di MASSIMILIANO PERLATO
Il complesso patrimonio dell’artigianato sardo incorpora ed esprime una stratificata densità storica. Risalire alle sue origini significa percorrere un lungo ed avventuroso viaggio andando indietro nel tempo sino alla preistoria. E nel corso di questo viaggio è possibile ravvisare influenze dei periodi preneolitico, neolitico, romano, bizantino. Ma, al di là di queste ispirazioni e delle radici culturali, l’arte popolare sarda ha saputo caratterizzarsi in senso regionale, con elementi talmente chiari che la distinguono da ogni altra. I suoi caratteri peculiari sono l’originalità e la semplicità espresse in forme essenziali, scaturiti da una ricca tradizione locale che compendia storia, costume, arte e vita. Ecco perché l’artigianato sardo può essere definito vera e autentica arte popolare, espressione culturale, cioè, di tutto un popolo. Anche la continuità delle tecniche tradizionali è stata salvaguardata nel corso dei secoli: il tappeto sardo, ad esempio, ha una sua fisionomia caratteristica locale che un occhio esperto può individuare fra 100 di altri Paesi; non solo, ma la particolare tecnica, struttura, tessuto, disegno, motivi e colori ne rendono agevole l’identificazione dell’origine. Stesso discorso vale per le espressioni dell’arte dell’intreccio (la cestineria è tra le più caratteristiche e variate espressioni della cultura decorativa sarda) così come per la ceramica, espressione di una tecnica fantasiosa e perfezionata nel tempo. L’universo artigiano sardo è ancora oggi tangibile nella quotidianità nonostante l’affermazione di un nuovo modello di vita consumistico, estraneo alle radici della cultura dell’isola. Una cultura che, comunque, ha saputo difendere nei secoli la sua singolare specificità e, insieme, ogni individuale, distintivo carattere. Uscito dalle umili case dei centri rurali, l’artigianato sardo porta per il mondo il sapore rustico delle cose genuine. Gli arazzi, i tappeti, la filigrana, i cesti sono soltanto alcune espressioni di tutto questo che si contraddistinguono per varietà, ricchezza e peculiarità dei suoi prodotti.
La tessitura è una delle attività ancora più diffuse in Sardegna. Vi sono piccole località dell’interno che devono la loro notorietà proprio ai classici tappeti o agli arazzi, creati dalle abili mani di esperte tessitrici. Tessuti realizzati sempre a mano, con telai verticali, tipici della Barbagia. Le materie prime adoperate sono la lana sarda che è particolarmente resistente, il cotone grezzo, candido o colorato e il lino. Il tappeto sardo nasce come elemento decorativo dell’austera cassapanca, depositaria principalmente del corredo della sposa. Ecco perché generalmente si presenta con una sezione centrale con figure o disegni ricorrenti, geometrici e 2 falde laterali che servono da ornamento. Successivamente sono seguiti gli altri utilizzi come coperta, arazzo o tappeto vero e proprio. Poi la produzione tessile attuale si è arricchita di altri oggetti destinati all’arredamento della casa, come tende, strisce, cuscini, stoffe e asciugamani e tovaglie, nelle cui decorazioni si legge una lenta, moderna evoluzione, pur in presenza di una costante ispirazione ad elementi figurativi tradizionali. I centri di produzione sono innumerevoli ed è quasi sempre possibile visitarli per scoprire con i propri occhi come nascono i differenti prodotti.
A seconda delle zone dell’isola, l’arte della tessitura si differenzia per le tecniche utilizzate: la “tessitura liscia” è caratteristica di centri del Nuorese come Gadoni, Nule, Tonara, Sarule, Sedilo, Orune. Quella “a grani” è tipica di Ittiri, Atzara, Bonorva, Busachi, Paulilatino, Castelsardo, Ploaghe, Pozzomaggiore, Osilo, Sardara, Santu Lussurgiu, San Vito. Quella “a punto” è usata nella lavorazione più pregiata, ricca e decorativa degli arazzi di Bonorva, Mogoro, Morgongiori, Santa Giusta, Ploaghe, Sant’Antioco. Infine quella “a dente” è caratteristica di Aggius, Bolotana, Isili, Samugheo. Sempre in tema di tessitura, infine, almeno un cenno meritano gli splendidi scialli in lana, in genere di colore nero, con ricami in seta variopinti, caratteristici soprattutto di Oliena e Villanovaforru. La facilità di reperire la materia prima, in una terra, come la Sardegna, ricca di erbe e paludi, e la maggior semplicità di lavorazione, hanno fatto sì che nell’isola il cestino abbia avuto una diffusione enorme come utensile familiare, sicuramente superiore a quella del vaso che aveva lo svantaggio della più specialistica lavorazione. La forma del baratto e dello scambio estesero poi la diffusione del cestino dall’ambito familiare a quello del commercio.
