di FRANCESCA BIANCHI
Quando amalgamo la farina, avverto il profumo della macchia mediterranea della mia terra: per me è pura poesia. (Antonio Masia)
Quello tra il panificatore Antonio Masia, la Nurra e l’arte della panificazione è un amore che ha radici lontane. Antonio da oltre trent’anni lavora nel Panificio Cherchi di Olmedo (SS), un panificio a conduzione familiare rilevato negli anni Settanta dal suocero. Tenacemente impegnato nella valorizzazione del suo territorio, Masia ha riscoperto la specialità algherese del Pa Punyat, “il pane fatto con i pugni”, la pagnotta di antiche origini catalane. Si tratta di un pane da crosta che è stato inserito nell’Elenco Nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali.
Nella Bottega Al Forno di Fabrizio Carboni, ho avuto il piacere di intervistarlo. Con l’entusiasmo e la passione che animano la sua attività, ha parlato del forno di famiglia e dell’impegno per la riscoperta dei prodotti tipici algheresi, a cominciare dal pa punyat, prodotto utilizzando esclusivamente la farina di grano duro karalis, coltivata nei terreni delle aree contigue al Parco di Porto Conte. Antonio ha descritto con minuzia le fasi di lavorazione del pane e si è soffermato con orgoglio sull’importante riconoscimento ottenuto quest’anno.
Nelle sue parole traspare tutto l’amore per il territorio in cui vive, un amore che condivide con altri produttori locali. Insieme a Fabrizio Carboni, punto di riferimento in città per le produzioni artigianali e le eccellenze a chilometro zero, è stato tra i primi ad aderire al progetto MenjAlguer, ideato da Stefano Idili, che ha l’obiettivo di valorizzare le eccellenze del territorio.
Fabrizio Carboni ha avuto l’intuizione di trasformare il suo negozio in boutique, ricercando quei sapori che si erano persi nel corso del tempo. Quattro anni di studi, ricerca, conoscenze, per giungere, ora, a lavorare a chilometro zero con microimprese del territorio, diventando, così, colonna portante di MenjAlguer. Il nostro obiettivo – afferma Carboni – è quello di valorizzare il nostro territorio e portarlo sulle tavole degli algheresi. MenjAlguer (in italiano “mangia Alghero”) nasce proprio dall’esigenza di far scoprire e valorizzare i prodotti che il territorio di Alghero ci propone. L’idea di dare vita a questo progetto è partita da Stefano Idili; subito abbiamo aderito Antonio Masia ed io. Abbiamo iniziato proponendoci sui social. Oggi stiamo cercando di creare una rete di imprese che aderiscano al nostro progetto. Nell’associazione ci sono circa dieci produttori: Azienda Agrituristica Sa Mandra, dei cui prodotti da qualche settimana sono diventato rivenditore ufficiale; Panificio Cherchi; Accademia Olearia della famiglia Fois; ristorante Musciora di Danilo Del Rio; i ragazzi della piccola azienda agricola l’Orto Sotto Casa, un orto situato nel centro della città; Alessio Mura del Caffè Royal, l’unico in Italia a produrre la frittella ad alta digeribilità; infine io, che li racchiudo quasi tutti, dato che nella mia bottega vendo i loro prodotti. Finora, oltre all’evento di presentazione inaugurale del progetto, abbiamo organizzato aperitivi con annessa degustazione di prodotti che il territorio offre. Abbiamo tanti obiettivi, ma quello che più ci sta a cuore è la creazione di uno scambio culturale con la Catalogna. Abbiamo sposato la filosofia lavorativa di Danilo Del Rio, che ha voluto riportare la cucina tradizionale algherese rivisitata. Noi vorremmo portare nei suoi piatti i sapori del nostro territorio, partendo dall’antipasto e arrivando al dolce. Un altro cultore del prodotto algherese è Nicola Fenu, che sta creando, in collaborazione con la Cantina Santa Maria La Palma, dei cocktail targati Alghero e MenjAlguer. Nell’evento che faremo a fine agosto, ai suoi cocktail creati con prodotti locali affiancheremo il crostino di “pa punyat” di Antonio Masia, con ricotta fresca di Sandro Fauro e guanciale di Sa Mandra. Il nostro marchio è registrato. Abbiamo creato una pagina Facebook dove pubblicizziamo tutti i nostri appuntamenti. Prima di proporre la bella intervista rilasciatami da Antonio, voglio rinnovare i miei ringraziamenti a lui, a Fabrizio e a tutti i componenti di MenjAlguer per la disponibilità, l’instancabile impegno a favore del territorio e delle sue eccellenze e per la passione e l’entusiasmo con cui le fanno conoscere a turisti e visitatori. Che questo sia solo l’inizio di una serie infinita di soddisfazioni e traguardi!
