di ELENA CAMINO
Mi è capitato di recente di scambiare idee e documenti con alcuni amici e amiche sulla ‘questione Sardegna’: di cosa si tratta, almeno per quanto riguarda la nostra conversazione? C’era l’ipotesi di dare una mano a un giovane, laureato in Scienze della Natura, per svolgere una ricerca sulla situazione socio-ambientale dell’isola conseguente alla presenza dell’apparato militare. Pensavamo di poter offrire qualche spunto utile a delineare il contesto generale in cui nel tempo si è sviluppata e consolidata l’occupazione militare (italiana e internazionale), e offrire piste di ricerca e proposte operative per una trasformazione delle attività, dei soggetti, delle finalità d’uso di questo straordinario territorio in una prospettiva nonviolenta.
Disponevamo di una vasta documentazione sull’uso dei poligoni di tiro, le associate restrizioni all’uso del territorio, le conseguenze sanitarie e ambientali delle esercitazioni militari; avevamo informazioni sulle produzioni belliche nella sede distaccata della fabbrica tedesca RWM. Molto interessante era anche la documentazione di iniziative messe in campo nel settore agricolo, artigianale ed educativo come proposte alternative, nonviolente, orientate a una trasformazione sociale, culturale e ambientale dell’isola.
Il tema è apparso ben presto troppo complesso da affrontare nell’ambito di una tesi, e da parte di una persona sola. Quindi l’ipotesi di sviluppare una ricerca sulla militarizzazione della Sardegna e sulle prospettive di riconversione in chiave nonviolenta, è stato – almeno per ora – rimandato. Ma resta elevato l’interesse, e chissà che in futuro non si riesca a costituire un gruppo di ricerca che possa approfondire la questione, che – pur essendo geograficamente collocata nell’isola – ha tuttavia implicazioni globali e riveste un forte significato simbolico.
Ai problemi legati alla militarizzazione della Sardegna ha dato spesso voce il Centro Studi Sereno Regis, che ha ospitato nel sito numerose testimonianze negli anni, e ha di recente ri-pubblicato – in due puntate – un’indagine a firma di Walter Falgio, giornalista professionista e ricercatore in Storia Moderna e Contemporanea, ricca di segnalazioni di letture:
A foras. L’isola dei militari. Una prima indagine sull’antimilitarismo in Sardegna dagli anni sessanta all’attualità (prima parte);
A foras. Il male invisibile. Una prima indagine sull’antimilitarismo in Sardegna dagli anni sessanta all’attualità (seconda parte).
Sul sito del CSSR si trovano anche informazioni sul ‘caso RWM’, l’industria controllata dalla tedesca Rheinmetall Defence, che produce armamenti in territorio sardo, e la cui attività è oggetto di controversie tra diversi soggetti: i comuni, la regione e il Comitato per la Riconversione.
Sono ormai numerosissimi i documenti, le denunce, le commissioni di inchiesta che denunciano l’insostenibile carico sociale, economico, sanitario e ambientale esercitato – direttamente o indirettamente – dalla militarizzazione della Sardegna. Sono inoltre molti i libri – spesso studi di caso e testimonianze personali – ambientati nello scenario della situazione ‘militare’ dell’isola: romanzi, testimonianze, pubblicazioni di indagini. Ne cito solo alcuni:
Perdas de fogu, di Massimo Carlotto, Edizioni e/o, 2008.
Servitù militari in Sardegna. Il caso Teulada, di Guido Floris e Angelo Ledda, Edizioni La collina, 2010.
Veleni in paradiso. La sindrome di Quirra e le polveri di morte che minacciano la Sardegna, di Ottavio Pirelli, Castelvecchi, 2011.
Silenzio di piombo. Poligoni e veleni in Sardegna, di Mariangela Maturi, Round Robin Editrice, 2016.
Due realtà?
20 marzo 2019. Due militari sardi, in servizio a Cagliari e Teulada, si sono ammalati a causa dell’esposizione all’uranio impoverito nel corso delle missioni di pace all’estero e delle esercitazioni nei poligoni di Quirra e Teulada. E per questo devono essere risarciti dallo Stato. Lo afferma una sentenza del TAR di Cagliari al quale i due soldati si erano rivolti per avere giustizia in quando le commissioni mediche militari avevano sempre negato il rapporto diretto tra esposizione alle polveri della guerra causate dai proiettili all’uranio impoverito e l’insorgenza delle loro patologie tumorali.
14 giugno 2020. Firmato il protocollo d’intesa tra l’esercito e il Comune. Aperti al pubblico alcuni degli arenili dell’area militare. Quest’anno le spiagge di s’Ortixeddu e una parte della spiaggia Is Arenas Biancas, entrambe comprese all’interno del Poligono militare di Teulada, saranno accessibili alla balneazione. Le attività di addestramento militare lasceranno temporaneamente spazio ai turisti.
