Partiamo da un dato: in tutta la storia del clima non si è mai verificato un cambiamento così rapido come quello misurato ai giorni nostri. Nell’ultimo secolo la temperatura è aumentata di 0,8 gradi centigradi, ovvero un incremento 8 volte superiore alle diminuzioni registrate durante i millenni delle glaciazioni. E ora sta salendo di 0,15-0,20 °C ogni decennio, cioè 20 volte di più.
La revisione paritaria delle pubblicazioni scientifiche specializzate, che con accurate selezioni scarta gli errori, le falsità e ogni fonte di “fake new”, porta alla conclusione che il 97% degli studiosi del clima è concorde sull’affermazione che il cambiamento climatico, manifestatesi soprattutto come aumento della temperatura globale, esiste ed è dovuto alle attività dell’uomo, una causa dominante negli ultimi 100 anni.
Nel restante 3% dei ricercatori sono compresi, oltre ai negazionisti, i dubbiosi della precedente asserzione. Poiché per attività umane ci si riferisce principalmente alla dominante politica energetica del carbonio (petrolio, carbone, gas, legname), va riconosciuto che, mentre la posizione negazionista è frutto di pensieri antistorici e probabilmente di interessi industriali conservatori, il dubbio, inteso come una richiesta di ulteriori prove del consenso scientifico, è legittimo e degno di rispetto.
La pandemia del Covid-19, tra tanti problemi e disastrose conseguenze globali sulla salute e l’economia, potrebbe dare una mano alla ricerca scientifica e consolidare le asserzioni della quasi totalità dei ricercatori.
Il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) ha stimato per la fine del secolo un aumento della temperatura media globale compreso tra 1,5 e 4,5 gradi centigradi. Una forbice d’incertezza così ampia è dovuta alla incompleta comprensione dell’influenza degli aerosol.
Quello che semplicemente chiamiamo inquinamento è dovuto all’azione, naturale e non, degli aerosol, minuscole particelle, liquide, solide e gassose, emesse dalla combustione dei fossili, dai fertilizzanti, dalle ceneri vulcaniche e dalla nebulizzazione dell’acqua di mare. Esse alterano le proprietà delle nubi e intercettano la radiazione solare, in parte riflettendola verso lo spazio e in parte assorbendola. Queste particelle, tra l’altro, influenzano la forza e la posizione del monsone estivo dell’Asia meridionale, il fenomeno climatico che porta forti piogge sul subcontinente indiano interferendo sull’economia e sulla vita di centinaia di milioni di persone.
Nel complesso gli aerosol, naturali e non, hanno l’effetto di raffreddare l’atmosfera. La difficoltà di analizzare il loro ruolo nasce dal fatto che parte delle loro fonti non potevano essere eliminate per confrontare ciò che accade con o senza di esse. Il problema è dunque quello di stabilire l’incidenza antropica sull’emissione di queste particelle. Uno studio della rivista scientifica “Nature Climate Change” ha stimato, per il primo quadrimestre del 2020 rispetto al 2019, una riduzione di emissioni di biossido di carbonio (il principale gas-serra insieme al metano, al vapore acqueo e agli ossidi di azoto) di oltre un miliardo di tonnellate, equivalente a un calo giornaliero mondiale del 17%. Il temporaneo stop delle attività industriali, dei trasporti, dell’energia e dei sistemi di riscaldamento dei principali paesi consumatori (Cina e Stati Uniti in testa, ma per le automobili anche l’Europa), ci ha riportato alla situazione del 2006.
In Italia, secondo i dati dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (ISPRA), nel primo trimestre di quest’anno le emissioni energetiche risultano inferiori del 5-7% rispetto a quelle dello stesso periodo del 2019: -4,0% per l’elettricità, -3,7% per l’industria, -0,6% per i trasporti e -1,8% per gli impianti di riscaldamento. L’impatto globale della pandemia è stato maggiore di quello dovuto alla crisi economica del 2008-2009. Tutto questo offre una buona occasione per valutare il peso della “forzante” antropica, cioè per misurare il contributo delle azioni umane nella modifica del clima. Si potrebbe capire, in sintesi, come si comporterebbe senza di noi la natura.
Anche se è improbabile che, per le iniziative di rilancio dell’industria, l’effetto della riduzione consumi energetici e delle emissioni continuerà nei prossimi mesi, e se anche, dopo questo parziale stop o rallentamento, si rimetterà in moto il riscaldamento globale e ogni altra modifica del clima planetario, resta tuttavia l’importanza scientifica della misura delle attività umane nel bilancio energetico globale.
Il Covid-19, tra le altre lezioni impartiteci, ci ha fatto capire che l’umanità fa parte della natura e deve sottostare alle sue leggi senza la pretesa di essere la padrona di casa. E anzi, se non ci fossimo noi, forse le cose andrebbero meglio.