Antonio, lei lavora nel Panificio Cherchi di Olmedo, uno dei panifici più noti della Sardegna, molto conosciuto anche al di fuori dell’Isola. Da alcuni anni si dedica con passione e impegno alla valorizzazione del territorio, affinché la Nurra algherese ritorni a produrre come una volta. Quando ha iniziato a fare il panettiere? Da chi ha appreso l’arte della panificazione? Da 31 anni lavoro per e nel panificio Cherchi di mia moglie Giovanna e sua sorella Maria Rita. Il panificio fino a qualche anno fa era di mio suocero Antonio, che l’aveva rilevato nel 1977, ma esisteva da molto tempo prima. Si tratta di un panificio storico. A mio suocero devo veramente molto: è stato il mio grande maestro, mi ha insegnato i trucchi del mestiere, dandomi preziosi consigli e sostenendomi sempre. Mio suocero ha iniziato a panificare da bambino, poi ha deciso di mettersi in proprio e ha trovato questo panificio ad Olmedo. Oggi la sede del panificio è ancora lì, ma la nostra famiglia è algherese, per cui, oltre al pane della tradizione sarda e al pane di Olmedo, facciamo anche il pane della tradizione algherese. Portiamo il pane ad Alghero, Sassari, Porto Torres.
Quando ha iniziato a lavorare con materie prime sarde e, soprattutto, quando ha deciso di riscoprire il pane tipico algherese? Già 15 anni fa ho iniziato a lavorare solo e unicamente con le materie prime sarde. Il mio obiettivo era quello di fare il pane con una farina nostra, prodotta nel nostro meraviglioso territorio.
Ho voluto riscoprire il pane tipico di Alghero, perché in Sardegna ogni paese ha sempre avuto il suo pane caratteristico, ad Alghero se ne erano perse le tracce, non c’era nulla. Grazie al prof. Budroni, uno storico algherese che mi ha aiutato a cercare negli archivi, ho scoperto, invece, che Alghero aveva una storia antichissima nella panificazione. Il pane, infatti, è stato importato in Sardegna dalla Catalogna già nei primi decenni del Cinquecento. Il pane più prestigioso che si nominava nelle fonti era per Alghero il “pa punyat”, ovvero il pane “fatto con i pugni”, così chiamato perché durante la lavorazione si preme con il pugno chiuso e si fa forza con l’avambraccio. Dopo diversi decenni in cui se ne erano perse le tracce, grazie ad un accordo di filiera corta tra il nostro panificio, il Parco regionale di Porto Conte, gli agricoltori delle borgate della Nurra e il Mulino Riu di Alghero, la pagnotta di antiche origini catalane è tornata sulle tavole degli algheresi.
Il “Pa punyat” ha raggiunto un traguardo importantissimo: è stato riconosciuto prodotto agroalimentare tradizionale. Cosa ha significato per lei questo prestigioso riconoscimento? Il “Pa punyat”, specialità algherese, ha ricevuto la certificazione del Ministero, diventando prodotto “Pat” e venendo inserito nell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. Il riconoscimento ministeriale, che attesta la qualità e l’origine del pane, è il risultato della costante e proficua collaborazione tra le realtà che ho menzionato sopra. Abbiamo creduto fermamente in quello che stavamo facendo, indirizzando tutte le nostre azioni alla valorizzazione e alla riscoperta del pane genuino e salutare di un tempo. L’emozione è stata grande: è stata la ricompensa per anni e anni di lavoro, il giusto riconoscimento per la città di Alghero e per Olmedo. Inoltre, come azienda siamo stati i primi del nord Sardegna, qualche anno fa, a ricevere il contrassegno regionale del “Pane fresco”, che garantisce al consumatore la certezza di un prodotto fresco, sano e di qualità.
