lavori. Il libro è la scommessa vincente di Massimo Dessena, libraio ed editore, che, con la sua casa editrice, Maxottantotto edizioni, ha portato nelle librerie e nelle nostre case quest’opera così delicata e preziosa.
L’Emiliano Deiana politico e amministratore è ben noto: sindaco di Bortigiadas per diverse legislature e presidente dell’Anci. Sguardo consapevole e attento alle realtà locali, lucido osservatore del mondo. Emiliano è anche cofondatore della libreria Bardamù a Tempio Pausania. Fin dalle prime pagine, questo romanzo ci suggerisce che avremo modo di conoscere meglio l’Emiliano narratore di storie.
Il libro è un’epopea ferroviaria ambientata in America del Nord, a fine Ottocento o forse già primi scorci del Novecento. Nella profonda provincia, immersa tra viti e segale e lontano dal mare, sorge il villaggio di Turmac. E in quel grumo di case si trova una ferrovia e dei binari, testardamente paralleli fra loro, che conducono a Somewhere. La pancia del treno restituisce sempre un passeggero, la precisione è scellerata, assoluta, tanto che se nessun piede poggia a terra, la premonizione è fosca.
Ruth è l’incipit. La sua bellezza matura ma lieve e la sua grande valigia di pelle nera scendono dal treno e, a Turmac, niente potrà più essere come prima. Sono tanti i personaggi che abitano questa Spoon River dei vivi. I diciassette anni di Ethan, trascorsi tra numeri e parole; il mare di Melville; gli orologi che Baruch sa aggiustare solo frugando negli occhi; la musica struggente di Samuel; le tuonanti prediche del reverendo Hartman; la locanda di Enoch; Elizabeth, la bambina; le bolle di sapone; Elimelech e le combinazioni di parole. Diteglielo che la sua scrittura è poesia! Ognuno è intento a vivere seriamente quell’incrostazione di tempo che chiamiamo vita: un eterno presente, dove il passato è l’ossatura, con tutto il suo pungente dolore, di quest’umanità graffiata.
Si può raccontare la Sardegna, i villaggi piegati dalla quotidianità, le lontananze e le mancanze dissonanti, senza mai nominare l’Isola. I destini di santi e reietti e i paesi necessitano di un narratore per trovare un senso e rompere così gli orologi, allagare il tempo. Turmac è un filtro. Così Emiliano riesce a distanziare l’oggetto: la sezione e il bisturi diventano più precisi. Il lettore è condotto in una realtà letteraria e sognante. Ma, lettore, lo vedi che è casa tua?
Melville racconta il mare perché nessuno a Turmac l’ha mai visto. Quanta verità può nascondersi in una metafora? Solo parole mistiche e profetiche possono descrivere il rapporto di un’Isola col suo mare. I sardi vivono affastellati nelle coste a svuotare di genti e di servizi i luoghi interni, ma che rapporto abbiamo noi col mare? Eppure, in origine fu il mare. È salato, il mare e immenso, dice Melville. Ci ha fatto isola e isolani, ci ha inventato popolo.
Il mare è salato, isola e crea popoli, narrazioni, linee di costa già orizzonti.
Il tempo è srotolato abilmente: non può essere misurato e parcellizzato dagli orologi, perché troppo soggettivo e devastante. I capitoli sono quadri definititi eppure liquidi, un mistero che solo la Letteratura può generare. La lingua è strumento prezioso. Le parole -come more di rovo, dove ogni acino è proporzione e necessità– sono parte del tutto: sono pesate-pensate, soffiate-impigliate. Profetiche e poetiche, le parole, in certi passi, volgono leggere a inebriare i sensi, così le accogli e le respiri, sono bolle di sapone; altrove bucano la pelle e restano sospese come inquietudine reale. Il dolore lo puoi spiegare? Puoi parlare del male? O giudicare l’ultimo dei reietti o la prima vera santa che incontri nel tuo cammino? L’autore lo sa, in tutta l’umanità raccontata non indugia in false speranze o inutili assoluzioni: il passato marcisce lungo le vie del presente. Solo la letteratura, forse, può sciogliere i voti e calmare l’animo randagio.
La tessitura solenne del Vecchio Testamento è intreccio necessario nella trama. Quanta sensualità carnale e quanta purezza celano Re Salomone e la sua sposa. Siamo cresciuti tra parole e riti religiosi, tradizioni che permeano nel profondo le Comunità, ma ricercare Dio è innanzitutto interrogare l’assoluto, l’essenza delle cose, cercare risposte che vadano oltre la nostra caducità.
Emiliano Deiana ha profonda sensibilità letteraria e musicale, l’impasto narrativo è fascinoso. Il libro ci restituisce il suo immaginario forte e colto. Oltre il pane e vino che mangiamo, siamo i libri, la musica, gli incontri, la permanenza dei fatti, quando si depositano nello stomaco e necessitano di tempo e di metabolizzazione e di scrittura. Così nascono le corrispondenze e le radure, gli accostamenti e le illuminazioni, che impastano e lievitano la narrazione. Tanti sono gli echi letterari: Sherwood Anderson, J. D. Salinger, Cormac McCarthy, Herman Melville, John Steinbeck. E poi ancora Céline. Al lettore il gusto di scorgere le tante suggestioni filosofiche, poetiche, letterarie, musicali, cinematografiche. Ogni lettura svela nuove interpretazioni e porta con sé altra fascinazione.
Nel bar spesso accade che il più piccoletto degli avventori si scagli, a testa bassa, contro uomini ben più robusti. Così -racconta Emiliano- ho voluto fare io, confrontandomi con i grandi della scrittura, con la Letteratura. Ai lettori il giudizio. Diteci di quel piccoletto che un giorno ha sfidato i grandi.
#rivista cartacea LACANAS