Convivono attualmente due realtà: quella secondo la quale la presenza militare in Sardegna (e più in generale in Italia) è necessaria alla sicurezza e agli equilibri geopolitici, e l’uso del territorio per attività di guerra (fabbricazione di armi, esercitazioni di soldati, test per saggiare l’efficacia di nuovi sistemi d’arma) è indispensabile per il buon funzionamento e la modernizzazione del sistema di difesa nazionale. In questa realtà si offrono modeste compensazioni locali, qualche posto di lavoro al servizio dell’apparato militare, e si può persino fare qualche concessione al turismo.
L’altra realtà contesta questa forma di schiavitù, imposta da decenni alla popolazione e a tutto l’ambiente di un’isola meravigliosa, in cui le testimonianze di antiche civilizzazioni si integrano con le bellezze naturali. Questa realtà rifiuta che l’unica opzione per vivere sia quella di fabbricare armi, e propone attività che valorizzino gli ecosistemi naturali e sostengano la ripresa di tradizioni agricole e artigiane in una prospettiva di sostenibilità.
Al di là delle propensioni politiche e delle preferenze sulle diverse idee di società, di progresso, di sviluppo, c’è un aspetto cruciale che continua ad essere nascosto, taciuto, minimizzato, negato: le malattie e la morte che continuano a colpire donne, uomini, animali, creature viventi. Questo aspetto, al di là delle evidenze faticosamente messe in luce nonostante i segreti e le bugie dell’apparato militare e del sistema di potere con esso connivente, dovrebbe costituire un imperativo morale per la classe dirigente e per la società civile italiana a porre fine a questa tragedia.
Sono morto come un vietcong è un viaggio nella Sardegna contemporanea militarizzata e colonizzata da eserciti di tutto il mondo, che scelgono i suoi Poligoni per testare le armi utilizzate nei vari teatri di guerra della Terra. La voce narrante è il padre dell’autrice, Giulia Spada, un professore di scuola media in un piccolo centro nel sud dell’Isola, che racconta ciò che accade intorno a lui: giovani e anziani che muoiono di leucemie e tumori, animali che nascono deformi, e l’attività della base militare vicina al paese, che offre ai giovani un’opportunità di lavoro avvelenata. Attraverso le parole del padre l’autrice racconta della loro magnifica relazione di affetto, e insieme comunica il messaggio morale che il padre le ha trasmesso per prendere coscienza degli orrori della guerra: non solo quella lontana, ma quella che colpisce qui, nelle case del paese, dove si muore di leucemie o tumori provocati dalla predisposizione, dall’accettazione, e poi dalla preparazione alla guerra. Chi rimane dunque sono orfani, orfane, vedovi e vedove di guerra, uccisi dagli stessi veleni con cui furono irrorate le foreste del Vietnam.
La realtà della Sardegna di oggi – 2020 – è una realtà di guerra. Subisce la guerra e nel frattempo la alimenta. Ma nel libro non si parla di soldati. Nello scorrere le pagine i numeri, le statistiche, le denunce sono intrecciate al racconto delle vite di una realtà di paese, dove tutti si conoscono. Emerge la tenerezza della relazione tra un papà e una figlia, la cura per gli oggetti recuperati, come un vecchio libro; l’empatia per il dolore di una madre che ha saputo della leucemia di un figlio; il rispetto per persone anziane segnate dal lavoro. Emerge un mondo fatto di riconoscimento, attenzione, ascolto, condivisione. E di eventi, esperienze, fatti, preoccupazioni, dolore.
«Hanno inventato un gioco strano questi giovani arbustelli. Fanno a gara a chi getta più in alto dei mucchietti di terra particolari. Al lancio sembra una terra normale ma, raggiunta una certa altezza, qualcosa di luccicante si stacca dal resto e sembra polvere di stelle che rimane a galla in aria per pochissimi istanti prima di ricadere. […] Dove la collina fa un salto verso l’alto si intravedono le recinzioni e il filo spinato della zona militare. Un fumo denso e grigio sale in volute geometriche in aria. Sembra metallico anche quello perché a certi riflessi scintilla come composto da frantumi di specchio che si rifrangono al sole».
«I dossier erano divisi per anno. […] Poligoni di tiro e materie pericolose. […] Dapprima una descrizione dei territori sotto servitù militare, poi un dettaglio sull’estensione della base e di tutte le aree circostanti sotto il suo controllo. Curioso, c’è anche un terreno che confina giusto appunto con la scuola. Si, la scuola. C’era una volta un gruppo di ragazzini che aveva trovato un cartello arrugginito nel parcheggio del retro. Era appeso con quattro catenine a una staccionata scrostata che a malapena si teneva in piedi. “Zona militare, limite invalicabile” la scritta. […] Lo avevamo appeso sulla porta dell’aula, ed era diventato un gioco tra noi tutti».
Questo libro merita di essere letto, condiviso, disseminato nelle scuole.
Argomenti scomodi da affrontare, quasi “tabù”