di MICHELA GIRARDI
La cantautrice 36enne Chiara Figus, in arte Chiara Effe, scrive musica da quando era giovanissima, cullata dal calore della sua città natia, Cagliari, e stimolata dalla sua famiglia, da sempre consacrata alle note.
Ha un curriculum che certamente colpisce. Primo disco nel 2015, vincitrice del Premio Fabrizio De Andrè nel 2018, del Premio Mario Panseri e del Premio dei Premi nel 2019. Tre lauree all’attivo (Lettere Moderne e Filosofia, Etnomusicologia e Canto Jazz al Conservatorio), un talento naturale e genuino cresciuto in un ambiente familiare dove l’arte è il pane quotidiano. Il primo disco è del 2015 e s’intitola ‘Via Aquilone’.
Oggi parliamo con lei di musica, femminismo e gentilezza. Non sorprende che queste tre parole stiano benissimo nella medesima frase, vero?
Come e quando è nata la passione per la musica? Musicisti si nasce o si diventa? Non so quanto si nasca musicisti o quanto lo si diventi. A me gli stimoli non sono sicuramente mancati, sin da quando stavo dentro la pancia di mamma. E se sono arrivata alla consapevolezza di volermici sposare con la musica, lo devo a diverse cose.
Scrivi da sempre le tue canzoni. Come ti arriva l’ispirazione? A chi rivolgi i tuoi messaggi e quali sono? Da sempre scrivo, ma non sono state sempre canzoni. Sono stati diari segreti, quaderni in comune con amiche, lettere a chi stava lontano, racconti con mio nonno, giornalini a tiratura limitata per i parenti … e poi canzoni. Quando scrivo non penso a quali orecchie arriveranno. La speranza è che restino tra la gente e prendano forme diverse senza dimenticare da dove sono nate. Le ispirazioni sono tantissime e continue, sempre piccole, sempre semplici, sempre bellissime, sulle quali veramente non mi posso non soffermare. L’ispirazione è una cosa dolcissima, delicata e timida.
Come sono cambiati i tuoi testi e la tua musica nel tempo? Per adesso in te si sente un mix molto sofisticato di swing, bossa nova e canzone d’autore italiana. Sperimenterai altro? La musica cambia in base agli umori, a ciò che studio e che ascolto. È il testo a suggerirmi la musica. Nelle parole fatte di sillabe è nascosto il ritmo che avrà la canzone, il suo andamento e il suo umore. E il testo matura come maturo io. E’ una regola che vale per tutti. E’ soltanto lo specchio di ciò che sono in quel momento. Compresi i vocaboli e la musicalità che scelgo.
Cosa rappresenta per te la musica? La musica e io siamo sposate, nella gioia e nel dolore finché morte non ci separi, ma forse anche dopo.
Quali donne hanno sostenuto il tuo percorso? Chi ti ha particolarmente appoggiata? La mia mamma Donatella, la mia nonna Saia e la mia zia Emma. Queste sono le donne che mi hanno stimolato e sostenute. Le donne che ho sulla pelle e che porto sempre con me, addosso.
Cosa vuol dire per te, oggi, essere femministi? Essere sé stesse. Questo per me è essere femminista.
Quali artiste, invece, ti hanno maggiormente segnata e perchè? Tutte le donne forti, che ho incontrato attraverso i libri, attraverso le loro opere. Loro mi hanno dato la forza quando mi sentivo sola e pazza a voler fare questo mestiere. Dipinti, libri, canzoni, resistenza politica, poesie. Spesso piccole azioni femminili, con la forza del mondo intero.
Il mondo della musica, purtroppo, è ancora fortemente dominato dagli uomini. Ti sei mai sentita messa da parte o presa meno sul serio in quanto donna? In realtà no. Il mestiere della cantautrice è un mestiere difficile a prescindere. Ma non mi sono mai sentita mai privilegiata o svantaggiata. Solo ogni tanto mi è stato fatto qualche commento idiota a proposito del fatto che, essendo donna, avrei potuto approfittare della mia fisicità per valorizzare meglio la mia musica, ma se ne possono serenamente ed elegantemente andare a cagare, testuale.
Che rapporto hai con la città di Cagliari? Cagliari è la mia culla. E in quanto tale merita sguardo attento, riconoscente e innamorato da parte mia. Le mie canzoni la trapassano e si legano a lei e ne cercano gli angoli più belli e anche più nascosti.
Hai vinto numerosi premi, tra i quali nel 2018 il Premio De Andrè. Cosa provi nel veder riconosciuto il valore della tua arte? Mi viene da sorridere, vuol dire che i bambini fanno bene a sognare, a non smettere di farlo e ad essere testardi nell’inseguire quello che la loro pancia suggerisce e indica.
Da tempo sei promotrice degli house concert, dove ti proponi in versione acustica con la sola chitarra ad accompagnare la voce. Raccontaci di questo progetto. Salotti e giardini sono i palchi che preferisco. Niente microfono. Solo delle sedie e delle persone che hanno voglia di ascoltare le storie e i segreti che ho da raccontare. Niente fari accesi. Solo uno stare insieme, alzare la mano, fare domande e proporre interventi. Uno scambio di opinioni, di musica. Un brindisi alla serata trascorsa insieme. Amici nuovi che si ritroveranno.
Chi ti ha sentita suonare dal vivo sostiene di aver percepito, oltre all’innegabile talento, una ventata di intelligente delicatezza. La gentilezza per te ha un potere? La gentilezza è il filtro attraverso cui bisognerebbe passare sempre. Ma proprio sempre sempre. La gentilezza dovrebbe avvolgere gli animi. Dovrebbe abbracciare qualunque cosa si dica o si faccia. Perché è forte, la gentilezza, e cambia gli eventi, cambia la musica, cambia tutto.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Da grande voglio scrivere canzoni, per sempre, ovunque!