RACCONTI DI MASSAJOS E CUNZARESOS: IL NUORESE AUTENTICO NEL LIBRO DI MAUREDDU SELLONI

di LUCIA BECCHERE

Per dieci anni ha custodito il suo manoscritto in un cassetto «finché un caro amico – ricorda l’autore – Cincinu Congeddu, mi ha incoraggiato a pubblicarlo». Scritto in nuorese autentico, il libro Contande e ammentande di Maureddu Selloni, nato a Nuoro nel 1947, descrive la società agropastorale del 900 fino agli anni 60/70, da lui vissuta quando, quinto di sei figli, dall’età di 8 anni accompagnava nei campi il padre, ziu Bobore, uno degli ultimi massajos e cunzaresos.  A quel tempo i figli erano predestinati perché “depiana sichire sa bida de sos babos” che conoscendo l’alternarsi delle stagioni e la ciclicità delle semine, trasmettevano loro mestieri e segreti per fronteggiare siccità e carestie e mettendoli in guardia dalle insidie li facevano diventare uomini anzitempo.  L’essere dei predestinati comportava anche una certa rassegnazione di fronte all’ineluttabilità del destino: “sa bida est fatta gai” e l’accettazione della propria condizione economica: “finzas su poveru fit cuntentu de essere poveru”. Dunque pro sos pizzinnos l’apprendistato era fatto di silenzi, esempi e racconti che veicolavano codici e messaggi.

Signor Selloni, chi è il Mialeddu del testo?  «Mialeddu sta per Maureddu e quindi sono io che riporto le storie che mi venivano raccontate da mio padre e dai suoi amici cunzaresos. Storie di banditi, di balentes, di disamistades, di emigrazione e di guerre attraverso le quali mi venivano insegnati i valori della vita».

«Nel volume – racconta l’autore – riporto le storie che mi venivano raccontate da mio padre e dai suoi amici cunzaresos. Storie di banditi, di balentes, di disamistades, di emigrazione e di guerre attraverso le quali mi venivano insegnati i valori della vita» famiglia (4 maschi e 2 femmine) faceva su massaju cunzaresu quando “pro su massaju su jubu fit sa bida e una richesa” tuttavia pur lavorando dalla mattina alla sera “cad’annu fit semper prus poveru”. Nei cunzaos si muoveva tutta una società operosa fatta di massajos, ortulanos, craparjos e mannalitarjos, che del potare, arare, seminare, zappare, isfenare ne avevano fatto un’arte. Sapevano fronteggiare titules e tascaresos, trunzedderis, lattos, canettes (ladro di campagna), gurturjos e bardaneris, (tutti individui poco raccomandabili) e ne mettevano in guardia sos pizzinnos. Tramandavano la sacralità dell’amicizia, dell’ospitalità e della vita comunitaria fatta de messonzos, binnennas, incunzas, de chertas e di condivisione di pasti frugali accompagnati da un bon bicchiere di vino.

Che bambino era Mialeddu? «Un bambino molto curioso e sensibile che sapeva ascoltare e domandare perché aveva sete di sapere. Ma mio padre a cui chiedevo spiegazioni, era “letranchi curzu” e quando era “de mutria bona” rispondeva, altrimenti mi redarguiva aspramente: “cambiami negossiu sempre ses chin custas lanas”. Per fortuna c’erano gli altri cunzaresos che con molta pazienza mi davano tutte le risposte che io andavo cercando».

L’educazione del padre era troppo severa perché raramente si lasciava andare a qualche lusinga e questo alimentava la timidezza di quel bambino che stava diventando adulto. È stata proprio quella sua innata curiosità a favorire in lui la conoscenza di tante cose che nella vita gli torneranno utili. Mialeddu avverte il cambiamento dei tempi ormai in atto, il 68 è alle porte, i giovani non vogliono più fare i mestieri dei padri e a quel punto il confronto coi compagni di giochi è inevitabile. Questo fa maturare in lui la decisione di abbandonare per sempre la campagna. Quando la morte condurrà il padre nell’ultimo viaggio “chi totus depimus fachere”, Mialeddu coglierà l’affetto e gli insegnamenti di quel genitore burbero e distaccato, ma onesto e grande lavoratore.

A che età ha abbandonato la campagna? «A 18 anni. Una breve esperienza in officina e in edilizia, oggi sono un pensionato Enel da circa 20 anni».

Il libro è scritto in dialetto nuorese schietto e arcaico, da chi lo ha appreso? «Da una mia zia molto anziana, poiché ero curioso lo memorizzavo con facilità, ma anche dalla nonna di un mio carissimo amico, Maria Corva che parlava nuorese verace».

In copertina un dipinto di Congiu Pes. Chi è il personaggio? «È mio nonno ziu Zoseppe Selloni (noto Lucheddu) che di mestiere faceva “su massaiu carrulante”. Il cappuccio calato in testa, secondo l’usanza del tempo, è il connotatore della sua vedovanza».

Racconta queste storie ai suoi figli? «Sì, anche se non mi sembrano particolarmente interessati perché fanno parte di un’altra generazione. Ho voluto metterle per iscritto per trasmetterle un domani anche ai miei nipoti».

per gentile concessione de https://www.ortobene.net/

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Un commento

  1. Ho 63 anni e sono venuto in Sardegna nel ’68 al seguito di quello che poi con affetto ho chiamato “inquinatore seriale” cioè un capo cantiere alla SIR.Padre trasfertista che mi ha portato in Toscana Puglia e Sicilia. Mi prendo il lusso di esprimere un parere: come la Sardegna niente è paragonabile. È fondamentale conservare la memoria di ciò che è stato e ci ha portato ad essere quello che siamo e facciamo ora. Magari lo ha sicuramente detto qualcuno prima di me ma…non c’è futuro senza un passato!

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