di GIANRAIMONDO FARINA
Delineare il nuovo momento storico-economico e politico che stiamo vivendo mi porta a rispolverare una famosa locuzione latina, usata dagli antichi cartografi per indicare zone inesplorate e sconosciute dell’Asia e dell’Africa, con rappresentazioni che si svilupperanno meglio e maggiormente in età medievale. L’aspetto originale è però, ora, che questa frase viene indicata ed utilizzata per indicare una situazione o condizione cui prestare particolare attenzione. Ed indubbiamente, la crisi economico-politica italiana di questi tempi, permette tale riflessione.
Innanzitutto, il contesto generale in cui è maturata la recente crisi politica italiana ci porta a capire, con molta difficoltà, che cosa sia la politica in questo tempo di distruzione liberista dello Stato. Una politica che “brancola” nel buio, si potrebbe dire, iniziata con quel processo di “deregulation finanziaria” e di smantellamento dello Stato sociale delle legislazioni anglo-americane degli anni Ottanta, come direbbe Giulio Sapelli. Un processo cruento di distruzione verificatosi, inizialmente, dagli Stati più deboli, come quelli africani, per poi coinvolgere il Sudamerica ed il Medio Oriente, con l’unico obbiettivo di una lotta fra imprese grandi e medie di ricostruire e sfruttare le risorse economiche senza, però, impegnarsi a ricostituire gli antichi Stati post-coloniali. In Europa, tutto questo è maturato in modo incruento, dietro l’effimera impalcatura delle costituzioni liberali, che fino ad un certo punto avevano, comunque, garantito lo sviluppo dello Stato sociale. L’UE, poi, non ha fatto altro che portare a compimento tale processo in un’Europa senza Costituzione e dominata dalla “guerra per bande” dettata dai vari Trattati tra gli Stati membri. E la crisi politica italiana, maturata in tempo di pandemia, con la caduta del secondo governo Conte e l’incarico, con riserva, di formare un nuovo esecutivo, affidato a Draghi, bene s’inserisce in un simile contesto. Innanzitutto, si continua a parlare ostinatamente di partiti, secondo la definizione classica della politologia, quando, in realtà, se non in pochi casi (ed il PSD’AZ, di cui ricorreranno a breve i cento anni di fondazione, è uno di questi pochi casi, n.d.r.), stiamo assistendo alla loro distruzione sistemica con lo smantellamento dello Stato nazione. Ad essere finiti sono quei partiti di massa, definiti da Mortati, in un’accezione positiva, come i “veri poteri forti”, le basi solide e sociali dello Stato. E l’esecutore di tale omicidio è ben delineato nel liberismo dilagante. Lo spettacolo offerto in questi giorni, al cospetto del Presidente della Repubblica, non è stato quello di una sfilata di rappresentanti politici, ma di gruppi di cacicchi, di imprenditori della politica, intesa come strumento per la conquista del potere economico. Ed è quello, “tradotto in soldoni” che hanno fatto, infischiandosi di tutto, Renzi ed il suo partito; ma che avrebbe potuto fare qualunque altro “partito”.
L’opinione pubblica, ed è l’altro aspetto di questa ennesima crisi, non esiste più perché persiste il dominio di un pensiero unico: dall’ “europeismo” a priori in UE al “politicamente corretto” negli USA.
L’unica rete statuale a non essere stata del tutto distrutta è quella delle relazioni internazionali, anche perché le tecnocrazie mondiali (FMI, OMS, BANCA MONDIALE, per esempio) vivono di esse. Ecco che allora l’Italia si presenta come importante punto di osservazione. Nel nostro Paese, infatti, tutti questi gruppi si muovono seguendo varie logiche ed indicazioni, provenienti dall’esterno, purtroppo. E la recente visita-intervista fatta da Renzi in Arabia, all’indomani del voto di fiducia risicato al Conte II, a Bin Salman, ne è la conferma. In Italia, sostanzialmente, la lotta è destinata a continuare fra filo-francesi e filo-cinesi, per compensare la presenza industriale tedesca, e che a loro volta devono creare altre compensazioni verso i filo-francesi e filo-americani, senza dimenticare i piccoli gruppi filo-iraniani, filo-sauditi e filo nord-coreani con i filo-russi sempre sullo sfondo. La scelta, quindi, di Mario Draghi, sostanzialmente, servirebbe per “calmare” questi gruppi e per fungere da autorevole “camera di compensazione”, soprattutto in questo momento in cui si hanno da gestire i 209 miliardi del “Recovery”. Diversamente dal precedente montiano, infatti, Draghi, come ha osservato bene Sapelli, è un alunno di Caffè ed ha studiato alla scuola post-keynesiana, ha una visione strategica e non ha mai disprezzato la mediazione ed il confronto con le parti sociali. Ecco che, allora, la locuzione latina originaria dell’ “hic sunt dracones” può essere spiegata anche nel suo secondo significato con cui viene attualmente utilizzata: non solo indicare una situazione per cui è necessario prestare particolare attenzione; ma anche portare rispetto ad un certo gruppo di persone.
E Mario Draghi, nonostante tutto, è tra questi e lo merita.