di ANNA BROTZU
Focus sulla cifra immaginifica e a tratti surreale di Ermenegildo Atzori – poliedrico artista sardo, pittore, scultore e illustratore, inserito nel movimento internazionale degli Erranti – nelle pagine dedicate a The New Code sul numero di settembre di Aínas, il magazine trimestrale diretto da Bianca Laura Petretto. Una serie di disegni riuniti in un raffinato, ideale album il cui titolo “Black Drawing” sintetizza la tecnica, pennino e inchiostro su carta, in un rigoroso nero su bianco, di queste figure singolari, quasi emerse da un sogno, o da un incubo. «Disegnare è una necessità» rivela Atzori che trae ispirazione e “informazioni” dalla quotidianità per poi tradurle in visioni oniriche e arcane fantasticherie: vincitore del Premio Ennio Zedda 2016, ha realizzato un volume della Storia della Sardegna a Fumetti – “Via i Piemontesi” – per L’Unione Sarda, oltre a racconti brevi e insieme con Bepi Vigna “Dimonios – La leggenda della Brigata Sassari” presentato al Premio Letterario Giuseppe Dessì.
Il misterioso monaco dal cui cappuccio fuoriescono delle fronde spoglie, come a sottolineare il predominio della natura su un corpo disanimato o forse il compimento di una metamorfosi, pare indicare un passaggio dalla dimensione umana a quella vegetale, dove quest’ultima assume la forma, e dunque il ricordo di ciò che l’ha preceduta. Scevro di ogni simbolismo, potrebbe essere uno di quei simulacri di stoppie e ramaglie che tengono gli uccelli lontani dai campi, ma quest’entità sembra circondata da un un’aura quasi mistica, complice la veste che attiene alla sfera del sacro e della preghiera. Questo incontro di mondi si ravvisa anche negli altri personaggi dell’ipotetica galleria di ritratti, creature ambigue, in cui tratti antropomorfi si innestano su sembianze animalesche o una plumbea sfera, di roccia o metallo, sorretta dalle mani nasconde o meglio “cancella” il volto.
Qualcosa di ferino oltre che nelle corna pure nel manto di pelliccia di una figurina senza faccia appoggiata a una parete forse di pietra (ma potrebbe essere anche l’ingresso di una capanna, data la linea squadrata e come “scolpita”), il cui aspetto caprino e insieme vagamente adolescenziale suscita l’eco dei baldanzosi amori del dio Pan e della sua corte di satiri. Il mito di Dafne, sfortunata naiade amata da Apollo sembra ispirare il muto sguardo lanciato da “dentro” una corteccia, involucro salvifico ma anche eterna prigione della bella ninfa: una donna albero, forse, protagonista di tante possibili storie di trasformazioni in cui l’umano mette radici. Uno “sciame” di sassi circonda un volto maschile, squadrato, duro: come sospesi in aria formano una barriera e paiono quasi entrare o uscire dalla bocca spalancata, metafora del “peso” delle parole o magari indizio di un’altra mutazione in corso, un’osmosi tra il regno animale e quello minerale.
Slegati da ogni contesto e visti di per sé questi sei “ritratti” conducono in uno spazio del nonsense, in un teatro dell’assurdo ioneschiano, anche se nella quasi immobilità che non è mai abbandono quegli esseri paiono vigilare, come sentinelle, i varchi tra universi paralleli. Nell’accuratezza del disegno che sottolinea e quasi “scolpisce” i dettagli, quell’inattesa apparizione di una protome elefantina, di corna, di rami, di corteccia, di pietre sorprende con un effetto di “straniamento” in cui ciò che è noto diventa ignoto e incomprensibile. Come in una remota “alba” di un pianeta abitato da uomini e dèi, quali epifanie della enigmatica potenza di una natura indomita e selvaggia, all’inizio del tempo, in una sorta di età dell’innocenza, prima dell’avvento della ragione e della “civiltà”.
Aínas regala altri echi di Sardegna – tra sacro e profano – con gli scatti di Andrea Castro che raccontano la distesa e morente, forse, “Ofelia” di Rita Picci e la regale “Iside” incarnata da Isella Orchis a corollario del “diario” dell’Horcynus Lab Festival tra Scilla e Cariddi proposto da Vanessa Gritti, tra memoria di antiche migrazioni e fondazioni di città e segni del contemporaneo.
Anna Brotzu, complimenti
Complimenti a Anna Brotzu e grazie mille a Tottus in Pari.
Interessante e intrigante,bravi!