E i cesti che si possono trovare in vendita sono quelli che, ancora oggi, vengono utilizzati in molte case per molteplici usi: come contenitori per la biancheria o per i vasi, come portapane o per i dolci. Accanto alla commercializzazione primitiva del prodotto troviamo il tentativo di renderlo più apprezzabile mediante la decorazione che, comunque, deriva soprattutto dall’amore con cui la donna inventa un oggetto idoneo alle esigenze della casa e bello davanti ai suoi occhi. Predominano i motivi geometrici, anche se non mancano quelli floreali e faunistici. Le forme dei cesti variano in funzione della materia prima utilizzata. A Sinnai e a San Vero Milis si usa il giunco e la paglia di grano, raccolta dopo la mietitura. La lavorazione tradizionale ha un andamento a spirale, mentre la decorazione, con materiali affini o con cotone rosso e nero, viene aggiunta in un secondo momento.
La forma più tipica di questi contenitori è quella a campana rovesciata, anche se alcuni di questi cesti, con forme diverse, sono invece concepiti come complementi d’arredo o destinati a decorare le pareti. Nella Planargia, a Flussio, Montresta e Tinnura, e nella Barbagia di Ollolai e Olzai, secondo la tradizione più antica, si utilizza ancora l’asfodelo, la pianta sarda più caratteristica, elastica e tenace. Essiccato e tagliato a strisce, l’asfodelo è di colore chiaro, ma diventa più bruno sul retro, fatto questo che permette alle abili mani delle artigiane di ricavare effetti di decorazione. Nella Romangia, a Sennori e Sorso e nell’Anglona, a Castelsardo e Tergu, predomina l’uso della palma nana che cresce a ridosso delle dune di sabbia e della rafia. Il cestino di Castelsardo, che è forse il più noto di quelli prodotti in Sardegna, è anche quello che risente maggiormente di una certa deviazione dai motivi tradizionali, per la difficoltà crescente di reperire le materie prime. E questa difficoltà, insieme ai tempi di lavorazione molto lunghi e alla scarsa redditività dell’attività (la quale deve fare i conti con un mercato che propone sempre più imitazioni e prodotti non realizzati a mano) stanno facendo sì che l’arte di intrecciare cestini stia pian piano scomparendo insieme alle vecchie artigiane. Il cesto in vimini, dotato in genere di manico, confezionato da contadini e pastori e ricavato dal salice, dall’olivastro e dalla canna presenta forme diverse in funzione dell’uso nelle varie località dove ancora si produce: nel Sassarese, nella bassa Gallura, nella valle del Tirso e nel Campidano.
Come quasi tutta la produzione artigianale sarda, anche la ceramica affonda le sue radici nella storia e, nel corso dei secoli, ha mantenuto sempre uno stretto rapporto con la tradizione e le forme del passato. Non occorre visitare il Museo Archeologico di Cagliari per scoprire le origini nuragiche della ceramica sarda o le analogie con modelli che si ricollegano alla dominazione romana. Basta infatti visitare le cittadine dove è prodotta la ceramica più tipica (come Assemini o Pabillonis nel Campidano, ma anche Dorgali, sulla costa orientale dell’isola, e Oristano) per trovare tutta una serie di brocche, pentole e tegami che ci riportano indietro nel tempo. Le forme antiche di quest’arte ricalcano temi consueti e familiari: recipiente per olio, acqua e vino, brocche grandi e piccole, dalle decorazioni più svariate, bicchieri, boccali, fiaschette, stoviglie, contenitori di acqua calda e anche elementi architettonici e decorativi.
La produzione ceramica isolana spazia dagli oggetti d’uso comune o di ispirazione religiosa, che rivelano un gusto innato e grande capacità manuale, a figure stilizzate soprammobili e sculture di raffinata eleganza. Oggi come ieri il tratto caratteristico della terracotta sarda è dato dalla praticità e dalla classicità della linea. I vasi e le brocche, frutto della sintonia fra le mani dell’artigiano e la spinta del piede scalzo sul tornio, conservano una loro rustica semplicità e precisione che li fa sembrare fatti in serie, mentre in ciascun pezzo c’è tutta la maestria e l’estro dell’artigiano ceramista. Si tratta per lo più di una produzione di oggetti d’uso comune, anche se negli ultimi decenni si sono via via affermati numerosi artigiani-artisti che hanno dato un nuovo impulso allo sviluppo della ceramica moderna con l’adozione anche di nuove tecniche di lavorazione, pur rimanendo sempre fedeli all’autentica tradizione isolana. A Cagliari, San Sperate e Selargius, a Oristano, Sassari e Olbia e, nel Nuorese, a Dorgali e Siniscola, operano molti artisti di talento la cui notorietà ha varcato i confini dell’isola e le cui opere arricchiscono diverse collezioni private.
