Tre isole di cucina diverse: a nord il primo può essere una zuppa berchiddese, piatto localissimo che vanta caratteristiche molto diverse dalla zuppa gallurese. A Esterzili invece sul piatto potrebbero esserci i culurgionis di patate rosolati al burro e conditi con salvia. A Cagliari, città di mare e di stagni, il pezzo forte dopo l’antipasto potrebbe essere una fregula cun cocciula, con le arselle pescate a Santa Gilla. Ma poi, se vai a guardare, altro che tre isole. Forse di isole enogastronomiche ce ne sono tante quante sono i comuni, quasi quattrocento, della Sardegna. Se non di più perché rioni e frazioni reclamano anche loro attenzione e piatti unici. Insomma non è tutto (e non è solo) malloreddus, pani carasau, porcetto e cannonau. Un percorso enogastronomico che coinvolge non solo il gusto, ma tutti i sensi. Vista perché il viaggio di tavola in tavola passa attraverso paesaggi pieni di belle naturalistiche e di storia. Olfatto perché la Sardegna ha un profumo tutto suo, figuriamoci i piatti. Un’isola anche da toccare e da ascoltare. Magari con i racconti delle ricette in diretta direttamente dagli artigiani e dalle artigiane del pane o della pasta. Che spiegano i segreti dei marraconis fibaus, spaghetti fatti a mano. O delle tallutzas, una specie di orecchiette preparate con quello che rimane dell’impasto per il pane duro fuori e morbido dentro, su coccoi.
Si può pranzare con i pastori di Orgosolo o di altri paesi che fanno vedere e spiegano come si fa la pecora bollita o il maialetto arrosto cotto al punto giusto. Con la cotenna dura, ma che si squaglia in bocca. Per le bottiglie, più o meno è la stessa storia. O meglio. Ogni paese ha la sua storia. E il suo “nettare”: le strade del vino ufficiali di Assovini sono otto. E anche quelle attraversano più o meno tutte le strade della Sardegna. Partendo da Cagliari un viaggio tra Monica, Nasco, Moscato, Malvasia, Girò e Nuragus. Risalendo il Campidano e puntando verso Oristano bisogna fare scorta di bottiglie di Cannonau, Moscato, Monica e Vermentino di Sardegna, Arborea, Mandrolisai, Sardegna Semidano e, naturalmente, di Vernaccia. Il Sulcis è la patria del Carignano. Ma come si fa a non calcare la strada del cannonau tra Nuorese e Ogliastra. E i vermentini di Berchidda, di Monti e tutte le specialità del Logudoro? È una volta a Berchidda come si fa a non visitare il Museo del vino? Va bene, ma non si può inserire nella cartina anche Bosa, la capitale della Malvasia. E allora di nuovo giù, nel sud dell’isola. Ma bisogna anche mangiare qualcosa. Formaggio? Benissimo. Magari dopo aver trascorso una giornata da casaro. Con la possibilità di creare da soli il proprio formaggio e di assaggiarlo (con un calice di vino che non manca mai) o di portarlo con sé. Lo fanno a Dolianova. E se non si può fare il giro di Sardegna per mangiare e bere? Allora bisogna fare come fanno i croceristi a Cagliari: dopo via Roma e il Bastione tutti a San Benedetto, un mercato che ormai è entrato nelle mappe e nelle guide dei tour operator. Tra i box un riassunto di tutto il meglio della produzione isolana. Al piano di sotto il festival del pesce. Tra cozze, arselle e bottarga. A Cagliari c’è addirittura una filastrocca di Carnevale in omaggio a tutti i pesci caratteristici del golfo. Poi c’è il piano del “resto del mondo”: dalla frutta al pane con civraxius e coccoi. E poi i formaggi: Fiore sardo, pecorino, casizolu di tutte le zone della Sardegna. Nei box c’è sempre una fila di intenditori. E non “a casu”. E ancora: panade di verdure, salsiccia e agnello. Qualche volta anche di anguilla portate dalla vicina Assemini. E i dolci? Tutta la produzione sarda possibile e immaginabile: sebadas (con l’abbinamento formaggio miele che ora va tanto di moda ma che in Sardegna si conosce dalla notte dei tempi), pardule, piricchittus, gueffus. E se si vuole finire il pranzo con un gelato, c’è anche il gelato sardo. Una delle capitali è Riola, nel bel mezzo dell’Oristanese: lì- ma anche in tanti altri paesi- c’è la carapigna, madre della granita e del sorbetto, a base di ghiaccio e limone. Difficile stancarsi della cucina sarda. Ma se proprio uno per un giorno vuole cambiare menu può restare in Sardegna: basta che vada a Carloforte, l’isola (non solo metaforicamente) nell’isola. Pochi malloreddus, lì il primo è il nordafricano cous cous. Poi Genova (per tutti), in onore della “madrepatria” tra gallette e fainó. Maghreb più repubblica marinara, ma anche questa è Sardegna.