Che tipo di pane realizza? Qual è la procedura che segue per la lavorazione del pane? Prevalentemente faccio pane comune con lievito di birra. Un 45% della linea, invece, lo preparo con il lievito madre. Il pane con lievito madre lo faccio due volte a settimana, il mercoledì e il sabato, in modo tale da riuscire a coprire bene tutti i giorni della settimana. Bisogna considerare, infatti, che questo tipo di pane dopo due giorni dà il meglio quanto a profumo e fragranza e si mantiene morbido anche per una settimana. Per quanto riguarda le varie fasi della preparazione, si parte con la pesatura della farina, poi si mette una percentuale d’acqua; quando ha raggiunto l’80% della preparazione, si aggiunge il sale e dopo il lievito madre, finché non raggiunge un impasto omogeneo che possa essere lavorato. Ci sono vari tipi di pane: il pane punyat è un pane da crosta. Ha, infatti, una crosta spessa, non è morbido. Ci sono, invece, pani morbidi che hanno fino al 25% di idratazione. Uno di questi è la focaccia. Utilizzo la farina di grano duro “Karalis”, coltivata nei terreni delle aree contigue al Parco di Porto Conte. Il pane che ne nasce non è dichiarato biologico, ma lo è a tutti gli effetti, perché nel Parco non si usano pesticidi, ma soltanto prodotti naturali. È una garanzia di freschezza e qualità.
Cosa significa fare il panettiere oggi? La vita del panettiere è dura, ma noi mettiamo l’amore e la passione in questo lavoro e la ricompensa più grande sono i complimenti dei nostri clienti. Molti si stupiscono per la digeribilità del mio pane; mi dicono di essere tornati a mangiare pane dopo anni, perché non digerivano il pane che ormai si trova in commercio ovunque, fatto con dosi massicce di lievito di birra. Questa per me è una grande soddisfazione. Devo dire di avere un grande supporto da parte della mia famiglia, che ringrazio sempre; sono molto fortunato in tal senso. Amo il mio lavoro. Non lo cambierei per niente al mondo! Quella della panificazione è una storia infinita: c’è sempre qualcosa da imparare, mentre crei scopri cose nuove. Quando amalgamo la farina, riesco a percepire quello che c’è intorno, il profumo della mia terra. Questo per me è pura poesia.
Attualmente è impegnato in qualche progetto? Sì, sto collaborando con la Porto Conte Ricerche, che ha sede nel Parco di Porto Conte. L’ente si occupa di biotecnologie applicate per l’alimentazione e per la salute. Loro analizzano i semi antichi e li fanno provare alle aziende interessate. Un grano che sta ottenendo un notevole successo è il “Trigu moro”, che permette di realizzare un pane profumatissimo scuro dalla durata eccezionale. Inoltre, sto dedicando tutte le mie energie al progetto MenjAlguer, che abbiamo lanciato da poco con Stefano Idili, Fabrizio Carboni e altri produttori. I primi eventi che abbiamo organizzato hanno ottenuto un grande successo. Il nostro scopo è promuovere le eccellenze del territorio. Crediamo molto in quello che stiamo facendo e andiamo avanti con l’auspicio di fare sempre meglio.
Cosa si augura per il futuro del territorio? Credo molto nelle potenzialità di questo territorio, che amo profondamente. Vorrei tanto che i giovani iniziassero a lavorare i campi. A Santa Maria La Palma abbiamo i polmoni della città: le borgate attorno ad Alghero, come Maristella, Guardia Grande e Villassunta, hanno un territorio vastissimo e ricchissimo che dovrebbe essere incentivato a produrre. Queste borgate costituiscono un prezioso territorio agricolo che ha bisogno di essere valorizzato, riscoperto e lavorato, perché da lì parte tutto: dalla terra abbiamo tutto, il nostro sostentamento, la salute. Ciò in parte sta già avvenendo: si sta cercando di tornare come prima, anche se ritornare al passato è impossibile. Una cosa, però, possiamo farla: creare sempre il meglio. E noi continueremo a valorizzare il nostro territorio per mettere in moto l’economia e salvaguardare la salute. Avere i prodotti a kilometro zero, infatti, giova soprattutto alla salute, oltre che all’economia. Bisogna darsi da fare; volere è potere!
Il pane che fa’ la differenza ❤️❤️❤️