di TONINO OPPES
Le case, scolpite una sopra l’altra, si aggrappano al monte quasi a cercare protezione; la nave degli Shardana, che hanno volti severi, viaggia verso l’ignoto sui mari attorno all’Isola; i guerrieri nuragici hanno sguardo fiero e sono pronti a combattere per difendere la loro Terra. E poi ci sono loro, le misteriose janas, i cui racconti hanno accompagnato, per secoli, generazioni di Sardi.
Gigi Porceddu, scultore tra i più apprezzati, descrive sulla pietra la sua Sardegna.
Il cortile della sua abitazione, a Villasor, è come un museo a cielo aperto che mette in mostra tante sculture che è impossibile contarle. Ma per conoscere a fondo questo singolare artista bisogna partire dal suo laboratorio, alla periferia del paese a trenta chilometri da Cagliari, proprio dove il padre pascolava le pecore.
La storia dello scultore molto amato soprattutto in Germania inizia, se così si può dire, alle Scuole Elementari.
Il bambino è attratto dalla manualità che si esalta quando modella l’argilla. In un’intervista di alcuni anni fa a Paolo Pillonca dice:” Da piccolo ero timido, ma quando il maestro mi faceva fare i lavori con la creta, davanti a tutti, allora ogni paura svaniva all’improvviso.”
Dalla scuola all’ovile: il passo è breve, in Sardegna, per ogni figlio di pastore. Capita anche all’artista di Villasor.
“Ho frequentato fino alle Medie e quando uscivo da scuola mi piaceva correre in campagna, ricorda Gigi Porceddu, e mentre controllavo il bestiame lavoravo pezzi di legno con il coltello, ma non ero completamente soddisfatto. Mancava qualcosa e dentro di me sentivo che dovevo fare altro… così è arrivata la pietra, in particolare quella dura di fiume, anche se agli inizi ho scolpito la trachite.”
“Perché questa scelta?” domando.
“Le pietre di fiume, mi risponde, non le stacchi dalla montagna, e per realizzare una scultura non fai violenza sulla Natura. Le trovi e basta, e se guardi con attenzione ti accorgi che sono pronte per essere lavorate anche perché ciascuna ti regala una indicazione precisa. Ad esempio quelle tonde, per me, sembrano che stiano preparandosi al parto, per questo le chiamo sas perdas chi angiant. Lì, il mio lavoro è semplice, quella pietra va solo aiutata a liberarsi di ciò che custodisce al suo interno.”
Ormai da molti anni Gigi Porceddu scolpisce ogni giorno, con scalpello e martello, janas e guerrieri nuragici. Quasi tutto è rigorosamente realizzato sulla pietra più dura “perché solo così il messaggio può resistere in eterno.”
Lo coccola da tempo un mercato importante come quello tedesco. La tv, compresa quella pubblica, gli dedica ampi spazi, a Berlino si susseguono le mostre; il museo di Bilbao, in Spagna, espone decine di guerrieri, ma ora lo sguardo dell’artista è rivolto all’Oriente. A Tokio una delle più importanti gallerie del Giappone espone i suoi ultimi lavori: le pietre che si dondolano.
Eppure c’è una cosa che sta molto a cuore a Gigi Porceddu: il museo dell’identità con migliaia di ritratti, stavolta in creta, di uomini che raccontano sempre la storia della Sardegna.
#LACANAS
Bellissima storia