La produzione artigianale sarda, come si è visto, in genere, è dedita da secoli alla fabbricazione di oggetti d’uso comune creati dall’estro antico o sbocciati dalla fantasia popolare e divenuti patrimonio culturale di aree ben determinate dell’isola. Nell’umile casa contadina infatti c’era posto per pochi mobili, arredi indispensabili e molto modesti, come si conveniva alla povertà dell’ambiente tradizionale. Con una eccezione però: la cassapanca, riccamente intagliata, ha assunto un posto essenziale nella casa, quello di scrigno e tabernacolo della famiglia, custode del corredo della sposa. La maggiore o minore ricchezza delle famiglie era riscontrabile proprio nella decorazione della cassapanca. Il legno utilizzato maggiormente era il castagno, abbondante nei boschi della Barbagia, ma a volte anche il noce ed il rovere. Il pannello centrale era originariamente liscio o decorato con molta semplicità. Gli artigiani del legno si ispirano anche loro ad una simbologia fatta di motivi geometrici o floreali o comunque naturalistici. Tra i centri più rinomati in queste produzioni ricordiamo Desulo, Aritzo, Santu Lussurgiu, Paulilatino, Isili. Oggi si distinguono tra gli altri artigiani anche alcuni intagliatori di Cagliari, Buddusò e Sassari. Una citazione particolare, tra le altre produzioni, meritano le sedie: eleganti e funzionali quelle impagliate di Assemini, realizzate in legno chiaro e ingentilite con il disegno rosso e verde del melograno; pretenziose e spagnoleggianti quelle con gli schienali scolpiti e laccati in rosso o blu o verde ed oro, di derivazione catalana. Altra tipica espressione dell’arte popolare e della lavorazione del legno sono le maschere carnevalesche, evocatrici, forse, di antiche oppressioni e di magiche suggestioni. Ma la produzione in questo campo spazia anche agli sgabelli, ai pannelli decorativi e, ancora, a cucchiai e taglieri, alle pipe di radica sarda, ai vasi e alle ciotole. Nella zona più centrale della Sardegna operano, ancor oggi, alcuni fabbri, rinomati sia nella fabbricazione di speroni e morsi per cavalli (fra i più noti quelli di Santu Lussurgiu e Gavoi), sia nel temprare magnifiche lame d’acciaio, come nei famosi coltelli di Pattada, Dorgali, Santu Lussurgiu, Desulo e Guspini, eseguiti con rara perizia e abilità tanto da renderli agli occhi degli appassionati preziosi oggetti da collezione.
Accanto a questi elaborati, si ritrovano altri ferri battuti altrettanto rinomati e pratici, come ringhiere barocche, cancellate, lampadari, spiedi, graticole e alari. Mentre tra i metalli lavorati si distinguono i rami, sbalzati con rara maestria dagli artigiani di Isili che distribuiscono i loro manufatti in tutta la regione, tra cui i campanacci che ricordano la vita tranquilla dei campi. I livelli altissimi si raggiungono con la lavorazione dell’argento e dell’oro. La presenza di miniere argentifere ha stimolato il fiorire di botteghe di argentieri a Iglesias e ad Oristano, a Cagliari, ad Alghero, a Sassari e, ancora, a Quartu Sant’Elena, Sinnai, Nuoro, Oliena, Bosa e Dorgali. Una posizione di rilievo in questo settore spetta poi ai classici gioielli in filigrana d’oro e d’argento, famosi in tutto il mondo. Gioielli che ripetono modelli tramandati da un’antichissima tradizione, frutto di un’infinita pazienza e compostezza, omaggio alla vanità e all’eleganza femminile. Ai gioielli in filigrana che adornano il costume sardo si accoppiano orecchini ed anelli con pietre e perle incastonate, braccialetti, fibbie, ciondoli, pendagli e le lunghissime collane ravvivate da pietre, oltre ai grandi e ricchissimi rosari appesi in cima al letto. Fra le varie attività artigianali, quella del maestro orafo ha potuto esprimersi, più di altre, in forme artistiche di fantasia creativa, di raffinato virtuosismo e di originale perfezione. Caratteristiche che, pur restando sempre vicine alla tradizione, sono state integrate da una serie di significative innovazioni che consentono oggi alla gioielleria artigianale e artistica sarda di essere apprezzata in tutto il mondo. Nell’arte della gioielleria vantano una meritata rinomanza gli artigiani di Alghero, Bosa, Cagliari, Dorgali, Iglesias, Nuoro e Sassari.
Galanias!
Bellissimo!
Fantastico articolo, una grande padronanza e conoscenza della sua grande arte manuale e non.
Congratulazioni vivissime.
Un bel servizio meticoloso, nei dettagli dell’esposizione. Complimenti al giornalista!
Un lavoro che ha dato da mangiare a tante famiglie.